Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11030 del 27/05/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 11030 Anno 2016
Presidente: FORTE FABRIZIO
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso 17413-2011 proposto da:
ZACCARIA

ANTONIO

(c.f.

ZCCNTN68R11F152N),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY
2, presso l’avvocato MONICA CASTO, rappresentato e
difeso dall’avvocato GIOVANNI BELLISARIO, giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., nuova denominazione di BANCA
INTESA S.P.A., nella qualità di società incorporante
INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A. (C.F. 00799960158), in

Data pubblicazione: 27/05/2016

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL CANCELLO,
20, presso l’avvocato LUIGI PEDONE, rappresentata e
difesa dagli avvocati GENNARO FERRECCHIA, FRANCESCO
TUCCARI, giusta procura a margine del controricorso;

contro

I.F.I.M. S.P.A. ISTITUTO FINANZIARIO DEL MEZZOGIORNO ;
– Intimata –

avverso la sentenza n. 270/2010 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 06/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/03/2016 dal Consigliere Dott. ANDREA
SCALDAFERRI;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato L. PEDONE,
con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’accoglimento del secondo motivo, assorbiti il terzo,

– controricorrente

quarto e quinto, rigetto del primo motivo.

2

Svolgimento del processo

Con

sentenza n. 83 del 2002 il Tribunale di Lecce,

revocando il decreto ingiuntivo emesso dal Pretore di Lecce
in favore della Caripuglia s.p.a. nei confronti di Zaccaria

condannava quest’ultimo al pagamento in favore di Intesa
Gestione Crediti (nel frattempo subentrata a Caripuglia)
della somma di E 5.689,33.
Avverso tale pronuncia

Zaccaria proponeva appello,

sostenendo che la condanna pronunciata dal tribunale era
frutto di una ricostruzione non corretta del rapporto di
conto corrente.
In particolare l’appellante, già dipendente dell’istituto

di credito, deduceva che il tribunale, che pure in linea di
principio aveva escluso la possibilità di compensare i
crediti della banca con quelli da lavoro dipendente dello
Zaccaria, aveva poi finito per calcolare il credito residuo
della banca “per differenza”, ossia operando la
compensazione tra il credito vantato dall’istituto (traente
origine dal saldo passivo di conto corrente e da 57 rate
residue di special prestito scadute in corso di causa) e
le spettanze vantate dall’appellante per t.f.r. ed
emolumenti vari.
Deduceva inoltre l’inesigibilità del credito scaturente
dallo special prestito (in ordine al quale la banca non
3

Antonio e rideterminando le reciproche ragioni creditorie,

aveva avanzato domanda di pagamento delle rate ancora a
scadere), la vessatorietà di una clausola presente nel
contratto di special prestito (che legittimava la banca, in
caso di cessazione del servizio, a richiedere l’immediato
rimborso dell’intera somma in unica soluzione), la mancata

erogazione del prestito in oggetto e l’inopponibilità della
cessione del credito operata da Intesa Gestione in favore
di I.fi.m. s.p.a.
Con sentenza del 23 aprile 2010 la Corte di Appello di
Lecce, rideterminando i crediti reciproci ‘inter partes’,
ne disponeva la compensazione fino a quello di minore
importo vantato dallo Zaccaria, condannandolo, dunque, al
pagamento della differenza e compensando le spese del
grado.
Dopo aver dichiarato l’inammissibilità della querela di
falso proposta in via incidentale dall’appellante e
ribadito l’opponibilità nei suoi confronti della cessione
del credlLo operata

dalla

banca, la Corte territoriale

rigettava alcuni dei rilievi svolti dall’appellante, da un
lato evidenziando che la prospettazione, avvenuta ad opera
della banca solo in sede di opposizione, dell’esistenza del
credito traente origine dallo special prestito non
costituiva una

‘mutatici libelli’

ma solo una precisazione

delle componenti dell’ammontare della pretesa, rimasta

4

dimostrazione, da parte dell’Istituto, dell’effettiva

invariata, e dall’altro che non poteva considerarsi
vessatoria la clausola di estinzione del debito residuo.
Ciò premesso e rideterminati i crediti reciproci delle
parti,

scaturenti dallo scoperto di conto corrente

(riguardo al quale veniva però rideterminato il tasso di

dal credito residuo per lo special prestito e dalle
competenze di fine rapporto spettanti all’appellante, la
Corte operava in via giudiziale le corrispondenti
compensazioni, condannando lo Zaccaria al pagamento della
differenza risultante.
Avverso tale sentenza Zaccaria Antonio ha proposto ricorso
per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resiste
Intesa Sanpaolo s.p.a. con controricorso, illustrato anche
da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
,
Motivi della decisione
1.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità

