Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11023 del 27/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/04/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 27/04/2021), n.11023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA F – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1522/2012 proposto da:

LA NUOVA NAUTICA s.r.l., (C.F. e P. IVA: (OMISSIS)) con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. (Prof.) Franco Paparella e

dall’Avv. Bruno Sed, con domicilio eletto presso l’Avv. (Prof.)

Franco Paparella, con studio in Roma, Corso Italia n. 19;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE-Direzione Provinciale di Rimini, in persona del

Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna, n. 76/10/2011, pronunciata il 6 giugno 2011 e

depositata il 4 luglio 2011;

udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 15 ottobre 2020

dal Consigliere Fabio Antezza;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale De

Augustinis Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. De Dominicis Pier Donato (in

sostituzione dell’Avv. Franco Paparella), che ha insistito nel

ricorso;

udito, per il controricorrente l’Avv. Gianna Galluzzo

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), che ha insistito nel

controricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La contribuente ricorre, con un motivo, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate (“A.E.”) avverso la sentenza n. 62/01/2008 della CTP di Rimini che aveva accolto l’impugnazione di avviso di accertamento IRES, IRAP ed IVA relativo all’esercizio 2005 (n. (OMISSIS)).

2. Dagli atti di parte nonchè dalla sentenza impugnata emerge quanto segue circa i fatti di causa, limitatamente a ciò che ancora rileva nel presente giudizio.

2.1. LA NUOVA NAUTICA s.r.l., società operante nel settore della nautica, il 19 novembre 2003 acquistò un rimorchiatore sovietico (denominato “(OMISSIS)”), costruito in Romania nel 1957 ed iscritto nei registri navali mercantili croati fino al 2 giugno 2005, sottoponendolo a lavori di restauro e trasformazione (c.d. “refitting”) e chiedendo il rilascio del “certificato di classe” per la relativa destinazione all’attività commerciale di “noleggio per finalità turistiche”.

Il 13 luglio 2005, difatti, il “Registro Italiano Navale” (di seguito anche: “R.I.N.A.”): attestò l’avvenuta iscrizione di “(OMISSIS)” al detto Registro; evidenziò l’attualità degli “accertamenti tecnici per la verifica della conformità dell’unità dei requisiti del decreto 4 aprile 2005, n. 95” (regolamento di sicurezza recante norme tecniche per le navi destinate esclusivamente al noleggio per finalità turistiche), e chiarì che, “a conclusione, con buon esito, dei predetti accertamenti e prove, all’unità in oggetto”, sarebbe stato “rilasciato “Certificato di Classe” con assegnazione alla nave delle… caratteristiche” (anche) di “servizio: noleggio per finalità turistiche””.

Il successivo 26 luglio 2005, la contribuente concluse, con società di leasing, un contratto di “sale and lease back”, avente ad oggetto “(OMISSIS)”, con cessione del bene fatturata alla detta società senza addebito dell’IVA in quanto “non imponibile ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis, comma 1″.

Tre giorni dopo (il 28 luglio) il R.I.N.A. rilasciò a LA NUOVA NAUTICA s.r.l. dichiarazione di avvenuta sottoposizione dell'”unità a una visita di prima classificazione senza sorveglianza durante la costruzione…”, con conseguente proposizione alla Direzione Generale di classificazione di “(OMISSIS)” con le caratteristiche di “noleggio per finalità turistiche”.

Il 22 marzo 2006, la citata nave, ottenuto il richiesto Certificato di Classe, fu iscritta nel “Registro internazionale” (Sezione 1) e, per quanto chiarito dal ricorrente (in termini non contraddetti dal controricorrente), fu adibita dalla contribuente ad attività commerciale di noleggio (in forza del citato contrato di sale and lease back).

3. L’Amministrazione finanziaria, con l’avviso di accertamento poi oggetto di giudizio tributario, recuperò l’IVA non addebitata in fattura da LA NUOVA NAUTICA s.r.l. alla società di leasing, ritenendo non applicabile nella specie il regime di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8 bis, comma 1, lett. a).

