Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11022 del 05/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 05/05/2017, (ud. 25/01/2017, dep.05/05/2017),  n. 11022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23084-2014 proposto da:

SORGENTE SANTA CROCE S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MEDAGLIE D’ORO 48, presso lo studio dell’avvocato GIULIO

MASTROIANNI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ANTONIO CHINOTTO, 1, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

MINUCCI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 685/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 11/07/2014 R.G.N. 1032/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato GIULIO MASTROIANNI;

udito l’Avvocato STEFANO MINUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 11 luglio 2014, la Corte d’appello di L’Aquila rigettava l’appello principale di Sorgente Santa Croce s.p.a. e quello incidentale di M.G. avverso la sentenza di primo grado, che aveva escluso la giusta causa del licenziamento intimato il 26 settembre 2007 dalla prima al secondo, ritenendolo tuttavia giustificato e condannando la società datrice al pagamento, in favore del lavoratore, dell’indennità sostitutiva del preavviso, della retribuzione variabile per l’anno 2007 e della relativa quota di T.f.r., ma non anche dell’indennità supplementare prevista dal CCNL dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi, con la parziale posizione a carico di quest’ultimo delle spese di giudizio.

Preliminarmente ritenuto ammissibile l’appello per la specificità dei suoi motivi anche alla luce del riformato art. 434 c.p.c., la Corte territoriale ne escludeva la fondatezza, per insussistenza di una giusta causa del licenziamento, in esito a critico e argomentato esame delle risultanze istruttorie. Ed infatti, da esse non emergevano,’ anche tenuto conto del tenore della contestazione degli addebiti con la lettera 11 settembre 2007, circostanze concretamente idonee a dimostrare l’intenzionalità di comportamento o la grave negligenza nell’espletamento dei compiti così da rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto. Ma piuttosto la non completa adeguatezza del dirigente al rapporto medesimo (comunque liberamente recedibile), per mancanza di competenze necessarie, desumibile dai risultati negativi di gestione e dalla difficoltà di relazione con il Direttore finanziario e il Direttore generale.

Sicchè, essa reputava il licenziamento giustificato (così rigettando l’appello incidentale del lavoratore in parte qua) e riconosceva, in favore di M.G., l’indennità di preavviso, a norma dell’art. 23 CCNL cit., ma non l’indennità complementare prevista dall’art. 19 CCNL cit.

La Corte aquilana riteneva quindi dovuta al predetto la retribuzione variabile maturata nel primo semestre 2007 e la quota relativa ad integrazione del T.f.r., in assenza di contestazione del quantum.

Infine, essa respingeva l’appello incidentale anche nella censura riguardante la statuizione sulle spese, siccome giustificata ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis.

Con atto notificato il 29 settembre 2014, Sorgente Santa Croce s.p.a. ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste M.G. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2118 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’integrazione degli addebiti contestati al dirigente, non già di una semplice inadeguatezza, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma di grave negazione degli obblighi fondamentali del rapporto di lavoro, avendo il predetto agito unicamente per il conseguimento di un aumento di fatturato (con il corrispondente aumento della sua retribuzione) senza preoccuparsi del grave esponenziale indebitamento comportato pertanto nella piena consapevolezza dell’aperta violazione del mandato fiduciario: così rivelando l’intensità del profilo intenzionale, integrante giusta causa del licenziamento.

2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per malgoverno delle risultanze istruttorie: con indebita valorizzazione, in particolare, del recupero dal dirigente di crediti per Euro 600.000,00 nell’agosto 2007, a fronte di un contestato mancato incasso di crediti di Euro 10.464.554,38; non corretta esclusione della responsabilità di M. anche del settore di logistica e trasporti aziendali; omissione valutativa di circostanze, pure emerse dalle deposizioni testimoniali illustrate, comprovanti la grave violazione del rapporto di fiducia, anche tenuto conto dell’ignorato atteggiamento ingiurioso e conflittuale del dirigente poi licenziato nei confronti dei vertici della società.

