Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11024 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 05/05/2017, (ud. 26/01/2017, dep.05/05/2017),  n. 11024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27827-2011 proposto da:

A.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SALERNI, che

lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA UFFICIO

SCOLASTICO REGIONALE LAZIO, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA – UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI

ROMA (già CENTRO SERVIZI AMMINISTRATIVI DI ROMA, già

Provveditorato agli Studi di Roma), ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE

DI “VITTORIO LATTANZIO” (già Istituto di Istruzione Superiore di

“(OMISSIS));

– intimati –

avverso la sentenza n. 3162/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/05/2011 r.g.n. 6601/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2017 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato ARTURO SALERNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3162 del 2011 rigettava impugnazione proposta da A.D. nei confronti del MIUR, dell’Ufficio scolastico regionale per il Lazio, dell’Ufficio provinciale di Roma, e dell’Istituto superiore “(OMISSIS)”, avverso la sentenza n. 7683/2008, resa tra le parti dal Tribunale di Roma, con la quale era stata rigettata la domanda proposta dal lavoratore volta ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità maturata nella Provincia di Reggio Calabria fino al passaggio nel personale ATA nel dicembre 1999.

2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il lavoratore prospettando dieci motivi di ricorso.

3. Il MIUR resiste con controricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica, nella quale ha ricordato che nelle more del giudizio è intervenuta la sentenza della CGUE S. e la sentenza Agrati della CEDU, e che questa Corte, con numerose sentenze, ha tenuto conto della suddetta evoluzione giurisprudenziale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente con plurimi e articolati motivi di ricorso assume, sotto diversi e articolati profili, la violazione delle norme che regolano la materia e cioè la L. n. 124 del 1999, art. 8, e la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, (finanziaria del 2006).

2. I motivi deducono i seguenti vizi:

1) violazione art. 6 della CEDU (art. 360 c.p.c., n. 3);

2)violazione degli artt. 10 e 11 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3);

3) violazione dell’art. 32 CEDU e dell’interpretazione fornita dalla CEDU sui principi della preminenza del diritto e del giusto processo.

4) Violazione degli artt. 10, 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 e all’art. 1 del Protocollo della CEDU (art. 360 c.p.c., n. 3);

5) Violazione dell’art. 3 della direttiva 77/187/CE trasfusa, unitamente alla direttiva 98/50/CE nella direttiva 2001/32/CE (art. 360 c.p.c., n. 3); sentenza CGUE S.;

violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 34 (art. 360 c.p.c., n. 3);

6) Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, incompatibilità tra norma interpretativa e ratio della L. n. 124 del 1999, art. 8 sulla direttiva 77/187/CE e sul citato art. 34;

7) Erronea applicazione del principio del maturato economico contenuto nella L. n. 312 del 1980, in deroga alla L. n. 124 del 1999, art. 8; violazione della L. n. 124 del 1999, art. 8 (art. 360 c.p.c., n. 3);

8) Violazione della L. n. 124 del 1999, art. 8 (art. 360 c.p.c., n. 3) per mancato riconoscimento del diritto del personale ATA trasferito dagli enti locali allo Stato al computo ai fini giuridici dell’anzianità maturata sino al 31 dicembre 1999, alle dipendenze degli enti di provenienza;

9) Violazione delle disposizioni di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, norma interpretativa della L. n. 124 del 1999, art. 8 in quanto norme non applicabili agli insegnanti tecnici pratici come l’attuale ricorrente (art. 360 c.p.c., n. 3);

10) Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art., 360 c.p.c., n. 5) con riguardo al non avere la Corte d’Appello tenuto conto dell’inapplicabilità agli insegnanti tecnici pratici della disposizione di cui alla L. n. 266 del 2005.

3. Ci si duole, con pluralità di argomenti, che, nonostante fosse previsto dal citato art. 8, il mantenimento, al momento del passaggio dall’ente pubblico locale al MIUR, del trattamento economico e dell’anzianità pregressa, non era stata riconosciuta l’intera anzianità di servizio maturata a fini stipendiali.

La questione oggetto della controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale ATA trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8.

Tale norma, dopo aver premesso, al comma 1, che il personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado passa a carico dello Stato, prevede, nel comma 2, “che il personale di ruolo di cui al comma 1, dipendente degli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonchè il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto”.

La disposizione è stata oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che recepì l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000.

Con tale accordo l’ARAN e le associazioni sindacali avevano dato applicazione alla L. n. 124, art. 8 stabilendo, quanto al regime contrattuale, che, pur nella prosecuzione ininterrotta del relativo rapporto di lavoro, cessava di applicarsi a decorrere dal 1 gennaio 2000 il ccnl 1 aprile 1999 di Regioni-Autonomie locali e dalla stessa data si applicava il ccnl 26 maggio 1999 della scuola.