(anche) del processo e della sentenza di appello per il
fatto che il giudice di primo grado, in violazione delle
norme sul litisconsorzio necessario, ha omesso
l’integrazione del contraddittorio nei confronti del
cessionario del credito controverso e l’interruzione del
processo di primo grado a seguito della dichiarazione del
procuratore dell’Istituto di credito, resa nel corso
dell’udienza del 2.11.1999, avente ad oggetto: a)la
avvenuta incorporazione di Caripuglia s.p.a. in Banca
.

5

interesse ed eliminata la capitalizzazione trimestrale),

Intesa s.p.a. in data 23.12.1998, nel corso del giudizio di
opposizione; b)la intervenuta cessione del credito di
Caripuglia a Intesa Gestione Crediti s.p.a. La mancata
integrazione del contraddittorio nei confronti di Intesa
Gestione Crediti e la omessa interruzione e conseguente

non rilevate neppure dal giudice di appello, vizierebbero
l’intero processo e imporrebbero l’annullamento delle
pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al
giudice di prime cure ex art.383 ultimo comma cod.proc.civ.

La doglianza é priva di fondamento, sotto entrambi i
profili evocati. Quanto alla mancata formale costituzione
nel giudizio di primo grado della cessionaria del credito,
da essa non deriva affatto la necessità di integrazione
del contraddittorio, disponendo l’art.111 cod.proc.civ.
che il processo continua tra le parti originarie e la
sentenza spiega i suoi effetti nei confronti del
successore a a titolo particolare. Né, con riferimento al
secondo profilo denunciato, può ravvisarsi un vizio di
nullità del processo per la mancata interruzione a seguito
della dichiarata incorporazione della originaria parte
convenuta in opposizione. Come questa Corte di legittimità
ha, in anni recenti, avuto modo di affermare
persuasivamente superando un precedente orientamento, le
fusioni che, come quella in esame, siano state

6

riassunzione del processo nei confronti di Banca Intesa,

perfezionate prima dell’entrata in vigore della innovativa
disciplina di cui all’art.2504 bis cod.civ. (1 gennaio
2004), davano sì luogo -in virtù della precedente
normativa- ad un fenomeno successorio, che però si
“mortis causa” perché la

modificazione dell’organizzazione societaria dipende
esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti;
sicché la sopravvenienza di una fusione per incorporazione
non poteva comportare, neppure nella vigenza della
precedente normativa, l’applicazione della disciplina
dell’interruzione di cui agli artt. 299 e segg.
cod.proc.civ. (cfr. Cass. S.U. n. 19698/10; n.4749/2011;
n.21916/2011; n.8600/2014; n. 1376/16).
2.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la

violazione
ed erronea applicazione di norme di diritto con riferimento
alla regolare costituzione del contraddittorio in appello.
Evidenzia che mentre con l’atto di appello vennero evocati
in giudizio Caripuglia s.p.a. e Intesa BCI Gestione Crediti
s.p.a., si costituì in giudizio un soggetto differente
(Intesa Gestione Crediti s.p.a.) da quello evocato.
Va tuttavia osservato che tale pretesa diversità soggettiva
non risulta essere stata eccepita nel corso del giudizio di
appello, né d’altra parte risulta trovare riscontro nella
mera diversità di denominazione allegata in ricorso, che
ben può indicare -come rilevato nel controricorso e
7

diversificava dalla successione

considerato nella sentenza impugnata- la medesima persona
giuridica.
3. Il

terzo motivo coinvolge vari aspetti: l) in primo

luogo il ricorrente lamenta che la corte distrettuale abbia
erroneamente considerato “non nuova” la ragione di credito,

rate di special prestito (ragione di credito che non
risulterebbe esposta specificamente nel ricorso monitorio);
2) in secondo luogo evidenzia la nullità del contratto di
special prestito che, pur conseguendo ad un accordo
sindacale, non era tuttavia disciplinato dalle condizioni
ivi richiamate e soprattutto non prevedeva in alcun modo
l’estinzione anticipata ad opera della banca e la
compensazione con le competenze spettanti a qualunque
titolo al lavoratore dipendente; 3) in terzo luogo si duole
della vessatorietà delle clausole contenute nel contratto,
prive di specifica sottoscrizione.
3.1.

