Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11019 del 19/05/2011

Cassazione civile sez. III, 19/05/2011, (ud. 15/04/2011, dep. 19/05/2011), n.11019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIZZUTI PASQUALE, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.;

– intimato –

e sul ricorso 27660-2006 proposto da:

B.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SANTA COSTANZA 27, presso lo studio dell’avvocato MARINI

ELISABETTA, rappresentato e difeso dall’avvocato D’AURIA ANTONIO, con

studio 84018 SCAFATI (SA), Via Luigi Sturzo, 18, giusta delega al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

e contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 283/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

emessa il 17/11/2005, depositata il 22/03/2006; R.G.N. 592/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/04/2011 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato MARINA ELISABETTA (per delega Avvocato D’AURIA

ANTONIO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 21 febbraio 2003 C.M., proprietaria di un fondo rustico in (OMISSIS), ha convenuto in giudizio – innanzi al tribunale di Nocera Inferiore, sezione specializzata agraria – B.M. chiedendo che fosse dichiarato risolto il contratto di locazione inter partes alla data del 30 agosto 2003 o a quella da determinare in corso di causa, con condanna del B. al rilascio.

Solo in via subordinata la C. ha spiegato domanda di risoluzione del contratto in questione chiedendo ne fosse dichiarata la cessazione per la data del 10 novembre 2007 o a quella successiva risultante dalla applicazione delle leggi in vigore, con condanna del convenuto al rilascio.

Costituitosi in giudizio il B. ha resistito alle avverse pretese facendo presente che il fondo era stato condotto in affitto dal proprio genitore sino all’anno 1977, allorchè era stato restituito alla proprietaria D.L.A. per circa due anni. Il fondo – ha riferito, altresì, il convenuto – gli era stato restituito nel 1980, con la conseguenza che il rapporto, non tempestivamente disdettato, sarebbe cessato il 10 novembre 2012.

Svoltasi la istruttoria del caso, l’adita sezione, con sentenza 18 febbraio 2005, ha accolto la domanda attrice di rilascio per la scadenza del 10 novembre 2007, rigettata ogni altra domanda.

Gravata tale pronunzia dal B., nel contraddittorio della C. che, costituitasi in giudizio ha chiesto il rigetto dell’avversa impugnazione, la Corte di appello di Salerno, sezione specializzata agraria, con sentenza 17 novembre 2005 – 22 marzo 2006, in parziale riforma della decisione dei primi giudici, ha dichiarato che il rapporto di affittanza agraria oggetto di controversia sarebbe cessato il 10 novembre 2012 ordinando al B. il rilascio del fondo in favore della C. per la data dell’11 novembre 2012, compensate tra le parti le spese di lite.

Per la cassazione di tale pronunzia – non notificata – ha proposto ricorso, affidato a due motivi, C.M..

Resiste, con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un unico motivo, B.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. 2. Hanno accertato, in linea di fatto, i giudici del merito, che:

– nel corso del 1977 B.A., padre dell’odierno ricorrente e originario conduttore del fondo per cui è controversia, ha restituito il fondo stesso alla proprietaria;

– a seguito di tale assolutamente non controversa circostanza il fondo è stato condotto, negli anni 1977 – 78, da S.C., figlio della C., con i l’ausilio di L.F.;

– solo nel 1980 il fondo è stato consegnato dalla proprietaria a B.M., dando vita a un nuovo contratto agrario che, di conseguenza deve ritenersi -in assenza di tempestiva disdetta – vigente tra le parti sino al 2012.

3. La ricorrente principale censura la riassunta pronunzia denunciando, nell’ordine:

– da un lato, violazione e falsa applicazione dell’art. 1230 cod. civ., dell’art. 116 cod. proc. civ. e, L. n. 203 del 1982, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso del giudizio, art. 360 c.p.c., n. 5 primo motivo;

– dall’altro, violazione e falsa applicazione dell’art. 1230 cod. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 345 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, art. 360 c.p.c., n. 5 secondo motivo.

4. Il proposto ricorso è inammissibile.

Sotto molteplici, concorrenti, profili.

4. 1. Il presente giudizio è soggetto alla disciplina di cui all’art. 360 c.p.c., e segg. come risultanti per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata mediante deposito in cancelleria ex artt. 133, 430 e 438 cod. proc. civ. il 22 marzo 2006, ancorchè il dispositivo sia stato letto un udienza il 17 novembre 2005.

Non controverso quanto sopra è agevole osservare che entrambi i motivi devono – comunque – essere dichiarati inammissibili perchè non conformi al modello di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.4.1.1. Alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice il quesito di diritto previsto dall’art. 366-bis c. p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

In altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

La ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. 7 aprile 2009, n. 8463).

Non può, inoltre, ritenersi sufficiente – perchè possa dirsi osservato il precetto di cui all’art. 366-bis – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dalla esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie.

Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis cod. proc. civ. secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato.

In tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati (Cass. 25 novembre 2008 nn. 28145 e 28143).

Contemporaneamente deve ribadirsi, al riguardo, che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ. la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

4.1.2. Certo quanto sopra si osserva che la ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto:

– se in caso di interruzione di un rapporto di affitto e sua successiva ripresa lo stesso debba ritenersi frazionato di diritto oppure il giudice di merito sia tenuto, come si sostiene, ad accertare la esistenza di un accordo diretto alla estinzione di quello precedente e a costituire uno nuovo in margine al primo motivo, prima parte;

– se in caso di eccezione di intervenuta novazione di un rapporto unico secondo la prospettazione dell’altra parte, le disquisizioni volte a contrastare la stessa siano eccezioni in senso stretto o mere difese, da poter far valere in qualsiasi momento in margine al secondo motivo, prima parte.

