Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1102 del 18/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1102 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: ROSSETTI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso 26942-2015 proposto da:
D’ANTUONO ANTONIETTA, SCANNAPIECO GIUSEPPINA,
SCANNAPIECO LUISA, in qualità di eredi di Scannapieco
Giuseppina, elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato
FELICE FRANCHI;
– ricorrenti contro
COMUNE SAN BENEDETTO DEL TRONTO, in persona del
Sindaco, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBIELLINI
AMIDEI 44, presso lo studio dell’avvocato LUCA MASSIMI,
rappresentato e difeso dall’avvocato AUGUSTO _MANDOLINI;
– con troricorren te nonché contro

\m/

Data pubblicazione: 18/01/2018

ALLIANZ SPA , CITERONI DIEGO, CITERONI RINALDO;

– intimati avverso la sentenza n. 821/2014 della CORTE D’APPELLO di
ANCONA, depositata il 07/11/2014;

partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI.
Rilevato che:
nel 2003 Antonietta D’Antuono, Luisa Scannapieco e Giuseppina
Scannapieco convennero dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, sezione
di San Benedetto del Tronto, il Comune di San Benedetto del Tronto,
Luciano Citeroni (che verrà a mancare in corso di causa, e la cui
posizione processuale sarà coltivata dagli eredi Diego Citeroni e
Rinaldo Citeroni) e la società Lloyd Adriatico Assicurazioni S.p.A. (che
in seguito muterà ragione sociale in Allianz S.p.A.; d’ora innanzi, per
brevità, sempre e comunque “la Allianz”), esponendo che:
(-) erano parenti (il ricorso non indica il grado di parentela) di Carmela
Scannapieco, deceduta in conseguenza di un sinistro stradale il 4
giugno 2000;
(-) la responsabilità di tale sinistro andava ascritta tanto al Comune di
San Benedetto del Tronto, quanto a Luciano Citeroni;
(-) il sinistro era infatti avvenuto poiché la vittima, percorrendo in
bicicletta la Via del Mare nel territorio del Comune convenuto, nel
percorrere un tratto in discesa, ed a causa di una irregolarità del manto
stradale, perse il controllo del velocipede, urtò il pilastro di sostegno di
uno sottovia ivi esistente, e finì nella corsia di marcia opposta alla
propria, dove venne investita dal veicolo condotto da Luciano Citeroni
il quale, nell’occasione, teneva una condotta di guida “incauta”;

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

chiesero pertanto la condanna di tutti i convenuti al risarcimento dei
danni rispettivamente patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti;
con sentenza 29 luglio 2011 n. 183, il Tribunale di Ascoli Piceno
accolse la domanda unicamente nei confronti del Comune di San
Benedetto del Tronto;

con sentenza 7 novembre 2014 n. 821, accolse il gravame e rigettò la
domanda attorea, compensando le spese;
per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:
(-) il dissesto del manto stradale non ebbe efficacia causale
nell’avverarsi del sinistro, perché non si trovava nella parte di strada
percorsa dalla vittima;
(-) la causa dello sbandamento del velocipede fu la velocità della
ciclista, e il suo tentativo (non riuscito) di superare in discesa la sorella,
anch’essa in bici, che la precedeva;
la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Antonietta
D’.Antuono, Luisa Scannapieco e Giuseppina Scannapieco, con ricorso
fondato su due motivi; ha resistito con controricorso il Comune di San
Benedetto del Tronto, il quale ha altresì depositato memoria (priva,
peraltro, di qualsiasi contenuto aggiuntivo od illustrativo rispetto ai
contenuti del controricorso);
Considerato che:
il Comune di San Benedetto del Tronto ha eccepito preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso a causa della sua tardività;
l’eccezione è infondata;
la sentenza impugnata è stata depositata il 7 novembre 2014, e non è
stata notificata alla parte soccombente;

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la Corte d’appello di Ancona, adita dall’amministrazione soccombente,

da tale data, pertanto, è iniziato a decorrere il termine di un anno,
previsto dall’articolo 327 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis al
presente giudizio;
il ricorso per cassazione è stato consegnato per la notifica all’ufficiale
giudiziario in data 6 novembre 2015, e dunque prima che spiegasse il

erra, per contro, la difesa dell’amministrazione controricorrente, nel
pretendere che al presente giudizio si applichi il minor termine
semestrale di impugnazione, introdotto art. 46, comma 17, della 1. 18
giugno 2009, n. 69;
tale novità, infatti, per espressa previsione dell’art. 58, comma 1, della
stessa legge, si applica ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009, mentre
il presente giudizio iniziò in primo grado nel 2003;
è infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che quando una
norma di diritto Inter—tempo faccia riferimento all’inizio “del giudizio”,
con tale espressione debba intendersi il momento di inizio dell’intero
processo, e non di un solo grado di esso (ex multis, in tal senso, Sez. 6 3, Ordinanza n. 4987 del 14/03/2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 120 del
07/01/2016; Sez. 1, Sentenza n. 17060 del 05/10/2012);
col primo motivo le ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata
sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art.
360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 1227,
2043, 2051 e 2697 c.c.); sia da “illogicità e contraddittorietà della
motivazione”;
il motivo, se pur formalmente unitario, contiene in realtà plurime
censure (talora disorganicamente frammiste e sovrapposte), che
possono tuttavia essere riordinate e riassunte come segue:
(a) la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 1227 e 2051 c.c., per
avere attribuito alla vittima la responsabilità esclusiva dell’accaduto,
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termine suddetto;

nonostante dall’istruttoria fosse emerso che al momento del sinistro il
(L,
manto stradale era dissestato, e il sottopassaggio che la vittima stava
per imboccare non era illuminato;
(B) la Corte d’appello avrebbe invertito l’onere della prova, che