Quanto al primo aspetto, osserva il Collegio che

l’esplicitazione, avvenuta da parte dell’Istituto in sede
di costituzione nel giudizio di opposizione al decreto
ingiuntivo, della ragione di credito fondata sullo special
prestito concesso al ricorrente, è stata rettamente
considerata dalla Corte territoriale “una precisazione
consentita della pretesa”, da un lato essendo rimasto
immutato, sotto il profilo quantitativo, il “petitum”
originariamente fatto valere dalla banca con il ricorso
8

vantata dalla banca, scaturente dal mancato rimborso delle

monitorio e dall’altro essendosi regolarmente svolto,
riguardo

alla

prospettata

causale,

il

dibattito

processuale. E’ in effetti incontroverso che, con la
precisazione operata dalla banca, rimase invariato sia il
“petitum”, cioè l’entità della somma richiesta mediante il

costituita dal saldo passivo del conto corrente, nel quale
le rate di special prestito erano regolate. D’altra parte
la precisazione, espressa dalla corte territoriale, secondo
la quale l’accertamento dell’ammontare delle rate di
special

prestito,

unitamente

alle

altre

competenze

destinate ad affluire sul conto, costituì nel giudizio di

ricorso per decreto ingiuntivo, sia la “causa petendi”,

primo grado oggetto -senza critica alcuna- di specifiche 4-4-AV-indagini tecniche e dei contrapposti assunti delle parti precisazione evidentemente tesa a esplicitare come
l’opponente avesse chiaramente accettato il contraddittorio
sull’indicata ragione di credito- non ha formato oggetto di
specifica censura da parte del ricorrente.
secondo aspetto,

3.2.

Quanto al

concernente l’asserita nullità del

contratto di special prestito, il ricorrente per un verso
ricollega tale vizio alla circostanza che il contratto -che
afferma peraltro non recare la sua sottoscrizione-, pur
conseguendo ad un accordo sindacale, non prevedeva in alcun
modo la possibilità per la banca, in caso di cessazione del
servizio, di estinguere anticipatamente il rapporto di
prestito operando una compensazione tra il credito residuo

e le competenze spettanti a qualunque titolo al lavoratore
dipendente; per altro verso, ne ha affermato la nullità per
contrasto con norma imperativa (art. 125 T.U.B. di cui al
D.Lgs.n.385/93).
Tale prospettazione è priva di fondamento.

contratto da parte del ricorrente è questione che non
risulta -né dalla sentenza impugnata né dal ricorso- esser
stata sollevata in sede di merito e non è quindi
apprezzabile in questa sede di legittimità, va osservato:
a)che la clausola contrattuale sulla anticipata
restituzione, in caso di cessazione del servizio, del
residuo debito risulta testualmente riportata tra
virgolette nella sentenza impugnata (pag.14), senza che in
ricorso risulti alcuna specifica censura al riguardo;
b)che, quanto alla mancata previsione di tale clausola
nell’accordo sindacale, sarebbe del tutto ingiustificato
farne derivare la nullità del contratto concluso dal
ricorrente con l’Istituto.
Nè potrebbe soccorrere il riferimento (peraltro non
risultante discusso in sede di merito) al disposto
dell’art. 125 del d. lgs. n. 385 del 1993, che, secondo il
ricorrente, costituirebbe norma imperativa la cui
violazione comporterebbe nel caso in esame la nullità del
contratto ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. La norma -che
(nel testo qui applicabile ‘ratione temporis’) al secondo
iO

