Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11022 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 10/06/2020), n.11022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20432-2018 proposto da:

I.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RAFFAELE DI MONDA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8373/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Napoli, confermando la sentenza del Tribunale stessa sede, ha rigettato la domanda di I.B., rivolta ad ottenere l’indennizzo per danni postrasfusionali (epatite cronica HCV correlata), ai sensi della L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 3, e successive modifiche, per intervenuta decadenza;

la Corte territoriale ha accertato che l’appellante – il quale aveva indicato di aver saputo solo nel 2009 di essere stato sottoposto ad emotrasfusioni – in realtà già dal 1986 aveva maturato la consapevolezza della eziologia causale tra queste e il danno irreversibile patito, secondo l’ordinaria diligenza e in base alle conoscenze medico-scientifiche dell’epoca; ha pertanto accertato che il 28 ottobre 2009 – data di presentazione della domanda di indennizzo era già decorso il termine triennale, introdotto dalla L. n. 238 del 1997 quale limite temporale utile al conseguimento del beneficio;

la cassazione della sentenza è domandata da I.B. sulla base di un unico motivo; il Ministero della Salute ha resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, il ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, come modificato dalla L. n. 238 del 1997, art. 1, comma 9; nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; la sentenza d’appello non avrebbe tenuto conto che ai fini della consapevolezza della riferibilità della patologia contratta alla trasfusione subita non è sufficiente aver conoscenza dello stato cronico della malattia e di aver subito trasfusioni, ma altresì della conoscenza o conoscibilità della indennizzabilità della patologia contratta; erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto sufficiente, nella cartella clinica n. 289 del 1986, la generica notazione di avvenute trasfusioni subite in occasione di un intervento chirurgico del 1981 per ritenere configurabile la consapevolezza della riferibilità alle stesse della patologia contratta, facendo addirittura retrocedere di nove anni, rispetto a quanto pur erroneamente accertato dal Tribunale di Napoli (1994), il dies a quo del termine triennale di decadenza;

lamenta altresì – nell’ambito dello stesso motivo – che il giudice dell’appello avrebbe omesso l’esame di un elemento decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti, consistente nell’avere l’appellante appreso i dati delle sacche di sangue utilizzate nelle trasfusioni, somministrate durante il ricovero del 1981, soltanto nel 2008 quando, a seguito di diffida legale l’Ospedale aveva inviato all’appellante copia della cartella clinica completa del certificato ex L. n. 210 del 1992 del Centro trasfusionale con l’indicazione delle unità di sangue utilizzate e della loro provenienza, documento imprescindibile per inoltrare la richiesta di indennizzo;

il motivo è inammissibile;

nel caso in esame va richiamata la pacifica giurisprudenza di questa Corte, in tema di mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei nel giudizio di cassazione, con riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, secondo cui la promiscuità di prospettazioni di una medesima questione sotto profili incompatibili è ritenuta inammissibile; nel giudizio di cassazione non è, infatti, consentito sollevare, col medesimo motivo di ricorso, una violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e un vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro;

in altri termini, l’inammissibilità del cd. “motivo promiscuo” si fonda sulla ragione per la quale l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo – inammissibilmente – al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018; cfr. anche Cass. n. 3554 del 2017 e Cass. n. 18021 del 2016);

anche sotto il profilo dell’omessa motivazione – in presenza di una doppia conforme – la censura sarebbe stata altresì inammissibilmente prospettata (Cfr., ex plurimis, Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);

il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione del dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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