3. Con il terzo, la ricorrente deduce carenza di motivazione e omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della contestazione disciplinare relativa al punto d) della lettera 11 settembre 2007 (“di aver consentito un anomalo accumulo di crediti scaduti e non incassati per un valore di Euro 8.282.094,77 al 31 agosto 2007 e concesso dilazioni ai clienti che avevano usufruito dello sconto del 2% sul fatturato mentre tale sconto era previsto solo in caso di pagamento alla consegna”), pure esaminata dal Tribunale, che non ne aveva ritenuto una gravità tale da integrare giusta causa, nonostante gli elementi illustrati, comprovanti l’assoluta inadeguatezza delle politiche commerciali del dirigente, produttive della situazione di crisi economia e finanziaria dell’azienda, in quanto errate e lesive dei suoi interessi.

4. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2118 c.c. per la rilevanza degli addebiti contestati al dirigente, non alla stregua di semplice inadeguatezza, ma di grave negazione degli obblighi fondamentali del rapporto di lavoro, integrante giusta causa di licenziamento, è inammissibile.

4.1. Non sussiste la violazione di norme di legge denunciata, in difetto dei requisiti propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

4.2. In particolare, non si configura la violazione di diritto della giusta causa.

La censura non pone una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd. “elastica”, che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico – sociale (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).

4.3. Piuttosto, il mezzo investe essenzialmente il profilo di gravità dell’inadempimento e pertanto un accertamento in fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013; Cass. 22 giugno 2009, n. 14586; Cass. 11 marzo 2004, n. 5013; Cass. 18 giugno 2003, n. 9783).

La censura si risolve pertanto in una contestazione meramente contrappositiva, con sollecitazione ad una rivisitazione critica dell’accertamento del fatto e della valutazione probatoria, di competenza esclusiva del giudice di merito. Ma a ciò la Corte aquilana ha provveduto con argomentata ed esauriente motivazione, esente da vizi logici nè giuridici (per le ragioni illustrate dal secondo capoverso di pg. 4 al primo di pg. 8 della sentenza): e quindi nell’esercizio di un potere insindacabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

5. Il secondo motivo, relativo a violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per malgoverno delle risultanze istruttorie, è pure inammissibile.

5.1. In tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 20 giugno 2006, n. 14267).

L’art. 116 c.p.c., comma 1, consacra poi il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento (salve alcune specifiche ipotesi di prova legale) è rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto a indicare gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonchè l’iter seguito per addivenire alle conclusioni raggiunte: ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata.

E tale apprezzamento è insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Cass. 13 luglio 2004, n. 12912).

5.2. Occorre pure osservare che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o comunque una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, di prova legale). E così pure qualora, essendo la prova soggetta ad una specifica regola di valutazione, egli abbia invece dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento.

Quando invece si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: con la conseguente inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

5.3. Si evidenzia, per tali ragioni, come anche questo mezzo consista in una pales contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto del giudice di merito, con sollecitazione ad una rivisitazione del merito, insindacabile in sede di legittimità, laddove congruamente e correttamente motivato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come nel caso di specie (per le ragioni esposte in particolare dal terzo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 8 della sentenza).

6. Il terzo motivo, relativo a carenza di motivazione e omesso esame della contestazione disciplinare relativa al punto d) della lettera 11 settembre 2007, concernente la circostanza comprovante l’inadeguatezza delle politiche commerciali del dirigente produttive della situazione di crisi economia e finanziaria dell’azienda, è parimenti inammissibile.

6.1. Esso si pone al di fuori dell’ambito previsonale del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di limitata devoluzione del “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, con esclusione della sua integrazione con elementi istruttori, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Come è appunto avvenuto nel caso di specie per la circostanza di fatto contestata sub d), esaminata e negativamente valutata ai fini della ricorrenza della giusta causa di licenziamento: ciò che chiaramente si evince dalle argomentazioni della Corte territoriale (in particolare esposte dal primo all’ottavo alinea e al terz’ultimo capoverso di pg. 6, nonchè dall’ultimo capoverso di pg. 7 al primo periodo di pg. 8 della sentenza).

7. Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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