Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11017 del 27/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 11017 Anno 2016
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 1890-2011 proposto da:
CHERUBINI ALDO C.F. CHRLDA55E16E576Q, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 160, presso lo
studio dell’avvocato FRANCO BOUCHE’, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2016

941

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F.
80078750587,

in

persona

del

Presidente

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Data pubblicazione: 27/05/2016

C ntrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

ZI”

«

vocati ELISABETTA LANZETTA, LUCIA POLICASTRO, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1169/2010 della CORTE D’APPELLO

1233/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/03/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato BOUCHE’ FRANCO;
udito l’Avvocato PISCHEDDA SAMUELA per delega

verbale

Avvocato LANZETTA ELISABETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di L’AQUILA, depositata il 21/10/2010 R.G.N.

n. 1890/2011

Svolgimento del processo

1.— Cori sentenza del 21 ottobre 2010, la Corte di Appello di L’Aquila ha
confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso di Aldo
Cherubini, dipendente dell’INPS inquadrato nella posizione C3, volto al

mansioni riconducibili al superiore inquadramento C4 nonché alla corresponsione
della conseguente indennità prevista per i responsabili di posizione organizzativa.
Sulla base dell’istruttoria espletata la Corte territoriale, conformemente al
primo giudice, ha ritenuto che le mansioni svolte in concreto dal Cherubini, come
responsabile del “Gruppo di lavoro Previdenza Agricola” presso la direzione
regionale Abruzzo dell’istituto, non rientrassero nella posizione ordinamentale C4,
senza che fosse altresì configurabile una “identità di funzioni fra il capo team e il
capo del gruppo di lavoro”.

2.— Per la cessazione di tale sentenza Aldo Cherubini ha proposto ricorso
affidato a due motivi, illustrati da memoria. L’Inps ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

3.— Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 17, dell’art. 13 ed Allegato A del CCNL 1998 – 2001 del comparto enti
pubblici non economici, dell’art. 17 ed Allegato A del CCNI di Ente 1998 – 2001,
dell’art. 52 del d, Igs. n. 165 del 2001 nonché violazione del principio di parità di
trattamento.
Si deduce che, in base alla disciplina collettiva, l’elemento di differenziazione
tra le mansioni della posizione C4 e della posizione C3 riguarda la preposizione a
struttura organizzativa ovvero lo svolgimento di funzioni all’interno della struttura
organizzativa che per le sedi regionali è il team di lavoro; che il ricorrente non
operava all’interno di una struttura organizzativa ma ne era responsabile a
seguito di formale conferimento dell’incarico; che risulta superfluo affrontare il
problema della identità o meno delle funzioni del team di lavoro rispetto al
gruppo di lavoro; che per le sedi regionali non era prevista una struttura
organizzativa diversa dal team di lavoro né una sua sottoarticolazione; che tanto
dava diritto non solo alle differenze retributive a mente dell’art. 52 del d. Igs. n.

riconoscimento delle differenze retributive maturate per l’espletamento di

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165 del 2001 ma anche alle indennità previste per i responsabili di posizione
organizzativa.
Con il secondo motivo si eccepisce omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia in quanto la sentenza
impugnata avrebbe fatto confusione nell’esaminare la struttura organizzativa

“processi” la costituzione di gruppi di lavoro a carattere temporaneo, ritenendola
applicabile anche alle sedi regionali dove invece non esistono i “processi” ma “i
team di lavoro”, senza che sia prevista al loro interno la costituzione di gruppi di
lavoro neppure temporanei.

4. — I motivi di ricorso, che per reciproca inferenza possono essere esaminati
congiuntamente, sono infondati.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore
subordinato, così come nell’accertamento del diritto alla retribuzione
corrispondente alle superiori mansioni espletate a mente dell’art. 52 del d. Igs. n.
165 del 2001, non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè,
dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte,
dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di
categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della
normativa contrattuale individuati nella seconda; l’accertamento della natura
delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento
del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce comunque
giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di
legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione (v. tra le più recenti:
Cass. n. 7123 del 2014; in precedenza,

ex plurimis, Cass. nn. 6560/2001;

