Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11025 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 27/04/2021), n.11025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12937/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

DERRICK ARQUATA Spa, già Labronica Containers Srl, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli

Avvocati Remo Dominici, Lorenzo Magnani e Francesco D’Ayala Valva,

giusta procura speciale in calce al ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, viale Parioli n. 43, presso e nello studio

dell’Avv. Francesco D’Ayala Valva;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 733/2014 della Commissione Tributaria

Centrale, Sezione della Toscana depositata in data 24 marzo 2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2020

dal Consigliere Dott. Grazia Corradini;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. De

Augustinis che ha concluso per l’accoglimento;

uditi i difensori della ricorrente e della controricorrente, che

hanno insistito sulle conclusioni in atti.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La S.p.A. Derrick Arquata, già Labronica Containers s.r.l., propose ricorso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate contro l’avviso di rettifica n. 812859/1992, relativo all’anno di imposta 1990, con cui l’ufficio IVA di Livorno, escludendo le esenzioni invocate dalla contribuente ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, comma 1, lett. e), (quanto ai servizi di riparazione e manutenzione) e art. 9, comma 1, n. 5, dello stesso D.P.R. (quanto ai servizi di movimentazione), aveva richiesto il pagamento dell’imposta relativa ad una serie di fatture emesse per riparazione, manutenzione e movimentazione di contenitori, applicando nel contempo le sanzioni per irregolare fatturazione e dichiarazione infedele.

La Commissione Tributaria di primo grado di Livorno, con decisione n. 261/1994, rigettò il ricorso, non ritenendo offerta la prova, spettante al contribuente, della qualità di “dotazione di bordo” dei containers. La pronuncia fu riformata dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Livorno, che, con decisione n. 686/3/1995, accolse l’appello della contribuente ed annullò l’avviso di rettifica, richiamando la Circolare n. 688/31493 del 12.7.1973, nonchè l’art. 267 della legge doganale e rilevando che i container costituivano oggettivamente dotazioni di bordo, ancorchè non posseduti da armatori.

La Commissione Tributaria Centrale, Sezione di Firenze, investita dalla impugnazione della Agenzia delle Entrate – che aveva dedotto come la contestazione riguardasse operazioni su containers di proprietà di società di leasing o di società commerciali che non erano armatori, per i quali non vi era la prova che costituissero dotazioni di bordo di navi destinate all’esercizio di attività commerciale o che fossero nella condizione doganale di beni in transito, esportazione o importazione temporanea – rigettò la impugnazione, con decisione n. 733/2014, depositata in data 24 3.2014

La Commissione Tributaria Centrale ritenne: “ante omnia vanno esaminate le emesse fatture con esenzione di imposta; esse attengono ad operatori commerciali statunitensi, inglesi, austriaci e pacificamente sono contraddistinte da numero codici identificativi. La indicazione della titolarità transoceanica dei beni oggetto dell’intervento manutentivo, commista all’ubicazione della sede della incisa in una città portuale e commerciale nonchè alla possibilità dell’ufficio di controllare la riferibilità dei contenitori ai soggetti destinatari delle fatture, costituisce un insieme di elementi militanti a sicuro favore della società di capitali già toscana (oggi ligure), emittente, per analoghe operazioni commessele da operatori commerciali non anche a fini di dotazione di bordo, di documentazione fiscale ritualmente assoggettata ad IVA”. Rilevò, quindi, richiamando il principio di diritto discendente dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 20575 dei 2011, menzionata dalla contribuente con memoria difensiva, come fra le operazioni comprese nell’art. 8 e quelle comprese nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis “esistesse un rapporto di genus ad speciem, nel senso che la cessione di beni (logicamente) destinati alla dotazione di bordo delle navi ricade nella disciplina dell’art. 8 bis, comma 1, lett. b), nell’ipotesi in cui la cessione alla ditta acquirente avvenga mediante consegna dei beni nello spazio comunitario (ma, al riguardo, della cd. traditio del bene nulla risulta palesato, soccorrendo le caratteristiche funzionali del bene)”.

Contro la decisione della Commissione Tributaria Centrale, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato in data 11 maggio – 15 maggio 2015, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate lamenta violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la decisione impugnata ritenuto di potere ricavare dalla nazionalità estera dei destinatari delle fatture e dalla indicazione in fattura di un numero identificativo la prova della non imponibilità delle suddette prestazioni, senza specificare in concreto a quale fattispecie intendesse riferirsi (operazioni su dotazioni di bordo o operazioni su beni ammessi al regime di esportazione, transito o importazione temporanea) e senza specificare neppure le ragioni per le quali tali elementi integrerebbero una prova idonea in ordine alla sussistenza dei requisiti prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, lett. e) e art. 9, n. 5 con ciò venendo meno al paradigma legale richiesto per integrare il minimo necessario per individuare la motivazione del provvedimento impugnato.

