Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11035 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36692-2018 proposto da:

A.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE

13/15 presso il centro CAF, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIANCARLO DI GENIO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MANUELA MASSA,

CLEMENTINA PULLI, PATRIZIA CIACCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 301/2018 del TRIBUNALE di LAGONEGRO,

depositata il 02/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Lagonegro, nel giudizio ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, dichiarava che A.E. era persona invalida al 100% con totale e permanente inabilità lavorativa a decorrere dal 17 marzo 2014, data della visita di revisione dell’INPS, e condannava l’INPS alla rifusione delle spese processuali liquidandole in “complessivi (Euro) 1.800,00”, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali, con distrazione in favore del procuratore antistatario;

per la cassazione della sentenza nella parte relativa alla statuizione sulle spese la parte privata ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo di ricorso è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, anche in relazione al DM Giustizia n. 37 dell’8 marzo 2018, della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, comma 1, del D.M. ottobre 1994, n. 585 e della L. n. 1051 del 7 novembre 1957, nonchè vizio di motivazione; assume la parte ricorrente che il Tribunale avrebbe liquidato le spese processuali senza indicare il sistema di liquidazione adottato ed in violazione dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, che determinerebbero un ammontare dei compensi professionali, per la fase di ATP, pari ad Euro 2.225,00 e, per il giudizio di merito, pari ad Euro 5.135,00;

è fondato nei limiti di seguito illustrati;

occorre premettere che il giudice nel liquidare le spese processuali relative ad un’attività difensiva ormai esaurita deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l’attività stessa è stata compiuta (Cass. n. 6457 del 2017; Cass. n. 17405 del 2012) sicchè alla presente fattispecie va applicato il D.M. n. 55 del 2014 (in vigore dal 3 aprile 2014), in quanto il ricorso per ATP risulta introdotto con ricorso depositato il 18.6.2014;

quanto alla determinazione degli scaglioni applicabili, occorre, invece, tener conto della pronuncia delle Sezioni Unite (n. 10455 del 2015) che – risolvendo il contrasto determinatosi in relazione al criterio per determinare il valore della causa ai sensi dell’art. 13 c.p.c., commi 1 e 2, – ha affermato il seguente principio di diritto: “ai fini della determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali va applicato il criterio previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 1, per cui, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni”;

ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (artt. 1 e 4), il giudice è tenuto a liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, non essendo, invece, vincolato alla determinazione, in misura media, del compenso professionale (v. ex plurimis, Cass. n. 2304 del 2019, in motiv., p. 7, e relativi richiami a Cass. n. 18167 del 2015, Cass. n. 253 del 2016 e Cass. n. 16225 del 2016);

applicando tali principi al caso in esame, come già chiarito da questa Corte in plurimi arresti resi in casi analoghi, (v. ex multis Cass. n. 28977 del 2018), il valore della causa va individuato tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva e quattro per la causa di merito, vanno individuati in 911,00 per la fase di istruzione preventiva (risultanti dalla somma di Euro 270,00 per studio della controversia, Euro 337,50 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 303,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4), e, trattandosi di causa inquadrabile nella tab. 4 (cause di previdenza), in Euro 2.251,00 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 442,50 per la fase di studio, Euro

370,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 475,50 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 962,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, ancora ai sensi del cit. D.M. n. 55 del 2014, art. 4);

la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnata sentenza ed espressa “in complessive (Euro) 1.800,00” non è dunque adeguata alla normativa di riferimento per essere inferiore ai minimi di cui si è detto, senza che risulti indicata alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal citato D.M. n. 55 del 2014, in relazione alle singole fasi processuali;

il ricorso va dunque accolto; s’impugnata sentenza va cassata nella parte relativa alla statuizione sulle spese con decisione nel merito – ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – riliquidando le spese della fase di ATP in Euro 911,00 e quelle del giudizio di opposizione ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, in Euro 2.251,00, così determinandosi l’importo complessivo di Euro 3.162,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, da distrarsi, ex art. 93 c.p.c., in favore del difensore;

le spese del presente giudizio sono liquidate, secondo soccombenza, come da dispositivo, con attribuzione all’avv.to G. Di Genio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa, per quanto di ragione, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio dinanzi al Tribunale in complessivi Euro 3.162,00, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore.

Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge, con attribuzione all’avv.to G. Di Genio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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