In particolare, l’operazione fu ritenuta non assimilabile alle cessioni all’esportazione (cioè alle cessioni di cui all’art. 8 del medesimo decreto) e, quindi, non assoggettabile alla disciplina prevista dal citato art. 8 bis, non possedendo la nave, al momento della cessione (in forza di sale and lease back del 26 luglio 2005), i requisiti per essere destinata all’esercizio di attività commerciale di noleggio, in quanto (alla data della cessione) non ancora iscritta nel Registro internazionale (cosa che difatti avvenne solo il 22 marzo 2006, all’esito di procedura intrapresa il 13 luglio 2005). Opinare diversamente, sostenne l’A.E., avrebbe significato ricollegare l’operatività del regime di cui al citato art. 8 bis ad una mera dichiarazione d’intenti della contribuente di voler adibire la nave all’esercizio di attività commerciale (nella specie, di noleggio), emergente dall’indicazione in fattura.

4. L’adita CTP accolse il ricorso con statuizione riformata dalla CTR, con la sentenza oggetto di attuale ricorso per cassazione.

4.1. Il Giudice d’appello ritenne non applicabile la disciplina di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 bis in quanto alla data della cessione in forza di sale and lease back (il 25 luglio 2005) il relativo oggetto non era altro che un “natante cui non era consentita la navigazione perchè soggetto a lavori di trasformazione in corso, perchè non collaudato e perchè non iscritto negli appositi registri”.

Per l’operatività della detta disciplina, la nave, al momento della cessione, superato il collaudo, avrebbe dovuto essere già iscritta nel Registro Navale Internazionale (cosa che invece avvenne solo il 22 marzo 2006). Ciò in quanto, proseguì la Commissione, “il testo del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 8 bis, comma 1, lett. a) presuppone che l’imbarcazione sia già in stato di assolvere alle attività ivi previste quali, ad esempio, “attività commerciali”, “attività di pesca” ovvero “operazioni di salvataggio””. Per converso, nella specie, concluse la CTR, trattavasi di “poco più che un semplice scafo ricoverato in un cantiere navale, non in grado di svolgere alcuna attività, fondandosi, invece, l'”agevolazione tributaria” in esame, “sulla funzionalità navale e sulla… utilizzabilità commerciale, di salvataggio, di assistenza, di pesca e”, quindi, “sulla concreta navigabilità”.

5. Contro la sentenza d’appello la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, l’A.E. si è difesa con controricorso ed all’udienza del 13 novembre 2019 il presente processo è stato rinviato a nuovo ruolo, assegnando alle parti (compresa la Procura Generale) termine per contraddire in merito a quanto di recente statuito, a seguito di rinvio pregiudiziale, da Corte giusta, sentenza 27 marzo 2019, C-201/18 con riferimento all’operazione finanziaria di sale and lease back (vendita con locazione finanziaria di ritorno). All’esito, la contribuente ha depositato memoria ed all’attuale udienza le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso merita accoglimento ancorchè per le seguenti assorbenti ragioni.

2. Con l’unico motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce l'”illegittimità della sentenza per violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8 bis, comma 1, lett. a)”.

Al di là della tecnica utilizzata nella formulazione della rubrica, in sostanza ci si duole dell’interpretazione data dalla CTR della norma appena citata nel senso di ritenere necessario, per la sua operatività, che la nave, al momento della cessione, superato il collaudo, sia iscritta nel Registro Navale Internazionale, dovendo essere, per espressa disposizione normativa, “destinata” all’esercizio delle attività di cui al detto art. 8 bis, comma 1, lett. a), tra le quali quella commerciale, e quindi già possedere funzionalità navale e concreta navigabilità (per le dette attività).

