Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11023 del 19/05/2011

Cassazione civile sez. III, 19/05/2011, (ud. 15/04/2011, dep. 19/05/2011), n.11023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22960/2006 proposto da:

V.E. (OMISSIS), G.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UMBERTO

BOCCIONI 4, presso lo studio dell’avvocato CASSIANO ANTONIO,

rappresentati e difesi dagli avvocati SCIONTI Arcangelo, SPREMOLLA

GABRIELE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.F., (OMISSIS), elettivamente dominiate in

ROMA, VIA UGO DE CARDLIS 34/B, presso lo studio dell’avvocato CECCONI

MAURIZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato PAPARO Sergio giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 614/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Seconda civile, emessa il 18/01/2006, depositata il

21/03/2006; R.G.N. 306/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/04/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato DEGLI ABBATI FLAVIO (per delega dell’Avvocato

SPREMOLLA GABBRIELE);

udito l’Avvocato CECCONI MAURIZIO (per delega dell’Avvocato PAPARO

SERGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 17 novembre 2004 il tribunale di Firenze ha dichiarato cessata alla data del 31 marzo 1998 la locazione – avente a oggetto una casa colonica con annessi nonchè un orto per uso famiglia in essere tra M.F. (concedente) e V.E. e G. A. (conduttori) – con condanna dei conduttori al rilascio per la data del 31 dicembre 2004, compensate tra le parti le spese di lite.

Gravata tale pronunzia di soccombenti G. e V., la Corte di appello di Firenze,, con sentenza 18 gennaio – 21 marzo 2006 ha rigettato l’appello con condanna degli appellanti al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 29 maggio 2006, hanno proposto ricorso affidato a due motivi G.A. e V.E..

Resiste, con controricorso, M.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

2. I ricorrenti censurano la sentenza impugnata denunciando:

– da un lato, art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per violazione di norme di. diritto, sottoponendo all’esame della Corte il seguente quesito di diritto: dica la corte se, a seguito dell’invio della lettera di disdetta, il lungo lasso di tempo trascorso nella fattispecie circa tre anni) senza agire giudizialmente per la convalida e l’avere accettato il pagamento dell’importo dovuto, imputandolo quale canone di locazione anzichè quale indennità di occupazione possa configurare ipotesi di rinnovazione del contratto di locazione (primo motivo);

– dall’altro, art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (secondo motivo).

3. Il ricorso non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. Ai fini della rinnovazione tacita del contratto di locazione – hanno precisato i giudici del merito – è necessaria la detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una volontà contraria da parte del locatore, con la conseguenza che se questi abbia manifestato comunque la volontà di porre termine alla permanenza del conduttore nella detenzione della cosa, risulta necessario – al fine della configurazione di una manifestazione tacita di consenso a tale permanenza, un nuovo comportamento positivo, in senso contrario, da parte dello stesso locatore, non potendosi desumere alcunchè dalla semplice accettazione dei canoni alla scadenza contrattuale, come consentito dalla norma dell’art. 1591 cod. civ., nè dall’uso improprio di un termine giuridico.

Enunciando tali principi i giudici del merito si sono uniformati a una giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte regolatrice (Cass. 6 maggio 2010, n. 10963; Cass. 13 aprile 2007 n. 8833, resa in una fattispecie in cui mentre la disdetta era stata inviata nel 1992 il giudizio contenzioso per il rilascio è stato introdotto unicamente nel 2001; Cass. 7 giugno 2006, n. 13346).

AL riguardo, in particolare, deve ribadirsi, ulteriormente, che ai fini della rinnovazione tacita del contratto di locazione occorre che dall’univoco comportamento tenuto da entrambe le parti, dopo la scadenza del contratto medesimo, possa desumersi la loro implicita ma inequivoca volontà di mantenere in vita il rapporto locativo.

Ne consegue che detta rinnovazione non può dedursi dal totale silenzio serbato dal conduttore dopo la disdetta o dalla permanenza del conduttore nell’immobile oltre la scadenza del termine contrattuale o, ancora, dall’accettazione dei canoni da parte del locatore.

Non avendo svolto – parte ricorrente – considerazioni di sorta che giustifichino un superamento della detta giurisprudenza è palese la manifesta infondatezza del primo motivo.

3. 2. Quanto al secondo motivo lo stesso è inammissibile.

Infatti:

– giusta la testuale previsione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 e applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr., L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) e quindi al presente ricorso, atteso che è stata impugnata una sentenza pubblicata il 24 aprile 2006, nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione;

– questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

– al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (cfr., ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897);

– conclusivamente, allorchè nel ricorso per cassazione – avverso sentenza pubblicata tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 – si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso;

– nella specie, pur denunziandosi con il secondo motivo la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, fa assolutamente difetto la chiara indicazione di cui sopra, è di palmare evidenza la inammissibilità della censura.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 3.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2011

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