Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11031 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18399-2018 proposto da:

G.G., in proprio e quale ex legale rappresentante della

SIGMA PETROLI SRL, S.S., legale rappresentante pro tempore

e amministratore unico della MEETING SRL, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA F.P. DE’ CALBOLI, 54, presso lo studio dell’avvocato

VALERIO STANISCI, rappresentati e difesi dall’avvocato SEBASTIANO

DEL CASALE;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI CHIETI,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1021/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

con sentenza n. 1021 del 2017, la Corte di appello di L’Aquila, provvedendo sul gravame proposto da G.G., in proprio e quale ex legale rappresentante della società Meeting S.r.l., e dalla società Meeting Srl avverso la sentenza n. 114 del 2016 resa dal Tribunale di Vasto, in accoglimento dell’appello “per quanto di ragione” ed in parziale riforma della pronuncia di primo grado, “conferma(va) la sanzione di Euro 33.040,00 di cui all’ordinanza ingiunzione (…) ed annulla(va) le sanzioni di Euro 20.250,00 e di Euro 8.714,00 di cui alle ordinanze ingiunzione n(…)”;

a fondamento del decisum, per quanto in questa sede rileva, con specifico riferimento alla censura di inutilizzabilità ed inattendibilità della documentazione prodotta dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Chieti, la Corte territoriale ha osservato come la genuinità di tale documentazione fosse stata genericamente contestata nel ricorso introduttivo di primo grado (benchè facesse parte del compendio documentale posto a fondamento dell’accertamento ispettivo) mentre una contestazione più specifica era (tardivamente) avvenuta in udienza (senza però che fossero analiticamente indicate le aggiunte e/o le modifiche disconosciute); solo in grado di appello (dunque tardivamente) era stato dedotto che i “(…) fogli turno (erano) stati falsificati ad arte dalle dipendenti A. e D.G.”; per la Corte di merito, le contestazioni sollevate in grado di appello integravano un fatto nuovo ed ulteriore rispetto alle difese svolte in primo grado, in chiara violazione del divieto dei nova; in ogni caso (” ad ogni buon conto”), secondo la Corte territoriale, quand’anche si fosse dovuta ipotizzare la fondatezza delle censure relative all’inutilizzabilità dei predetti documenti, la parte appellante non aveva introdotto in giudizio specifici elementi di conoscenza diretti ad una diversa e (più) attendibile ricostruzione della turnistica concretamente osservata dal personale interessato;

la Corte di appello ha, inoltre, osservato, quanto alla mancata concessione dei riposi giornalieri e settimanali, come le conclusioni degli ispettori verbalizzati avessero trovato ampia e convincente dimostrazione nella documentazione acquisita nel corso degli accertamenti ispettivi dalla quale era emersa la violazione della disciplina di cui al D.Lgs n. 66 del 2003;

hanno proposto ricorso per cassazione, G.G. e la Meeting S.r.l., fondato su tre motivi;

il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali e la Direzione territoriale del Lavoro di Chieti si sono costituite al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotta motivazione apparente, per avere la Corte di appello utilizzato affermazioni tautologiche ed apodittiche, dando per scontate circostanze che invece nel corso del processo non avevano mai avuto un riscontro probatorio certo ed attendibile, nonchè motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile a causa della contraddittorietà di alcuni passaggi ed infine contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili;

il motivo investe, in particolare, i passaggi motivazionali relativi alla ritenuta utilizzabilità della documentazione prodotta dalla Direzione Provinciale del Lavoro, nonostante l’asserito disconoscimento, tempestivo e specifico, con riferimento alla non genuinità della stessa, per alterazione da parte delle dipendenti A. e D.G., dalla stessa sentenza, ad altri fini, ritenute inattendibili; le censure riguardano, inoltre, l’omissione motivazionale in merito al regime dell’onere di prova, tutto a carico della Pubblica Amministrazione, ed in relazione ai rilievi mossi, sin dal ricorso introduttivo, relativamente alle modalità di calcolo delle sanzioni;

il motivo è inammissibile;

è stato precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., sez.un., n. 22232 del 2016);

tale evenienza non è specificamente dedotta (e non ricorre) nel caso si specie; la Corte territoriale ha spiegato, in maniera esaustiva e niente affatto perplessa, la ragione per cui ha ritenuto r utilizzabili i “fogli turno”, relativi agli anni 2007 e 2008, prodotti dalle dipendenti, evidenziando come il disconoscimento degli stessi, per una supposta non genuinità, fosse tardivamente avvenuto, in quanto operato, in modo esplicito, solo in grado di appello; ad abundantiam, la Corte territoriale ha anche osservato come la parte che aveva eccepito la manomissione dei documenti neppure avesse) offerto elementi a dimostrazione di un orario di lavoro diverso da quello che risultava dai fogli in questione;