La questione inerisce dunque l’interpretazione del D.P.R. n. 633 del 1972, citato art. 8 bis, comma 1, lett. a). Ai sensi di tale norma, nei limiti di quanto rileva in questa sede, sono assimilate alle cessioni all’esportazione (quindi non imponibili), se non comprese nell’art. 8, medesimo D.P.R., “le cessioni di navi (adibite alla navigazione in alto mare e) destinate all’esercizio di attività commerciali o della pesca nonchè le cessioni di navi adibite alla pesca costiera o ad operazioni di salvataggio o assistenza in mare, ovvero alla demolizione, escluse le unità da diporto di cui alla L. 11 febbraio 1971, n. 50”. L’inciso tra parentesi quadre è stato aggiunto, successivamente alla fattispecie concreta, dalla L. 15 dicembre 2011, n. 217, art. 8, comma 2, lett. e), n. 1).

3. Rispetto a quella di cui innanzi è preliminare (oltre che assorbente) altra questione di diritto ed in merito alla quale è stato integrato il contraddittorio in sede di legittimità. Un’operazione è difatti suscettibile di essere assimilata ad una cessione all’esportazione (quindi, al pari di quest’ultima, non imponibile) sempre che possa ritenersi, per quanto qui rileva, una “cessione di beni” ai fini IVA.

Trattasi in particolare di verificare se il “sale and lease back” (vendita con locazione finanziaria di ritorno, c.d. “leaseback”), con riferimento alla vendita del bene della quale l’operazione si compone, rientri nella nozione di “cessioni di beni” ai fini della base imponibile IVA, D.P.R. n. 633 del 1972 ex artt. 1 e 2.

Tale verifica deve essere condotta in considerazione della natura dell’operazione, da valutarsi alla stregua della concreta causa contrattuale, ed all’esito di interpretazione conforme del diritto interno a quello sovranazionale (ex art. 288 TFUE).

Il riferimento è, in particolare, alla nozione di “cessioni di beni” quale “fatto generatore d’imposta” di cui agli artt. 2, 5 e 10 della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977″ e successive modificazioni ed integrazioni, ratione temporis applicabile alla fattispecie (direttiva “in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme”, c.d. “sesta direttiva”).

3.1. Ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, della “sesta direttiva” sono soggette ad IVA “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Si considera “cessione di bene”, ai sensi dell’art. 5, paragrafo 1, della medesima direttiva, “il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”. Il successivo art. 10, paragrafo 2, infine, dispone che “il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi (…)”.

In merito, la Corte di giustizia ha precisato, a più riprese, che la nozione di “cessione di bene” di cui alla “sesta direttiva” si riferisce non al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente bensì a qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario. Quanto innanzi è in particolare statuito, ex plurimis, da Corte giust., sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14 (EU:C:2015:719), punto 44, oltre che da Corte giust., sentenza del 15 dicembre 2005, Centralan Property, C-63/04 (EU:C:2005:773), punto 63, la quale ha chiarito peraltro che spetta al giudice nazionale determinare, caso per caso, in relazione alla singola fattispecie, se una data operazione su un bene comporti il trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario (si vedano altresì Corte giust., sentenze 8 febbraio 1990, Shipping and Forwarding Enterprise Safe, C-320/88, EU:C:1990:61, punto 7, e 21 novembre 2013, Dixons Retail, C-494/12, EU:C:2013:758, punto 20 oltre che la giurisprudenza ivi citata).

3.2. In merito alla (im)possibilità di assimilare l’operazione di sale and lease back, intesa come di seguito chiarito, ad una “cessione di beni” rilevante a fini IVA si è infine espressa, esplicitamente, la recente Corte giust., sentenza 27 marzo 2019, Mydibel SA/Stato belga, C-201/18, ancorchè con riferimento alla direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, c.d. “direttiva IVA” (come modificata dalla direttiva 2009/162/UE del Consiglio, del 22 dicembre 2009).

Tale direttiva, come emerge dal primo considerando, è adottata in funzione dell’opportunità, per ragioni di chiarezza e razionalizzazione, di procedere alla “rifusione delle disposizioni” relative al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto in occasione delle diverse modificazioni della “sesta direttiva” intervenute nel tempo.