L’art. 3 dell’accordo disciplinò l’inquadramento professionale e retributivo, nei seguenti termini: i dipendenti trasferiti sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola, indicate nell’allegata tabella B.

Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell’allegata tabella B, d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità (…).

L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale d’inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, è corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale.

Al personale destinatario del presente accordo è corrisposta l’indennità integrativa speciale nell’importo in godimento al 31 dicembre 1999, se più elevato di quella della corrispondente qualifica del comparto scuola.

La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi.

Intervenne il legislatore, dettando una disposizione, la Legge finanziaria del 2006, art. 1, comma 218 sopra citata, che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e de decreto ministeriale, stabilendo che la L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2 si interpreta nel senso chè il personale ATA degli enti locali trasferito nei ruoli dello stato “è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità, nonchè da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell’inquadramento. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. E’ fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Successivamente come si dirà infra sono intervenute la sentenza CGUE S. e la sentenza CEDU Agrati.

4. I motivi, che devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, sono fondati in ragione dei principi già affermati da questa Corte, da ultimo, tra le altre, nella sentenza n. 14145 del 2015, principi ai quali si intende dare continuità, e che si esporranno nel vagliare le argomentazioni del ricorrente.

5. Nelle more del giudizio, infatti, come si è accennato, è intervenuta la sentenza della CGUE 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10, S.), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, che incide sui giudizi in corso, anche se pendenti innanzi ai giudici di legittimità.

In base all’art. 11 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr., per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011).

L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

Invero, la sentenza della Corte di Giustizia, affermata l’applicabilità della direttiva 77/187/CEE ad una vicenda successoria quale quella regolata dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 ha indicato che essa direttiva osta ad una normativa interna che faccia subire ai lavoratori trasferiti “un peggioramento retributivo sostanziale” per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento.

Ne consegue, a contrario, che ove per la normativa interna tale peggioramento non si verifichi la stessa deve considerarsi conforme alla direttiva, perchè non è il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente che, di per sè, costituisca la lesione di un diritto che i lavoratori trasferiti possano far valere nei confronti del cessionario (punto 69).

Dalla motivazione della sentenza in esame si evince altresì che la direttiva 77/187 non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento d’impresa e che essa non osta a che sussistano talune disparità di trattamento retributivo tra i lavoratori trasferiti e quelli che, all’atto del trasferimento, erano già al servizio del cessionario (punto 77).

La Corte di Giustizia demanda al giudice del rinvio il compito di esaminare se, all’atto del trasferimento in questione, si sia verificato un peggioramento retributivo sostanziale per i lavoratori.

Tale compito deve considerarsi esteso a tutti i giudici nazionali che si trovino ad applicare il complesso normativo in questione, perchè la decisione della controversia loro sottoposta deve avvenire sulla base della interpretazione della normativa nazionale orientata dal diritto europeo, come si è già messo in evidenza nelle sentenze di questa Corte nn. 20980 e 21282 del 2011, nonchè n. 12051 del 2012, e ribadito, da ultimo, da Cass. n. 15740 e n. 24581 del 2014.

Poichè la sentenza qui impugnata non ha effettuato tale verifica, anche perchè pronunciata prima della decisione della Corte di Giustizia, la stessa deve essere cassata.

Essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sottratti alla disponibilità di questa Corte, consegue il rinvio ad altro giudice il quale dovrà uniformarsi a quanto di seguito indicato.

Già in controversie analoghe si è statuito che, al fine di stabilire se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un “peggioramento retributivo”, il giudice investito del rinvio dovrà osservare i seguenti criteri.

a). Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa “posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento”. Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

b). Quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo sostanziale” (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere globale (n. 76: “condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione globalmente sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto.

c). Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto all’atto del trasferimento (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: “all’atto della determinazione della loro posizione retribuiva di partenza”).

La Corte di giustizia, con la sentenza S., ha, altresì, preliminarmente dato atto (punto n. 27) che “durante il 2008 e il 2009, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati proposti tre ricorsi da membri del personale ATA degli enti locali sottoposti al trasferimento nei ruoli del Ministero, nei quali si accusava la Repubblica italiana di aver violato, adottando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, l’art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Con sentenza 7 giugno 2011, detta Corte ha accolto questi ricorsi (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Agrati e a. c. Italia).