Premesso che l’asserita mancanza di sottoscrizione del

comma prevede che “le

facoltà di adempiere in via

anticipata o di recedere dal contratto senza

penalità

spettano unicamente al consumatore senza possibilità
patto contrario”

di

riguarda infatti i contratti di credito

al consumo, ossia i contratti di finanziamento stipulati

all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente
svolta

(consumatore),

e

sussumibilità

la

in

tale

fattispecie normativa del contratto di special prestito qui
in esame, neppure illustrata in ricorso, pare comunque
doversi escludere tenendo presente come la peculiare
connotazione causale del contratto concluso dal ricorrente
-diretto a concedergli un prestito agevolato proprio in
considerazione della sua speciale e peculiare posizione
soggettiva (ovvero in considerazione del rapporto di
servizio intercorrente con l’Istituto mutuante)- appaia
strettamente connessa proprio alla qualifica professionale
rivestita dal soggetto finanziato.
concernente

l’esistenza

di

3.3.

clausole

Quanto al profilo
vessatorie

non

specificamente sottoscritte, sul punto il ricorrente si
limita a ribadire pedissequamente il disposto normativo
dell’art. 1341 co. 2 cod. civ. senza però indicare nel
contempo quali clausole contrattuali sarebbero, nel caso di
specie, da considerare vessatorie e contrastanti con le
modalità

di

approvazione

previste

richiamata.
11

dalla

normativa

con una persona fisica che agisce per scopi estranei

4.

Con

il

quarto

motivo

viene

censurata

la

contraddittorietà della motivazione in ordine al credito
vantato dal ricorrente, l’omessa applicazione degli artt.
1246, 2117, 2123 cod. civ., e degli artt. 429 co. 3, 545
co. 3 cod. proc. civ. nonchè la falsa applicazione

Secondo il ricorrente, la corte di merito avrebbe ritenuto
di procedere ad una compensazione giudiziale tra le somme
dovute allo Zaccaria e quelle pretese dalla banca,
nonostante la rinuncia alla compensazione che egli avrebbe
comunicato alla banca con telegramma del 29.11.1996, con
conseguente violazione dell’art. 1246 n. 4 cod. civ. (che
appunto prevede che la compensazione non si verifica in
caso di rinuncia fatta preventivamente dal debitore) e
dell’art. 1246 n. 3 (che esclude la compensazione in
relazione ai crediti dichiarati impignorabili). Deduce
inoltre il ricorrente che la corte territoriale: a)avrebbe
omesso di conteggiare in favore di lui l’importo relativo
al mese di novembre 1996, oltre gli interessi legali a
partire dalla maturazione del diritto, e di determinare la
quantificazione del danno per la diminuzione di valore del
credito da lavoro ex art. 429 co. 3 cod. proc. civ.; b)
avrebbe anche trascurato di considerare l’esistenza di un
altro rapporto bancario, intrattenuto presso la sede di
Brindisi, assistito da fido, circostanza che escluderebbe
che l’altro conto corrente, quello incardinato presso la

12

dell’art. 1243 cod. civ.

filiale di Galatina, potesse essere a sua volta assistito
da fido (atteso che un dipendente non potrebbe fruire
contemporaneamente e presso due filiali della stessa
agevolazione).
Anche tali doglianze non meritano accoglimento.
Quanto alla prima doglianza -riguardante l’omessa

considerazione, da parte della corte distrettuale, della
rinuncia alla compensazione operata dal ricorrente mediante
il telegramma inviato all’Istituto in data 29.11.1996- non
può che evidenziarsene la inammissibilità, attesa da un
lato la genericità della deduzione (avendo il ricorrente
omesso di indicare specificamente il contenuto del
telegramma), dall’altro la novità della questione
introdotta, non avendo il ricorrente dedotto e dimostrato
di aver allegato la circostanza nel corso del giudizio di
merito, al fine di invocare l’applicazione delle relative
conseguenze.
4.2. A ciò aggiungasi -anche per quanto concerne la dedotta

violazione del divieto di compensazione riguardo a crediti
impignorabili (art. 1246 n. 3 cod. civ.)- che il
presupposto delle doglianze espresse in ricorso circa la
“compensazione” operata in sentenza si mostra fallace, ove
si consideri l’orientamento consolidato della
giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr.ex
multis Cass.n.15796/09; n.3628/07; n.6033/97) diretto ad
affermare il principio, di carattere generale e operante
13

4.1.

anche nel rapporto di lavoro, secondo cui in presenza di
ragioni di debito e credito delle parti contrapposte
inerenti ad un medesimo rapporto (comprese quelle derivanti
dalla commissione di un fatto illecito) va operato un
semplice accertamento contabile di dare o avere, con

reciproca concorrenza e inapplicabilità delle limitazioni,
come quella della non compensabilità del credito
impignorabile, vigenti per la compensazione in senso
tecnico.
Ed è del suddetto strumento della compensazione in senso
atecnico che la corte di merito ha fatto legittimo uso
nella sentenza impugnata, sicchè deve escludersi che, in
tal modo, abbia violato il divieto di cui all’art.1246 n.3
cod.civ.
4.3.