Sempre nei limiti di quanto rileva nel presente processo, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, della “direttiva IVA”, sono soggette ad IVA “le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Ex art. 14, paragrafo 1, della medesima direttiva, che, sul punto, riproduce, l’art. 5, paragrafo 1, della “sesta direttiva”, “costituisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”. Il successivo art. 63, infine, dispone che “il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o della prestazione di servizi”.

La citata Corte giust. del 2019, in particolare, adita in sede di rinvio pregiudiziale, ha dichiarato: “1) Salvo verifica da parte del giudice del rinvio degli elementi di fatto e di diritto nazionale pertinenti, gli artt. 184, 185, 187 e 188 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2009/162/UE del Consiglio, del 22 dicembre 2009, devono essere interpretati nel senso che essi non impongono un obbligo di rettifica dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), gravante su un immobile, che è stata inizialmente detratta correttamente, quando tale bene è stato oggetto di un’operazione di sale and lease back (vendita con locazione finanziaria di ritorno) non soggetta all’IVA in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale; 2) Un’interpretazione degli artt. 184, 185, 187 e 188 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2009/162, nel senso che essi impongono un obbligo di rettifica dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) inizialmente detratta in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale è conforme ai principi di neutralità dell’IVA e della parità di trattamento”.

Orbene, ancorchè sul punto sollecitata con riferimento agli articoli innanzi evidenziati ed in tema di rettifica di detrazione d’IVA assolta a monte, la Corte di giustizia (punti 34 e 35), richiamando proprio le statuizioni sovranazionali innanzi esaminate in merito all’art. 5, paragrafo 1, della “sesta direttiva”, ha chiarito e confermato l’interpretazione della nozione di “cessione di beni” ai fini della “direttiva IVA” (sul punto, come detto, sovrapponibile alla “sesta direttiva”). Trattasi in particolare non di trasferimento di propriet nelle forme previste dal diritto nazionale vigente bensì di qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario; spetta altresì al giudice nazionale determinare, caso per caso, in relazione alla singola fattispecie, se una data operazione su un bene comporti il trasferimento del detto potere.

Proseguendo, Corte giust. C-201/18 in esame (punti 39-43) ha infine chiarito che l’operazione di sale and lease back (di cui al procedimento principale) è puramente finanziaria al fine di aumentare la liquidità del venditore, e che i beni immobili, di cui al procedimento principale, sono rimasti in possesso di quest’ultimo, che li ha utilizzati ininterrottamente e in maniera duratura per le esigenze delle sue operazioni soggette ad imposta. Salva verifica del giudice del rinvio, ha proseguito la Corte di giustizia, la detta operazione di sale and lease back (di cui al procedimento principale), costituente un’unica operazione, non può essere qualificata come “cessione di beni” in quanto il diritto trasferito in capo all’istituto finanziario a seguito della detta operazione non lo autorizza a disporre del bene come se fosse il proprietario. Sicchè, ha concluso la Corte, l’operazione di sale and lease back, nelle circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, non è soggetta ad IVA.

3.3. In base all’illustrata interpretazione del diritto sovranazionale dev’essere rivisitato l’orientamento di questa Corte, circa l’imponibilità a fini IVA della vendita in seno a sale and lease back, sostanzialmente fondata su una scomposizione (a fini tributari) dell’unitaria e complessa operazione economica che non trova giustificazione nella causa concreta del contratto in esame e si mostra non aderente al dettato normativo di riferimento (si veda, per il detto orientamento, Cass. sez. 5, 15/10/2001, n. 12549, Rv. 549633-01, in motivazione).

3.3.1. La vendita in seno a “leaseback” deve in particolare ritenersi non annoverabile nella nozione di “cessione di bene” anche per il diritto interno (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 2), che necessita di interpretazione conforme al diritto sovranazionale.