L

l’articolo 2051 c.c. poneva a carico dell’amministrazione comunale;

momento del sinistro non stava percorrendo la parte di strada con
l’asfalto rovinato sarebbe “solo un’ipotesi, mancante del tutto della rigorosa

prova liberatoria” richiesta dall’articolo 2051 c.c.;
(c) la Corte d’appello non ha motivato in merito alla ricostruzione della
dinamica del sinistro;
(d) la Corte d’appello, nella parte in cui ha ritenuto che la vittima
procedesse ad elevata velocità, e perse l’equilibrio a causa del maldestro
tentativo di sorpassare il velocipede che la precedeva, avrebbe valutato
in modo atomistico, e non già organico, tutti gli indizi raccolti nel
corso dell’istruttoria; se li avesse valutati complessivamente, sarebbe
invece dovuta pervenire alla conclusione che la caduta fu causata dal
dissesto del manto stradale;
il motivo è manifestamente inammissibile;
nella parte in cui lamenta la violazione dell’articolo 2051 c.c., il motivo
è inammissibile per totale estraneità alla ratio decidendi;
la Corte d’appello, infatti, non ha negato che il danno fosse stato
causato da una cosa in custodia; non ha negato che il custode sia
onerato dalla prova liberatoria; non ha negato che l’amministrazione
possa ritenersi “custode” delle strade comunali;
la Corte d’appello ha, invece, rigettato la domanda sul presupposto che
l’amministrazione comunale avesse fornito quella prova liberatoria ad
essa richiesta dall’articolo 2051 c.c.: e cioè la prova del “caso fortuito”,

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l’affermazione del giudice di merito, infatti, secondo cui la vittima al

che per costante giurisprudenza di questa Corte può essere
rappresentato anche dalla condotta colposa dello stesso danneggiato;
nella parte in cui il primo motivo di ricorso censura la sentenza
impugnata, per avere ritenuto che la causa del sinistro non andasse
ravvisata nelle condizioni del manto stradale, il motivo è invece

valutazione delle prove e degli indizi ulteriore e diversa rispetto a
quella, non implausibile adottata dal giudice di merito;
conclusivamente, dunque, ed in sintesi, lo stabilire se un ciclista abbia
patito un infortunio mortale a causa della velocità, a causa di una
condotta di guida imprudente, a causa del dissesto del manto stradale,
ovvero per qualsivoglia altra ragione, è un tipico accertamento di fatto,
riservato al giudice di merito, e non sindacabile in sede di legittimità;
il primo motivo di ricorso, infine, nella parte in cui lamenta la “totale
mancanza” della motivazione della sentenza impugnata circa la
, ricostruzione della dinamica del sinistro appare
-.1

Ltaacii,

-,prso: la Corte d’appello ha dedicato alla ricostruzione del
sinistro ed alla valutazione delle prove le pagine 2-7 della sentenza,
nelle quali dà conto in modo chiaro e non contraddittorio delle ragioni
della prova decisione; che poi le prove raccolte presentassero un
margine di ambiguità, e la ricostruzione dei fatti potesse avvenire
anche in modo diverso, ciò non può costituire motivo di ricorso per
cassazione, noto essendo che la ricostruzione del fatto come compiuta
dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità se
correttamente motivata, anche quando essa sia soltanto una tra le
possibili interpretazioni plausibili delle prove raccolte;
col secondo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano — formalmente
richiamando l’art. 360 n. 5 c.p.c. – che la sentenza impugnata sarebbe
affetta dal vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motiva_zione”;
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manifestamente inammissibile perché sollecita da questa Corte una

il motivo, ad onta della sua intitolazione formale, torna a riproporre,
questa volta sotto il profilo della illogicità della motivazione, le
medesime censure e le medesime questioni già esposte
nell’illustrazione del primo motivo: ovvero che la Corte d’appello non
avrebbe adeguatamente valutato le circostanze che il manto stradale

illuminato, che la vittima non poteva avere colpa (o quanto meno non
poteva averla in modo esclusivo) per aver perso l’equilibrio, che
l’amministrazione comunale è tenuta all’obbligo di provvedere alla
manutenzione della rete stradale;
il motivo è manifestamente inammissibile;
infatti il vizio di insufficiente, illogica o contraddittoria motivazione,
quale motivo di ricorso per cassazione, è stato espunto
dall’ordinamento dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella
legge 7 agosto 2012, n. 134, ed i difetti della motivazione possono
oggidì ancora essere censurati in sede di legittimità solo in due casi: o
quando una motivazione manchi del tutto sinanche “come segno
grafico”, ovvero quando sia così oscura da riuscire assolutamente
incomprensibile (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014); e nel
caso di specie non ricorre né l’una, né l’altra di tali ipotesi;
le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate
per metà, in considerazione delle specificità del caso concreto; la parte
rimanente va posta a carico delle ricorrenti, ai sensi dell’art. 385,
comma 1, c.p.c., ed è liquidata nel dispositivo;
il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con
la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.

Ric. 2015 n. 26942 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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era comunque dissestato, che il sottopasso non era comunque

30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
legge 24 dicembre 2012, n. 228).

P. q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) compensa per metà tra le parti le spese del presente giudizio di

(-) condanna Antonietta D’Antuono, Luisa Scannapieco e Giuseppina
Scannapieco, in solido, alla rifusione in favore del Comune di San
Benedetto del Tronto della metà delle spese del presente giudizio di
legittimità, che si liquidano nella somma di euro 2.000, di cui 200 per
spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2,
comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
civile della Corte di cassazione, addì 19 settembre 2017.

Il Ihesidente
le Frasca)

legittimità;

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