Poichè la CGUE ha ritenuto che si verte nell’ambito del diritto dell’Unione europea; di conseguenza, la normativa nazionale in esame deve essere interpretata alla luce del diritto dell’Unione europea; l’interpretazione orientata alla luce del diritto europeo comporta che il passaggio alle dipendenze dello Stato non può determinare per il lavoratore condizioni meno favorevoli; la relativa verifica spetta al giudice nazionale. Ulteriore conseguenza di questa impostazione è l’assorbimento del problema della conformità della norma in questione all’art. 6 del TUE in combinato disposto con le norme della CEDU e della Carta di Nizza, come recepite nel Trattato di Lisbona, problema esaminato dalla sentenza Agrati della CEDU, precedente alla sentenza della Corte di giustizia e da quest’ultima considerata.

6. Va, infine, ricordato che questa Corte, con la sentenza n. 10034 del 2012 ha affermato che anche per il personale insegnante teorico-pratico trasferito dagli enti locali nei ruoli del personale dello Stato, ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 3, in analogia col personale ATA (amministrativo, tecnico, ausiliario), il legislatore, come precisato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 6 settembre 2011 in procedimento C-108/10, deve attenersi allo scopo della direttiva 77/187/CEE, consistente “nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento”. Ne consegue che, anche in tale fattispecie, il giudice di merito deve valutare, ai fini dell’esercizio del potere-dovere di immediata applicazione della norma europea provvista di effetto diretto, se, all’atto del trasferimento, il lavoratore abbia subito un peggioramento retributivo sostanziale rispetto alla condizione goduta immediatamente prima del trasferimento, nei sensi sopra indicati.

7. In conclusione, in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte di Appello indicata in dispositivo. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 la stessa dovrà uniformarsi a quanto statuito da questa Corte compiendo ogni accertamento necessario per verificare la sussistenza, o meno, di un peggioramento retribuivo sostanziale all’atto del trasferimento, secondo i criteri di comparazione precisati sopra, punti a), b) e c) (cfr. Cass. n. 6627 e 7620 del 2015).

8. In particolare il giudice del merito designato dovrà tenere in debito conto che gli originari ricorsi degli istanti sono antecedenti alla L. n. 266 del 2005 ed alla sentenza della Corte di Giustizia che ne ha sostanzialmente orientato l’interpretazione nell’ordinamento interno sulla base della verifica di taluni elementi fattuali.

Detti elementi, dunque, dovranno essere necessariamente valutati in sede di rinvio onde consentire la decisione della causa alla stregua del diritto sopravvenuto, attenendo dette indagini di merito alla stessa possibilità di applicare alla fattispecie concreta la normativa sopraggiunta.

Ancora di recente questa Corte ha ribadito (Cass. n. 26730 del 2014) che, pur essendo quello di rinvio un giudizio a carattere “chiuso”, tendente a una nuova decisione (nell’ambito fissato dalla sentenza di legittimità) in sostituzione di quella cassata, nel quale le parti sono obbligate a riproporre la controversia nei medesimi termini e nel medesimo stato di istruzione, senza possibilità di svolgere nuove attività probatorie od assertive, tuttavia possono esservi deroghe a tale principio.

Esse possono essere rappresentate dal caso in cui fatti sopravvenuti o la sentenza di cassazione, che abbia prodotto una modificazione della materia del contendere, rendano necessaria un’ulteriore attività probatoria od assertiva,strettamente dipendente dalle statuizioni di questa Suprema Corte (cfr., ex aliis, Cass. n. 9859 del 2006). Ciò avviene, ad esempio, in ipotesi di avvenuta applicazione di ius superveniens, o quando si debbano accertare fatti non ancora conosciuti la cui giuridica rilevanza derivi, appunto, dalla sentenza di cassazione (cfr., ad esempio, Cass. n. 21587 del 2009) o, ancora, quando in sede di rinvio siano da delibarsi questioni ritenute assorbite dalla sentenza cassata oppure quando la pronuncia rescindente abbia diversamente definito il rapporto dedotto in giudizio. Il carattere cd, chiuso del giudizio di rinvio concerne poi l’attività delle parti e non i poteri officiosi del giudice, sicchè egli può – se del caso – anche disporre una consulenza tecnica o rinnovare quella già espletata nei precedenti gradi del giudizio di merito (cfr., ex aliis, Cass. n. 341 del 2009), nonchè esercitare i poteri istruttori ex art. 437 c.p.c. limitatamente ai fatti già allegati dalle parti, o comunque acquisiti al processo ritualmente nella fase processuale antecedente al giudizio di cassazione (cfr. Cass. n. 3047 del 2006 e n. 900 del 2014).

9. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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