A tale operazione negoziale difatti non consegue il trasferimento del bene materiale da una parte (il venditore-utilizzatore) all’altra (l’acquirente-concedente) tale che, la seconda, possa dirsi autorizzata a disporne di fatto come se ne fosse la proprietaria in ragione della permanenza del bene stesso nella disponibilità del venditore che, invece, lo utilizza ininterrottamente.

Il sale and lease back, contratto d’impresa socialmente tipico (frequentemente applicato, sia in Italia che all’estero, nella pratica degli affari), è infatti un’operazione negoziale complessa in forza della quale (normalmente) un imprenditore (o un lavoratore autonomo), al fine di ottenere con immediatezza liquidità, vende un bene strumentale ad una società finanziaria la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria allo stesso venditore che ne mantiene la disponibilità ininterrottamente, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore (ex plurimis: Cass. sez. 5, 15/07/2020, n. 15024, Rv. 658202-01; Cass. sez. 5, 29/03/2006, n. 7296, Rv. 588841-01; Cass. sez. 3, 14/03/2006, n. 5438, Rv. 587332-01; Cass. sez. 3, 21/01/2005, n. 1272, Rv. 580238-01; Cass. sez. 3, 21/07/2005, n. 13580, Rv. 574757-01; Cass. sez. 1, 22/04/1998, n. 4095, Rv. 514748-01; Cass. sez. 3, 16/10/1995, Rv. 494256-01; per i profili di illiceità del “leaseback” se tale da sostanziarsi in un contratto di finanziamento assistito da una vendita in funzione di garanzia, volto quindi ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto di patto commissorio, si vedano altresì, ex plurimis: Cass. sez. 6-1, 07/08/2018, n. 20634, Rv. 6502002-01; Cass. sez. 1, 25/05/2018, n. 13305, Rv. 649159-01; Cass. sez. 2, 11/09/2017, n. 21042, Rv. 645552-01; Cass. sez. 1, 28/01/2015, n. 1625, Rv. 634838-01; Cass. sez. 3, 02/02/2006, n. 2285, Rv. 58691-01; Cass. sez. 3, 06/08/2004, n. 15178, Rv. 575914-01).

Il “leaseback” ha dunque una causa concreta diversa da quella del contratto di vendita puro e semplice, trattandosi di un’unica operazione complessa e con causa finanziaria (il fine di aumentare la liquidità del venditore-utilizzatore), da considerarsi nella globalità dei suoi elementi negoziali strettamente connessi onde scongiurarne un’artificiosa scomposizione a fini tributari (in merito si vedano: la citata Corte giust., sentenza 27 marzo 2019, Mydibel SA/Stato belga, C-201/18, proprio con riferimento a sale and lease back; Corte giust., sentenza 21 febbraio 2008, Part. Service, C-425/06, EU:C:2008:108, punti 53, e giurisprudenza ivi richiamata, e 54, in termini più generali circa l’unicità della prestazione nel caso in cui due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo siano a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, a giudizio del giudice nazionale, una sola prestazione economica inscindibile la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale, ovvero un’unica operazione).

La causa finanziaria del contratto in esame impedisce quindi di assimilare (a fini IVA) la somma corrisposta dall’acquirente-concedente al corrispettivo dovuto al venditore in forza del tipico contratto di vendita. Allo stesso tempo, l’ininterrotta disponibilità del bene in capo all’alienante-utilizzatore impedisce di assimilare l’operazione ad una “cessione di beni” rilevante a fini IVA, tanto per il diritto interno quanto per quello sovranazionale, in ragione dell’assenza di autorizzazione in capo all’acquirente-concedente di disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario.

3.4. La presente lettura dei rapporti tra sale and lease back ed IVA, con riferimento alla vendita della quale l’operazione si compone, è altresì in linea con i più recenti approdi di questa Corte in materia di imposte dirette, di registro, ipotecarie e catastali, laddove fonda sull’unicità della complessa operazione (con causa concreta finanziaria) e sull’ininterrotta disponibilità del bene da parte del venditore.

