Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11020 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. I, 06/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 06/05/2010), n.11020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Sanremo Agricola s.p.a. in liquidazione in persona del liquidatore,

elettivamente domiciliata in Roma, viale B. Buozzi 82, presso l’avv.

Iannotta Gregorio, che la rappresenta e difende giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

D.B.A. e R., elettivamente domiciliati in Roma,

via Gramsci 14, presso l’avv. Dinacci Giampiero, che li rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2159/06

dell’11.5.2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7.4.2010 dal Relatore Cons. Dr. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Iannotta per la ricorrente e Dinacci per i

controricorrenti;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 21.7.94 la Sanremo Agricola s.p.a. in liquidazione conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma A. e D.B.R. quali ex amministratori unici (in tempi diversi) della società, per sentir accertare la loro responsabilità ex artt. 2391 e 2392 c.c..

L’azione in questione veniva proposta per il fatto che i due amministratori avrebbero agito in conflitto di interessi con la società, il primo per aver stipulato in data (OMISSIS) con la propria figlia E. un contratto di locazione di durata novennale di una villa in (OMISSIS) per un canone complessivo di L. 54.000.000, nonchè un contratto di affitto della medesima durata con la Actisud s.r.l., avente ad oggetto una parte consistente di un’azienda agricola; il secondo, per aver rinunciato agli atti e all’azione relativi ai due giudizi instaurati dalla medesima Sanremo Agricola, in persona di altro amministratore, con due atti di citazione notificati il 2.2.1989 nei confronti di D.B. E. e della Actisud, al fine di sentir dichiarare la simulazione assoluta ovvero la nullità ex artt. 1343 e 1345 c.c. o comunque l’annullamento ex art. 1394 c.c., dei due contratti di locazione di immobile e di affitto di azienda sopra indicati.

I convenuti si costituivano, D.B.A. sollecitando declaratoria di prescrizione per decorso del termine quinquennale, poichè la revoca dall’incarico era intervenuto il 1.7.1988 e l’atto di citazione era stato notificato il 21.7.1994;

D.B.R. chiedendo la sospensione del giudizio in attesa della definizione di due controversie tra le stesse parti pendenti presso il Tribunale di Roma e di Latina; entrambi comunque chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

Il tribunale rigettava la domanda contro D.B.A. per prescrizione e quella contro D.B.R. perchè infondata, decisione che, impugnata dalla Sanremo Agricola sotto il duplice aspetto dell’avvenuta impugnazione dei contratti in questione in base agli stessi fatti illeciti dedotti nell’azione di responsabilità e dell’errata valutazione degli elementi probatori, veniva poi confermata in sede di gravame. In particolare la Corte territoriale escludeva che le azioni della Sanremo Agricola, finalizzate a far accertare l’invalidità degli atti di locazione e di affitto, potessero avere efficacia interruttiva del termine di prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti di D.B.A., azionato in ragione della pretesa illegittimità della condotta da questi tenuta, nella sua qualità di amministratore della società.

Quanto poi al D.B.R., la domanda dell’attore sarebbe stata infondata, perchè l’addebito mosso a suo carico sarebbe consistito nell’avvenuta rinuncia “a delle azioni giudiziarie dall’esito tutt’altro che certo”, e da ciò non sarebbe stato desumibile “alcuna effettiva intenzione di sottrarre al patrimonio sociale della Sanremo Agricola i due cespiti”.

Avverso la decisione la Sanremo Agricola in liquidazione proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi poi ulteriormente illustrati da memoria, cui resistevano con controricorso gli intimati.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 7.4.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di impugnazione la Sanremo Agricola ha rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 1310 c.c. e dei principi in tema di prescrizione nonchè vizio di motivazione, con riferimento all’avvenuto accoglimento dell’eccezione sollevata da D.B.A..

La statuizione sul punto sarebbe infatti errata, in quanto gli stessi fatti del giudizio in esame sarebbero stati contestati a D.B. R., D.B.E. e all’Actisud in altri giudizi introdotti con citazione del 1991 e 1992, D.B.A. sarebbe stato condebitore solidale dei detti convenuti, e pertanto sarebbe stato applicabile il disposto di cui all’art. 1310 c.c..

In particolare sarebbe stato ignorato il collegamento tra il fatto contestato a D.B.A. (consistente nella stipulazione dei contratti di locazione e di affitto) e quello successivo posto in essere da D.B.R., collegamento che avrebbe dovuto indurre a considerare i diversi specifici addebiti come concausa dell’illecito oggetto di controversia;

2) violazione degli artt. 2391, 2392 e 2393 c.c., art. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, con riferimento al rigetto della domanda proposta nei confronti di D.B.R..

Sarebbe innanzitutto irrilevante l’omessa contestazione a D.B. R. della circostanza della sua estraneità alla stipulazione dei contratti, essendogli stata più semplicemente addebitata la rinuncia ai giudizi, che avrebbe consentito il perfezionamento dell’illecito.