2. Con il secondo motivo si duole di violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, lett. e) e art. 9, comma 1, n. 5, nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè, quanto alla pretesa esenzione ai sensi dell’art. 8 bis, lett. e), la Corte di Cassazione, in particolare con le sentenze n. 25202 e n. 25579 del 2009, emesse fra le stesse parti in relazione alla medesima questione, aveva ritenuto che non esistesse alcuna presunzione di appartenenza dei contenitori ex sè ad una nave e che tutti i contenitori dovessero presumersi imbarcati sulle navi e quindi avere il carattere di “dotazioni di bordo”, spettando invece al contribuente fornire la prova, ai fini della detta esenzione, “che i container oggetto di attività che sarebbero esenti in forza dell’art. 8 bis costituiscano normale corredo di navi mercantili in esercizio per il trasporto delle merci” ed, anche in relazione alla esenzione ai sensi dell’art. 9, sarebbe spettato al contribuente fornire la prova – nella specie neppure offerta – “che le movimentazioni erano relative a containers per i quali sussisteva effettivamente uno degli status doganali fra quelli tassativamente previsti dal citato ad. 9”, mentre neppure le fatture esaminate portavano alcuna menzione che i contenitori riparati fossero nella condizione doganale di temporanea importazione; il che era cosa diversa dalla presenza di un codice identificativo che non giustificava la non imponibilità per la cui sussistenza, a norma del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 214 e del regolamento della Commissione Europea 2 luglio 1993, n. 2454/93/CEE, erano necessari precisi requisiti individuati anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

3. Il primo motivo, incentrato sul difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata, sub specie di motivazione apparente, in violazione di norme processuali è fondato, mentre il secondo motivo resta assorbito.

3.1. Va ricordato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, omologo art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione. in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

3.2. L’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Code precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonchè la giurisprudenza ivi richiamata). Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

3.3. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. LI, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

3.4. Orbene, tale grave vizio ricorre nel caso in esame poichè, in effetti, la decisione impugnata, di cui è stata trascritta la motivazione nella parte espositiva della presente sentenza, pur con le difficoltà derivanti dal fatto che risulta scritta “a penna” con scrittura che pone pure qualche problema di interpretazione, consiste sostanzialmente in una frase del tutto incomprensibile e contraddittoria che non consente in alcun modo di comprendere l’iter logico che ha portato la Commissione Tributaria Centrale, sezione di Firenze, a rigettare il ricorso dell’Ufficio. L’unico riferimento alla “titolarità transoceanica dei beni oggetto dell’intervento manutentivo” perde qualsiasi significato allorchè viene a raffronto con la parte finale della frase “costituisce un insieme di elementi militante a sicuro favore della società di capitali già toscana, oggi ligure emittente, per analoghe operazioni commessele da operatori commerciali non anche a fini di dotazione di bordo, di documentazione fiscale ritualmente assoggettata ad IVA”. Incomprensibile è pure il richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 20575 del 2011, alla quale si sarebbe adeguata la decisione impugnata, francamente privo di qualsiasi significato, poichè tale ultima sentenza, che riguardava ii caso di agevolazione ai sensi dell’art. 8 bis lett. a), ha espressamente riconosciuto che la pronuncia non si poneva in contrasto con il precedente massimato n. 25201 del 2009 (con cui era stata decisa la stessa questione fra le stesse parti relativa ad una delle annualità pregresse) poichè, nel caso di cui alla sentenza n. 20575 del 2011, fra l’altro relativo a fattispecie ai sensi dello stesso art. 8 bis, lett. a) al contrario di quanto ritenuto con la sentenza n. 25201 del 2009, la mancata contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle caratteristiche funzionali del bene esauriva l’ambito della prova gravante sulla ditta cedente ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, comma 1, lett. d), la quale – in assenza di ulteriori adempimenti richiesti dalla norma, come invece espressamente imposto dall’art. 8, comma 1, lett. a), seconda parte – non era tenuta a fornire anche la prova del concreto impiego del bene (installazione del container a dotazione di bordo della nave) da parte del cessionario.

3.5. Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. è poi ancora più evidente con riguardo alla omessa pronuncia sul motivo di impugnazione dedotto dalla Agenzia delle Entrate davanti alla Commissione Tributaria Centrale in relazione alla insussistenza dei requisiti per la agevolazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n. 5. La decisione impugnata non ha infatti preso in alcun modo in esame la sussistenza o meno dei presupposti di tale esenzione, mai neppure menzionata nella motivazione della decisione impugnata, che tratta esclusivamente della esenzione ai sensi dell’art. 8 bis e del rapporto di “genus ad speciem” fra l’art. 8 e l’art. 8 bis.

4. Conclusivamente, quindi, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con conseguente annullamento della decisione impugnata e rinvio, anche con riguardo alla regolazione delle spese del presente giudizio, alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana affinchè decida sulla sussistenza o meno dei requisiti per la duplice esenzione IVA che la Agenzia delle Entrate aveva escluso con l’iniziale avviso di rettifica.

P.Q.M.

La Corte: Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la decisione impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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