In tema di determinazione del reddito d’impresa, in particolare, Cass. sez. 5, 15/07/2020, n. 15024 ha chiarito che la plusvalenza ottenuta dalla cessione di un bene in forza di sale and lease back, contratto socialmente tipico con causa finanziaria (quindi diversa da quella del contratto di vendita), è ripartita, in applicazione dell’art. 2425 bis c.c., in funzione della durata del contratto di locazione e non computata in base al criterio di competenza. La causa finanziaria del contratto impedisce difatti di assimilare (a fini fiscali) la somma ricevuta dal concedente al corrispettivo dell’acquirente.

Cass. sez. 5, 20/09/2017, n. 21815, Rv. 645627-01, ha invece statuito che in tema di agevolazioni tributarie, il beneficio previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, (applicabile ratione temporis) per i trasferimenti di beni immobili compresi in aree soggette a piani urbanistici particolareggiati, a condizione che l’utilizzazione edificatoria dell’area avvenga entro cinque anni dal trasferimento, si applica in favore dell’acquirente, che provveda all’edificazione nel termine sopra indicato, anche se stipula, per ottenere liquidità, un contratto di sale and lease back (con il quale vende il bene ad una società di leasing e contemporaneamente prevede la conduzione in locazione del medesimo e il successivo riscatto al termine della locazione finanziaria). Deve difatti tenersi conto che tale beneficio ha lo scopo di incentivare lo sviluppo urbanistico in conformità ai parametri individuati nei piani territoriali e trova applicazione solo se ad eseguire le opere sia lo stesso acquirente agevolato, come avvenuto in quella fattispecie, ove è quest’ultimo che, rimasto nella disponibilità del bene, realizzato le potenzialità edificatorie dello stesso, anche se ne ha alienato la proprietà in seno all’operazione negoziale di cui innanzi.

3.5. Quanto innanzi circa i rapporti tra sale and lease back ed IVA, in termini di non assimilabilità della vendita in seno alla detta operazione complessa alla “cessione di beni” a fini IVA, implica comunque la verifica, in sede di merito, dell’eventuale illiceità del contratto ed in particolare della finalità elusiva di obblighi tributari con esso eventualmente perseguita, dovendo l’operazione risultare effettivamente posta in essere per soddisfare reali esigenze di liquidità d’impresa.

La detta condotta elusiva non potrà comunque ravvisarsi nella mera scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale.

Nei detti termini, ex dirimis, proprio con riferimento al “leaseback”, ancorchè in merito alle imposte dirette, Cass. sez. 5, 26/08/2015, n. 17175, Rv. 636360-01. Per essa l’opzione per il sale and lease back di un bene strumentale, che comporta rispetto all’acquisto un’accelerata deducibilità dei costi, rientra nel libero esercizio dell’attività economica del contribuente, qualora risponda al suo specifico e concreto interesse economico di estinguere pregressi debiti mediante l’acquisizione di nuova liquidità a condizioni ritenute convenienti.

In termini sostanzialmente analoghi si è espressa anche Cass. sez. 5, 14/01/2015, n. 405, Rv. 634069-01, per la quale è difatti necessario per il configurarsi dell’elusione che il conseguimento di un “indebito” vantaggio fiscale, contrario allo scopo delle norme tributarie, costituisca la causa concreta della fattispecie negoziale. Con la conseguente non sussumibilità nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis di un contratto di sale and lease back, caratterizzato dalla “clausola tandem”, in virtù della quale la banca finanziatrice subentra alla società di leasing nel credito per i canoni residui. Tale operazione, difatti, pur procurando al contribuente un risparmio d’imposta, collegato all’accelerata deducibilità della prima maxi-rata, consente di realizzare un concreto interesse, che rientra nella libertà d’iniziativa economica, sostituendo un pregresso debito bancario con un finanziamento a condizioni migliori, e non risulta, pertanto, irragionevole rispetto alle ordinarie logiche d’impresa.