Anche le ulteriori doglianze espresse nel motivo si

mostrano inapprezzabili, atteso che: a) la deduzione circa
l’omesso conteggio in favore del ricorrente di alcuni
crediti ulteriori (lo stipendio relativo al mese di ottobre
1996, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria) è
inammissibile per genericità, non risultando precisato in
ricorso come, attraverso un’analitica ricostruzione delle
somme che il ricorrente assume a lui dovute, si dovrebbe
pervenire ad accertare l’insufficienza della
quantificazione finale operata dalla Corte territoriale in
relazione alle singole voci asseritamente omesse; b)del
14

elisione automatica dei relativi crediti fino alla

pari inammissibile, prima ancora che del tutto incongrua,
si mostra la deduzione circa la assenza del fido, che si
palesa diretta ad ottenere una rivisitazione dei profili
concernenti il merito del giudizio, estranea alla verifica
di legittimità.
Con il quinto motivo il ricorrente ha lamentato la

violazione e l’erronea applicazione delle norme che
disciplinano la proposizione della querela di falso (artt.
221, 222 e ss. cod. proc. civ., art. 71 cod. proc. civ. e
art. 355 cod. proc. civ.).
In particolare, secondo il ricorrente, la Corte, a fronte
della proposizione della querela di falso da parte dello
Zaccaria, avrebbe dovuto sospendere il giudizio e fissare
alle parti un termine perentorio per la riassunzione
davanti al tribunale„ atteso che da un lato nella stessa
erano indicati tutti gli elementi di prova che consentivano
di verificare la falsità dei documenti e dall’altro la
Corte, pur dichiarando inammissibile la querela di falso,
ha svolto nella sentenza impugnata un’analitica valutazione
ed esame dei documenti impugnati, sostituendosi di fatto al
tribunale, il solo giudice demandato a valutare e decidere
sulla questione.
Il motivo è infondato.
Infatti, esaminando il passo contenuto a pag. 7 della
sentenza,

emerge come la Corte territoriale abbia

dichiarato inammissibile la querela di falso (il che
.

15

5.

esclude l’adozione del provvedimento di sospensione del
processo ex art.355 cod.proc.civ.) in quanto “in violazione
dell’art. 221 cod. proc. civ., la querela non contiene
l’indicazione, prescritta a pena di nullità, delle prove
della falsità, elemento questo che, per consolidata

falsità sia rilevabile ictu

°culi e quindi non occorrano

indagini istruttorie, diverse dall’esame del documento e
dalla considerazione di fatti la cui certezza sia fuori
discussione”. Il ricorrente si limita sul punto a ribadire
di aver indicato tutti gli elementi di prova che
consentivano di verificare la falsità, ma ha omesso di
indicare specificamente quali fossero tali elementi di
prova. Tanto più che la Corte territoriale, nell’esaminare
successivamente i singoli documenti impugnati (esame che
non appare in contraddizione con la declaratoria di
inammissibilità della querela, trattandosi evidentemente di
un accertamento che la Corte ha svolto al solo fine di
escludere che la falsità fosse rilevabile

ictu cculi),

ha

motivato in modo logico e coerente circa le ragioni della
ritenuta inammissibilità, molte delle quali legate
d’altronde non a ragioni di merito ma a profili puramente
formali (quali l’inidoneità di alcuni documenti ad essere
contestati con la querela di falso e l’irrilevanza o
assoluta inconferenza di alcuni documenti in relazione al
thema decidendum).

16

giurisprudenza, può essere omesso solo nel caso in cui la

6.

Si impone dunque il rigetto del ricorso, con la

conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle

spese di questo giudizio, che si liquidano come in
dispositivo.
P.Q.M.

rimborso in favore della controricorrente delle spese di
questo giudizio, in

e

3.200,00 oltre spese generali

forfetarie e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al

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