Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11031 del 19/05/2011

Cassazione civile sez. VI, 19/05/2011, (ud. 18/03/2011, dep. 19/05/2011), n.11031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.C., F.G. e F.D., residenti in

(OMISSIS), rappresentati e difesi per procura a margine

del ricorso dall’Avvocato GALEOTTA Giovanni, elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avvocato Ugo Pioletti in Roma,

Viale Tito Livio n. 45;

– ricorrenti –

contro

Fallimento L.V., in persona del curatore Dott. V.

G., rappresentato e difeso per procura a margine del

controricorso dall’Avvocato POLISENA Filippo, elettivamente

domiciliato presso il suo studio in Porto San Elpidio, corso Umberto

1 n. 418;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e

V.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 525 della Corte di appello di Ancona,

depositata il 2 settembre 2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18 marzo 2011 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese delle parti, svolte dall’Avvocato Ugo Pioletti, per

delega dell’Avvocato Giovanni Galeotta, per i ricorrenti e

dall’Avvocato Filippo Polisena per il controricorrente;

udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio Velardi.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio, letto il ricorso proposto da F.C., F. G. e F.D., la prima anche in proprio e tutti quali eredi di F.L., per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Ancona pubblicata il 2 settembre 2009, che, in accoglimento dell’appello proposto dal Fallimento L.V. e da V.M., aveva dichiarato consensualmente risolto il contratto di compravendita di un immobile stipulato tra F. L. e L.V. e V.M. con scrittura privata del 22 luglio 1978, respingendo le domande avanzate in primo grado da F.L. e quindi condannato F.C., quale occupante senza titolo, al rilascio del bene;

letto il controricorso e ricorso incidentale del Fallimento L. V.;

rilevato che i due ricorsi vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza;

ritenuto che, in via preliminare, vanno esaminate le eccezioni sollevate dalla parte resistente nel proprio controricorso e all’udienza, con cui ha eccepito l’inammissibilità del ricorso principale proposto dai consorti F. in quanto notificato presso il difensore degli intimati in un’unica copia, per incertezza in ordine alla identificazione delle parti nei cui confronti esso appare rivolto, per mancata esposizione dei fatti di causa e per non avere i ricorrenti dimostrato la propria legittimazione a ricorrere;

che tutte queste eccezioni sono infondate, atteso, quanto alla prima, che la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), non è affetta da alcuna nullità ma è valida ed efficace (Cass. S.U. n. 29290 del 2008), che, quanto alla seconda, il ricorso principale appare proposto nei confronti de Fallimento di L.V. e nei confronti di V. M., che sono le medesime parti nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza impugnata, che, quanto alla terza, il ricorso rispetta pienamente il requisito richiesto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1 n. 3, dal momento che contiene indicazioni sufficienti a rappresentare l’oggetto della controversia, le specifiche domande, eccezioni e difese articolate dalle parti e come si siano svolti i fatti di causa, mentre, con riguardo alla quarta eccezione, avendo le parti dimostrato la propria legittimazione a mente dell’art. 110 cod. proc. civ., allegando al ricorso dichiarazione contenente la denunzia di successione ereditaria al loro genitore F.L., parte originaria del giudizio, deceduto il 27 novembre 2005;

ritenuto che il primo motivo del ricorso principale, denunziando la violazione dell’art. 163 cod. proc. civ., comma 2, e art. 330 cod. proc. civ., assume la nullità dell’atto di appello per errata indicazione del convenuto e dei suoi dati identificativi per essere stato l’atto di gravame proposto e notificato, in data 28 giugno 2006, presso il procuratore dopo il decesso del convenuto medesimo, intervenuto in data 27 novembre 2005, successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado, avvenuta il 13 maggio 2005;

vista la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., dal Consigliere designato Dott. Mario Bertuzzi, che ha ritenuto il motivo “fondato alla luce del principio affermato da SS.UU. di questa Corte con sentenza 16 dicembre 2009, n. 26279, secondo cui l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente, con la precisazione che ove l’impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non può trovare applicazione la disciplina dell’art. 291 cod. proc. civ.”;