si tratta di un impianto argomentativo assolutamente comprensibile, in relazione al quale può discutersi della sua correttezza e plausibilità ma non di “anomalia motivazionale”;

considerazioni analoghe vanno fatte in relazione alla denuncia di omissione motivazionale in ordine alla questione di violazione del D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 13, comma 4, perchè, secondo i ricorrenti, “l’utilizzo dei fogli turno reperiti dal dipendente(…) (non sarebbe) mai stato indicato (…) nel verbale di ispezione (…) nell’illecito amministrativo 30/2010 (…) nell’ordinanza ingiunzione 58/2012” ed altresì per quella (id est: per l’omissione motivazionale) riferita alla statuizione di non sussistenza di deroghe in merito alla disciplina prevista per i riposi giornalieri;

in disparte rilievi di non specificità delle censure (quanto meno con riferimento al primo profilo, per non essere trascritti gli atti su cui la critica si fonda, avendo la Corte territoriale, invece, affermato che “tale documentazione (…) face(va) parte del compendio documentale posto a fondamento dell’accertamento ispettivo” -v. pag. 4, ultimo cpv. della sentenza impugnata-), si tratta comunque di “lacune” che non integrano una situazione di “anomalia motivazionale” nei termini sopra specificati;

quanto, infine, alla deduzione di omissione motivazionale in merito alle modalità di calcolo delle sanzioni, i rilievi che, nella sostanza, denunciano una violazione di legge, difettano di specificità, non illustrando, con la dovuta analiticità, le ragioni per cui il calcolo, come in concreto effettuato, avrebbe determinato la denunciata violazione della L. n. 133 del 2008, di modifica del D.Lgs. n. 66 del 2003;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è dedotto vizio di motivazione nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., con riferimento agli artt. 214 e 215 c.p.c.;

parte ricorrente imputa alla sentenza di non aver chiaramente illustrato le ragioni per cui ha ritenuto che la documentazione rappresentata dai fogli turno relativi agli anni 2007, 2008 e 2009, utilizzata dalla DPL e disconosciuta dai ricorrenti, fosse conforme all’originale; ha, inoltre, contestato l’affermazione di tardività del disconoscimento, assumendo di aver effettuato un disconoscimento nei termini di legge;

per il vizio di motivazione, valgono le considerazioni espresse in relazione al primo motivo;

inammissibile è pure la censura di violazione di legge, non illustrata nel rispetto degli oneri di specificazione imposti dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 4 e art. 369 c.p.c., n. 6;

si ribadisce che la Corte territoriale ha ritenuto il disconoscimento tardivo perchè “specificato” solo in grado di appello; secondo la sentenza impugnata, all’udienza dell’11.01.2013 non erano “state analiticamente indicate le aggiunte e/o (le) modifiche disconosciute”; l’affermazione non è adeguatamente censurata, omettendo la parte ricorrente di trascrivere il verbale di udienza;

a tale riguardo, vale ribadire il principio per cui, ove siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un “error in procedendo” ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 della medesima norma, si impone alla parte non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass., sez. un., 8877 del 2012; ex plurimis, Cass. n. 13713 del 2015);

con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.;

il motivo investe la statuizione secondo cui, in ogni caso (” ad ogni buon conto”), quand’anche si fosse dovuta ipotizzare la fondatezza delle censure relative all’inutilizzabilità dei documenti di cui ai precedenti motivi, la parte appellante (id est: la parte datoriale) non aveva introdotto in giudizio specifici elementi di conoscenza diretti ad una diversa ed attendibile ricostruzione della turistica concretamente osservata dal personale interessato nonchè il passaggio motivazionale (punto 4. della sentenza) in cui la Corte di appello fa riferimento ai prospetti indicativi dei riposi settimanali e di quelli giornalieri; in relazione a questi ultimi, si assume l’inidoneità a soddisfare l’onere probatorio a carico dell’amministrazione;

anche il terzo motivo è inammissibile;

quanto al primo profilo, la censura riguarda argomentazioni che, all’evidenza, sono rese ad abundantiam rispetto alla principale ratio decidendi che si fonda sulla ritenuta tardività del disconoscimento dei documenti comprovanti l’orario di lavoro; trattandosi di un passaggio motivazionale eccedente rispetto alla necessità logico-giuridica della decisione, esso non è suscettibile di censura in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 23635 del 2010; in motiv., Cass. n. 28923 del 2018, p. 4.5.);

per il resto (quanto cioè all’accertamento di mancato riconoscimento dei riposi giornalieri e settimanali), non appare pertinente la censura formulata in relazione all’art. 2697 c.c.; la Corte di merito ha ritenuto accertata, alla stregua degli elementi di giudizio, la violazione della disciplina in materia di riposi; non ha, dunque, deciso la causa in base alla regola di distribuzione dell’onere di prova;

conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile;

non si fa luogo a pronuncia sulle spese, non avendo la parte intimata svolto alcuna attività difensiva;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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