4.1.3. E’ palese – alla luce delle considerazioni svolte sopra – la assoluta non conformità dei riferiti quesiti al modello delineato dall’art. 366 bis cod. proc. civ., specie tenuto presente che i trascritti quesiti – assolutamente generici e in alcun modo ricollegatali alla fattispecie – prescindono, totalmente dagli accertamenti, in fatto compiuti dai giudici del merito i quali, sulla scorta del proprio apprezzamento dei fatti di causa sono pervenuti alla conclusione che non vi è stata – tra le parti – alcuna novazione di un unico contratto di affitto ma lo scioglimento del primo contratto (che vedeva quale conduttore B.A.) e, a distanza di due anni, la costituzione di un nuovo contratto con un diverso conduttore, in particolare, B.M..

4.1.4. Giusta la testuale previsione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366bis cod. proc. civ. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione , l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora, è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

4.1.5. Pacifico quanto precede si osserva che nella specie la seconda parte del primo come del secondo motivo sono totalmente prive della precisa indicazione del fatto controverso limitandosi a una serie di affermazioni sulla erronea valutazione delle risultanze probatorie da parte del giudice di appello e i motivi di ricorso, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili anche nelle parti de quibus.

Nè può – infatti – considerarsi chiara indicazione del fatto controverso quanto si precisa nell’ultima parte del primo motivo allorchè si precisa:

– da un lato, che su tale punto la motivazione è certamente insufficiente in quanto non spiega quali siano le state le circostanze da cui avrebbero ricavato il supposto animus novandi;

– dall’altro, che la stessa motivazione contraddittoria in quanto dopo avere dato per l’interruzione fosse avvenuta per ben due anni, ritiene attendibile la dichiarazione del teste L. che invece sostiene che la stessa avesse avuto una durata annuale e che avesse avuto a oggetto l’intero fondo quanto dalla lettura complessiva della prova si evince palese il contrario.

Infatti:

– i giudici del merito hanno ampiamente e esaurientemente indicato gli elementi da cui hanno tratto la prova dell’avvenuta cessazione, per rinunzia del conduttore, dell’originario contratto di affitto e la stipulazione, con un diverso conduttore, di un nuovo contratto di affitto, esponendo tutti gli argomenti in forza dei quali era inaccettabile la ricostruzione della complessa vicenda nei termini invocati dall’odierna ricorrente principale;

– giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui senza alcuna motivazione totalmente prescinde parte ricorrente) il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076) è palese, pertanto, che la mera circostanza che – disattendendo le aspettativa della odierna ricorrente – i giudici del merito abbiano ritenuto attendibile un teste (assumendo che altri sono inattendibili) non integra un vizio di contraddittoria motivazione.

4.2. Anche a prescindere dagli assorbenti rilievi che precedono (e che precludono qualsiasi altra indagine in margine al ricorso in esame), comunque, si osserva che il ricorso è inammissibile anche sotto ulteriori profili.

4.2.1. In primis, si osserva che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della, fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessari, annerite un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie da parte de ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto dei vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’urna e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o cotitraddittoria ricostruzione della, fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto procede si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le disposizioni di legge indicate nella intestazione del primo come del secondo motivo, in realtà, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

4.2.2. Quanto, ancora, alle censure sviluppate nella seconda parte del primo motivo come nella seconda parte del secondo si osserva, in termini opposti, rispetto a quanto invoca (e suppone) parte ricorrente principale che – comunque – il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 2 novembre 2010, n. 25127;

Cass. 13 ottobre 2010, n. 22298; Cass. 26 aprile 2010, n. 9908; Cass. 30 marzo 2010, n. 7626; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394, tra le tantissime).

5. Con il ricorso incidentale, lamentando violazione degli art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui questa ha disposto la totale compensazione delle spese del doppio grado del giudizio tenuto conto dell’esito globale della lite e, pertanto, della reciproca soccombenza.

Formula al riguardo il ricorrente incidentale il seguente quesito di diritto la parte integralmente soccombente nel giudizio deve essere condannata al pagamento di spese ed onorari in favore della parte vittoriosa.

6. Il motivo è infondato.

Premesso che il presente giudizio è stato istaurato, in primo grado, con ricorso 21 febbraio 2003 sì che non è soggetto all’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione assunta – con decorrenza dal 1 marzo 2006, per effetto del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39- quater conv. con mod. dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51 – a seguito della L. 28 dicembre 2005, n. 163, art. 2 si osserva che la sentenza impugnata ha compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio tenuto conto dell’esito globale del giudizio.

Ancorchè – del tutto impropriamente, con evidente errore materiale – il giudice abbia fatto riferimento, nel pronunciarsi sulle spese di lite, a una inesistente reciproca soccombenza, in realtà risulta chiaramente – vuoi dal passaggio sopra riferito, vuoi dal complesso delle argomentazioni che sorreggono il decisum che nella specie la compensazione è stata disposta per la sussistenza di giusti motivi, ravvisati – a parere del giudice di secondo grado – nella circostanza dell’esito globale della lite, cioè nella obiettiva opinabilità della res litigiosa, opinabilità che aveva fatto sì che mentre il primo giudice aveva ritenuto la cessazione del rapporto alla data del 10 novembre 2007, quello di appello aveva fissato questa al 10 novembre 2012.

E’ palese, per l’effetto, che si è in presenza di un apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede (cfr. Cass. 2 dicembre 2010, n. 24531; Cass. 27 marzo 2009, n. 7523).

7. Il ricorso principale, in conclusione, è dichiarato inammissibile mentre quello incidentale è rigettato.

Attesa la reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi onde disporre, tra le parti, la totale compensazione delle spese di lite di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi;

dichiara inammissibile il ricorso principale;

rigetta il ricorso incidentale;

compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile della Corte di cassazione, il 15 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2011

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