Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11026 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 10/06/2020), n.11026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25518-2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROSARIO SANTESE;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA

CORETTI, VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 28/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 23/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Salerno con la sentenza n. 651/2016 aveva rigettato l’appello proposto da F.A. avverso la decisione con la quale il Tribunale locale aveva rigettato la sua domanda diretta alla declaratoria del diritto all’iscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli del comune di residenza per gli anni 2009-2010.

La Corte territoriale aveva ritenuto non fornita dalla lavoratrice la prova della effettività della prestazione lavorativa. In particolare aveva ritenuto che le testimonianze rese dai testi escussi fossero in assoluta contrapposizione con le ulteriori risultanze istruttorie, anche documentali, dalle quali era emerso che la azienda presso cui aveva assunto di aver lavorato aveva cessato la propria attività in epoca antecedente a quella della denunciata prestazione.

Avverso detta decisione la F. proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva l’Inps con controricorso.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1)-Con il primo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2697 c.c., per aver, la corte salernitana, ritenuto non attendibili le prove testimoniali in quanto in contrasto con i verbali ispettivi.

Esponeva il ricorrente che i predetti verbali non potevano costituire prova assoluta della veridicità dei fatti attestati, essendo possibile contrastarli con prove di segno opposto.

Il motivo risulta infondato in quanto il giudice di merito ha valutato complessivamente le risultanze testimoniali unitamente ai verbali ed alle ulteriori circostanze attestanti la cessazione dell’attività della azienda in cui la ricorrente aveva assunto di aver lavorato. Rispetto a tali elementi contrastanti, la corte ha espresso una valutazione di merito non più censurabile in questa sede.

Come già in molte occasioni affermato “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016).

2)-Con il secondo motivo è dedotta la omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Parte ricorrente, pur richiamando il vizio di cui alla norma richiamata, lamenta in sostanza la errata valutazione delle prove raccolte ed in particolare la valenza attribuita dal giudice al verbale ispettivo, rispetto al quale deduce che alcun riscontro effettivo ed oggettivo era stato svolto dai verbalizzanti.

Il motivo è inammissibile.

Deve rilevarsi che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi del’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016)

Questa Corte ha anche specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017)

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.

Nel motivo in esame alcuno specifico fatto storico è espressamente indicato, essendo invece riproposte le complessive censure al verbale ispettivo.

Per le esposte ragioni il ricorso risulta inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 1.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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