Parimenti, per Cass. sez. 5, 05/12/2014, n. 25758, Rv. 63394801, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l’operazione economica che, attraverso l’impiego “improprio” e “distorto” dello strumento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente (seppur non esclusivo) l’elusione della norma tributaria. La mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è invece sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poichè è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio d’imposta e l’accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale. Proprio in applicazione del principio la sentenza da ultimo citata ha ritenuto non abusiva la stipula di un contratto di sale e lease back, pur pervenendo al medesimo risultato economico di una operazione di finanziamento bancario, per cui l’impiego del negozio era volto a consentire la maggiore deducibilità di canoni di leasing, rispetto ai soli interessi passivi che sarebbero stati deducibili con la stipula di un mutuo.

Viceversa, ma muovendo dalla stessa impostazione, Cass. sez. 5, 08/04/2009, n. 8481, Rv. 607731-01, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, ha chiarito che l’appartenenza di due società al medesimo gruppo d’imprese, pur non escludendo sul piano civilistico la liceità di un contratto di sale and lease back, posto in essere tra le stesse ed avente ad oggetto beni strumentali già ammortizzati dalla società venditrice, consente di ravvisare in tale operazione un comportamento elusivo, configurabile come abuso del diritto. Deve difatti escludersi, proprio in virtù della rilevanza unitaria conferita dal legislatore al gruppo d’imprese, che tale contratto realizzi l’effetto economico proprio della locazione finanziaria, consistente nell’assicurare al locatore una maggiore disponibilità di denaro, e dovendo pertanto concludersi che esso è volto esclusivamente a realizzare un vantaggio fiscale, costituito per la società utilizzatrice dalla possibilità di portare in detrazione i canoni di locazione, e per la società locatrice di effettuare nuovamente l’ammortamento dei medesimi beni (in merito ai rapporti tra sale and lease back e divieto di patto commissorio in relazione alla deducibilità dei canoni da parte dell’utilizzatore, si veda anche Cass. sez. 5, 7286/2006, cit.).

4. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, per le ragioni e nei termini di cui innanzi, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale per l’Emilia Romagna, in diversa composizione (anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità) che farà applicazione dei seguenti principi di diritto, sanciti ex art. 384 c.p.c., comma 1.

“In tema d’IVA, la nozione di “cessione di bene” quale presupposto impositivo, in forza d’interpretazione conforme del diritto interno a quello sovranazionale (come interpretato dalla Corte di Giustizia), si riferisce non al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto interno bensì a qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale con la quale una parte autorizzi l’altra a disporne di fatto come se ne fosse il proprietario, spettando al giudice di merito determinare, caso per caso, in relazione alla singola fattispecie, se una data operazione comporti il trasferimento del detto potere”.

“In tema d’IVA, non costituisce “cessione di bene” imponibile la vendita in seno a sale and lease back. A tale complessa ed unitaria operazione negoziale, con causa concreta finanziaria (il fine di aumentare la liquidità del venditore-utilizzatore), non consegue difatti il trasferimento del bene materiale da una parte (il venditore-utilizzatore) all’altra (l’acquirente-concedente) tale che, la seconda, possa dirsi autorizzata a disporne di fatto come se ne fosse la proprietaria in ragione della permanenza del bene stesso nella disponibilità del venditore che, invece, lo utilizza ininterrottamente”.

“In tema d’IVA, per escludere dal novero delle “cessioni di beni” imponibili la vendita in seno a sale and lease back, oltre all’accertamento dell’unicità della complessa operazione, deve escludersi l’illiceità del contratto ed in particolare la finalità elusiva di obblighi tributari con esso eventualmente perseguita. L’operazione deve difatti risultare effettivamente posta in essere per soddisfare reali esigenze di liquidità, quale libero esercizio dell’attività economica, e non tradursi in un uso distorto o improprio dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente un indebito vantaggio fiscale, contrario allo scopo delle norme tributarie”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale per l’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2021

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