Inoltre non sarebbe condivisibile l’affermazione secondo cui non sarebbe stata desumibile, dalla rinuncia ai giudizi, “alcuna intenzione di sottrarre al patrimonio sociale della Sanremo i due cespiti immobiliari in questione”, affermazione che presuppone, fra l’altro, un concetto di atto dispositivo circoscritto alla compravendita. Infine la Corte aveva trascurato la circostanza che l’atto di rinuncia aveva precluso definitivamente la possibilità di invalidare i contratti di locazione e di affitto e aveva ignorato il quadro di riferimento nel cui ambito i detti contratti erano stati conclusi (la stipulazione era intervenuta in concomitanza con il decreto di commissariamento, i contratti erano stati quindi impugnati su indicazione del Commissario straordinario, la rinuncia era intervenuta senza delibazione dell’assemblea). Le censure sono infondate.

Sulla prima, relativa alla domanda contro D.B.A., l’esclusione della prescrizione è stata invero dedotta sotto il profilo della solidarietà dell’obbligazione risarcitoria di D. B.A. e R. e in relazione all’avvenuta interruzione della prescrizione nei confronti di quest’ultimo, per effetto dei giudizi promossi per l’invalidazione dei contratti in questione, incentrati sull’addebito dei medesimi fatti.

Tuttavia la Corte territoriale, cui era stata sottoposta la relativa eccezione sul punto, ha ritenuto che le pretese risarcitorie che avrebbero interrotto la prescrizione sarebbero state autonome rispetto a quelle fatte valere contro D.B.A., e ciò, oltre all’evidenza sul piano soggettivo (sono invero diverse le parti dei due giudizi), anche su quello oggettivo, essendo i primi (contro D.B.E. e Actisud L. incentrati su un invalido acquisto dei beni societari, ed il secondo su pretese violazioni dei doveri di gestione dell’amministratore, che aveva dato luogo alla stipula.

Quanto poi all’asserita solidarietà delle obbligazioni di D.B. A. e R., la Corte aveva stimato l’affermazione “a dir poco opinabile”. Orbene, a fronte di tali puntuali indicazioni della Corte territoriale la ricorrente ha sostanzialmente riproposto le stesse argomentazioni precedentemente svolte, insistendo in particolare sull’identità dei fatti posti a base delle diverse azioni intraprese e sul collegamento fra il fatto contestato ad D.B.A. e quello successivo posto in essere da D.B. R., collegamento che sarebbe stato eventualmente riconducibile ad una interpretazione della volontà delle parti, negato non solo implicitamente dalla Corte di Appello (“per aver compiuto degli atti – il D.B.R. il cui contenuto, deve ritenersi del tutto astratto dalle ragioni che spingono la parte a porlo in essere e dai fini che questa si propone”), ma anche non censurato specificamente, sotto l’aspetto della rilevazione dei vizi interpretativi eventualmente riscontrabili.

Per di più la non adeguatamente contestata interpretazione offerta dal giudice del merito non risulta viziata sotto l’ulteriore profilo della violazione di legge.

Una volta escluso infatti il collegamento dei due negozi (stipulazione dei contratti – rinuncia alle azioni), la Corte ha correttamente considerato in modo separato le due condotte, riconducendo ciascuna di esse ai diversi tempi in cui furono poste in essere, e da ciò esattamente deducendo l’intervenuta prescrizione per quella addebitata ad D.B.A.. Nè appare configurabile un vincolo di solidarietà passiva fra le obbligazioni dei due D.B. (vincolo che avrebbe altrimenti consentito l’applicazione dell’art. 1310 c.c.), risultando diverse le condotte loro addebitate, circostanza che consente di escludere che i due soggetti siano obbligati ad una identica prestazione, diretta al soddisfacimento di un medesimo interesse creditorio.

Per quanto riguarda poi il secondo motivo, la doglianza è sostanzialmente incentrata sul vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello, che non avrebbe adeguatamente considerato gli effetti riconducibili alla rinuncia all’azione, rinuncia che sarebbe stata arbitraria e maliziosamente posta in essere.

In proposito occorre tuttavia rilevare che la Corte si è limitata ad evidenziare sul punto il connotato processuale – e quindi la sua autonomia rispetto alle ragioni sostanziali – della condotta addebitata, la mancanza di elementi dai quali poter desumere l’intenzione del D.B. di sottrarre al patrimonio sociale i due cespiti della Sanremo Agricola e, soprattutto, “l’esito tutt’altro che certo” del giudizio.

Tale rilievo, peraltro confortato dal rappresentato – e non contestato – esito negativo del giudizio avente fra l’altro ad oggetto l’annullabilità della rinunzia del D.B. per conflitto di interessi, non è stato adeguatamente censurato dalla ricorrente, che ha manifestato la sua ferma contrarietà alla decisione adottata, senza peraltro indicare i motivi per i quali la rinunzia sarebbe frutto dell’intento di acquisire utili in danno della società, e non piuttosto di una ponderata valutazione di opportunità.

Si tratta dunque di valutazione di merito, sufficientemente motivata con argomenti non viziati sul piano logico e non contrastati in modo idoneo dalla ricorrente, valutazione che non può pertanto essere sindacata in questa sede di legittimità.

Il ricorso deve dunque essere rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

 

 

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