rilevato che la relazione è stata regolarmente comunicata al Procuratore Generale, che non ha svolto controsservazioni, e notificata alle parti;

ritenuto che le argomentazioni e la conclusione della relazione meritano di essere interamente condivise, apparendo rispondenti sia a quanto risulta dall’esame degli atti di causa, che all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte sopra indicato, cui questo Collegio ritiene di dover dare piena adesione, che ha ravvisato nell’ipotesi considerata un vizio insanabile dell’atto di impugnazione in relazione al contenuto della c.d. editto actionis, per erronea indicazione della parte nei cui confronti è rivolta la domanda giudiziale, non emendabile attraverso l’ordine di rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., essendo quest’ultimo un rimedio utilizzabile soltanto nei casi di nullità della notificazione;

che, alla luce di tale conclusione, deve dichiararsi l’inammissibilità dell’atto di appello avanzato dal Fallimento di L.V. e da V.M., con conseguente assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale e di quello incidentale, e cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382 cod. proc. civ., comma 3;

che avverso tale conclusione parte controricorrente ha obiettato che, poichè l’atto di appello risulta comunque proposto e notificato anche nei confronti di F.C., che era parte del giudizio di primo grado, il vizio riscontrato dovrebbe ritenersi superabile in forza della possibilità di integrazione del contraddittorio prevista dall’art. 331 cod. proc. civ., nei confronti della parte che, nel giudizio di impugnazione relativo a cause inscindibili o tra loro dipendenti, abbia citato solo alcuni dei contraddittori;

che tale argomentazione non ha pregio, in quanto, come emerge chiaramente dalla lettura della sentenza impugnata, la posizione processuale assunta da F.C. non è legata da alcun rapporto di inscindibilità o dipendenza necessaria con quella del padre F.L., tenuto conto che F.L. agì in giudizio chiedendo che fosse dichiarato il proprio acquisto dell’immobile oggetto di controversia, in forza della scrittura privata di compravendita sottoscritta con i convenuti V. N. e L.V., mentre F.C. venne convenuta in giudizio da questi ultimi, in un processo poi riunito a quello promosso da F.L., quale detentrice senza titolo dell’immobile suddetto, al fine di ottenerne la condanna al suo rilascio, sicchè F.C. era parte di una causa diversa e de tutto distinta, nonostante il provvedimento di riunione, da quella introdotta dal padre;

che la declaratoria di inammissibilità dell’atto di appello avanzato dagli odierni intimati comporta il passaggio in giudicato della pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l’acquisto in favore di F.L. della proprietà dell’immobile per cui è causa;

che tale conseguenza estende i suoi effetti, ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., comma 1, anche sul capo della decisione impugnata che ha condannato F.C. al rilascio dell’immobile, in quanto dipendente dalla statuizione cassata con cui il medesimo giudice ha dichiarato risolto il contratto che ne aveva trasferito la proprietà a F.L.;

che, infatti, l’accertamento ormai definitivo dell’acquisto della proprietà del bene in capo a F.L. scaturente dalla pronuncia di primo grado travolge il titolo dedotto dalle controparti L. e V. a fondamento della loro domanda di rilascio dell’immobile avanzata nei confronti di F.C.;

che, pertanto, la cassazione della sentenza di secondo grado va estesa anche al capo della decisione che ha accolto la domanda di rilascio dell’immobile proposta dagli odierni intimati, domanda che, sussistendone le condizioni, va decisa nel merito e quindi rigettata per le ragioni sopra esposte;

che, attesa la loro soccombenza, le parti intimate vanno condannate al pagamento delle spese di giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri motivi ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito la domanda avanzata dal Fallimento di L.V. e da V.M. nei confronti di F.C., la rigetta; condanna gli intimati al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e contributi di legge.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2011

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