Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11034 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26628-2018 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALBERTO DE PACE;

– ricorrente –

contro

STERAMET SAS DI R.N., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MIGLIANICO 69/C, presso lo studio dell’avvocato ELENA BARTOLOMEO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO MORACHIELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 947/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Padova accoglieva la domanda proposta dalla società STERAMET SAS di R.N. nei confronti di B.G. e condannava quest’ultimo al pagamento della somma di Euro 24.431,82, oltre interessi legali, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso a seguito di recesso immediato dal rapporto di agenzia intercorso tra le parti; rigettava, invece, le domande riconvenzionali dell’agente;

la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 947 del 2017, rigettava il gravame proposto da B.G.;

per quanto qui solo rileva, la Corte territoriale ha escluso la giusta causa di recesso dell’agente ovvero la sussistenza di un “inadempimento colpevole e non di scarsa importanza del preponente che lede in misura considerevole l’interesse dell’agente”;

a tale riguardo, la Corte territoriale ha premesso come, secondo la prospettazione dell’agente, la giusta causa di recesso fosse integrata dalla riduzione delle provvigioni per la perdita di un cliente importante; per i giudici di merito, tuttavia, l’appellante (id est: l’agente) non aveva offerto alcuna allegazione idonea a sostenere la domanda, non riuscendo a dimostrare che la risoluzione dei rapporti commerciali, da parte del cliente, fosse imputabile alla mandante; l’unico capitolo di prova, in proposito, era generico perchè relativo ad una non meglio specificata insoddisfazione del cliente;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, B.G., cui ha resistito la società, con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo è dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto con particolare riferimento agli artt. 1750 e 2119 c.c., ed alla nozione di giusta causa riferita al rapporto di agenzia;

la parte ricorrente imputa alla sentenza di aver esteso al rapporto di agenzia la nozione di giusta causa, quale delineata in relazione al recesso dal rapporto di lavoro subordinato; secondo il ricorrente, nell’ambito del rapporto di agenzia, la giusta causa sarebbe identificabile in un qualsiasi fatto anche di minore gravità rispetto all’ipotesi di inadempimento colpevole e non di scarsa importanza, che non consente la prosecuzione, nemmeno temporanea, del contratto;

il motivo è infondato;

la sentenza impugnata ha fatto applicazione dei principi di questa Corte elaborati con specifico riferimento al recesso dell’agente e ritenuto, conformemente ad essi, che la giusta causa di risoluzione dovesse essere identificata solo con l’inadempimento, colpevole e non di scarsa importanza, del preponente, che leda in misura considerevole l’interesse del primo (Cass. n. 1376 del 2018; Cass. n. 19678 del 2005; Cass. n. 845 del 1999);

ha, quindi, proceduto, alla verifica, in concreto, di sussistenza o meno degli elementi idonei a soddisfare l’indicato criterio generale ed astratto e concluso, nell’esercizio del tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito (Cass. 19678 cit; Cass. n. 8110 del 1995) ed in questa sede non validamente censurato, per la non ricorrenza degli stessi nella fattispecie di causa;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto con particolare riferimento all’art. 2697 c.c., nonchè omessa motivazione su di un punto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti; parte ricorrente, nello specifico, assume l’omissione di motivazione in punto di risultanze istruttorie relative alla perdita di clientela;

il motivo è, nel complesso, infondato;

quanto al dedotto vizio di omissione motivazionale, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014; Cass., sez.un., n. 8053 del 2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo” che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass., sez. un., n. 14477 del 2015; ex multis, tra le sezioni semplici, Cass. n. 31543 del 2018);

è stato, peraltro, precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., sez.un., n. 22232 del 2016);

tali evenienze non sono affatto riscontrabili nel caso di specie, avendo la Corte territoriale spiegato le ragioni della decisione, evidenziando come gli elementi di prova offerti dall’agente, a dimostrazione di una giusta causa di recesso per la perdita di un cliente, fossero generici in quanto inidonei a dimostrarne l’imputabilità alla preponente;

si tratta di una motivazione comprensibile, della cui plausibilità e condivisibilità può discutersi ma non già della sua esistenza;

infondata è, altresì, la deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c.;

l’agente che, a fronte della domanda della società preponente di pagamento dell’indennità di mancato preavviso per recesso immediato (dell’agente, appunto), oppone la “giusta causa” della risoluzione del rapporto ed agisce, in via riconvenzionale, per il pagamento, in suo favore, dell’indennità medesima e di quella di fine rapporto, ha l’onere di provare, quale fatto estintivo della pretesa altrui e costitutivo della propria domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro sia imputabile, nei termini sopra specificati, all’altra parte del rapporto;

pertanto, l’agente resterà soccombente nel caso in cui, a fronte del suo recesso immediato dal rapporto, perduri, nel giudizio, l’incertezza probatoria in merito al diverso fatto controverso (id est: l’inadempimento della preponente) e la causa, come nella specie, debba essere decisa in applicazione della regola residuale desumibile dall’art. 2697 c.c.;

la decisione, improntata a tali principi, non è dunque incorsa nel denunciato errore di diritto;

alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso va rigettato, con le spese liquidate, secondo soccombenza, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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