12744/2003; 3069/2005; 17896/2007; 26233/2008).
A tale criterio metodologico si è conformata la sentenza impugnata.
Ha, anzitutto, accertato in fatto che il Cherubini – preposto in seno alla
Direzione generale al “Gruppo dì lavoro Previdenza Agricola” che, sulla base di un
ordine di servizio, effettuava “nell’ambito delle direttive e degli indirizzi forniti
dalla Direzione Centrale, il controllo del processo produttivo” – rappresentava
“l’interfaccia per gli impiegati provinciali, costituiva una figura di raccordo al fine
di riportare al proprio dirigente le problematiche per le opportune decisioni, senza

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delle sedi provinciali e sub provinciali nelle quali è prevista all’interno dei

R.G.

n. 1890/2011

intervenire direttamente sulle decisioni e sulle interpretazioni normative, né
aveva alcuna facoltà decisionale. Solo nel caso di problematiche in cui la struttura
si era già espressa, egli poteva confrontarsi direttamente con il capo processo
(C4 nella sede provinciale)”. Rimarcando poi la differenza con un responsabile di
un “team”, ruolo affidato a funzionari C4, la sentenza impugnata ribadisce

responsabilità gerarchica decisionale o potere di iniziativa”.
La Corte territoriale, quindi, ha individuato le declaratorie poste dal contratto
integrativo del personale INPS applicabile alla fattispecie che nell’inquadramento
C3, ricoperto dal dipendente, colloca la posizione di chi Integra e regola le linee
dell’intero processo produttivo o del team di lavoro in cui è inserito e nel quale
opera … mediante la gestione delle informazioni e/o l’applicazione delle
metodologie necessarie per la risoluzione dei problemi interviene direttamente
e sistematicamente quale ottimizzatore delle linee e/o delle attività; propone,
attua e verifica soluzioni di miglioramento della qualità dei prodotti/servizi;
risolve i connessi problemi operativi, costituisce riferimento rispetto al servizio
reso al cliente, opera nell’ambito del team rendendo efficace la comunicazione di
gruppo, garantendo la circolarità delle informazioni ed il raggiungimento degli
obiettivi … possiede elevate conoscenze relative alla cultura d’impresa … con
responsabilità piena riferita direttamente agli obiettivi/risultati individuali e di
gruppo’.
Nella superiore posizione C4 del medesimo contratto, riportata dalla Corte, si
colloca invece chi “gestisce e controlla autonomamente, nell’ambito degli indirizzi
ricevuti, processi produttivi e team di lavoro coordinandone le relative risorse
umane e strumentali. Concorre alla individuazione degli obiettivi fissati, pianifica
e controlla in funzione dei risultati articolando piani ed azioni progressive, assume
la diretta responsabilità dei connessi risultati. E’ garante della puntuale
applicazione del sistema normativo procedurale di riferimento e degli standard
quali/quantitativi di produzione; coordina le attività e le risorse attribuendo
responsabilità chiare e condivise rispetto agli obiettivi, gestendo le diversità e
conflitti”.
Ciò posto i giudici d’appello, conformemente a quanto già ritenuto in prime
cure, hanno escluso che “le mansioni svolte in concreto dal Cherubini, come
responsabile del gruppo di lavoro a lui affidato, rientrino nella posizione

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testualmente che il Cherubini, quale capo del gruppo di lavoro, non aveva “alcuna

R.G. n. 189012011

ordinarnentale C4”, trattandosi piuttosto “di mansioni perfettamente compatibili
con la posizione C3”.
Tale conclusione è coerente con l’accertamento in fatto premesso dai giudici
del merito, secondo cui il Cherubini non aveva “alcuna responsabilità gerarchica
decisionale o potere di iniziativa”, rammentando deposizioni testimoniali dalle

quando questi proponeva modifiche organizzative “la decisione definitiva sugli
interventi correttivi veniva adottata unicamente dal capo processo”.
La rilevata mancanza di responsabilità decisionale e di potere di iniziativa ha
dunque correttamente indotto la Corte a disconoscere l’espletamento dì mansioni
superiori, con la conseguente negazione dell’indennità di posizione, atteso che la
declaratoria della posizione C4 postula invece l’autonomia nella gestione e nel
controllo di “processi produttivi e team di lavoro”, con il coordinamento delle
“relative risorse umane e strumentali” e la pianificazione e la responsabilità dei
risultati.
Pertanto, esclusa una errata interpretazione della disciplina contrattuale
collettiva applicabile alla fattispecie, le censure di parte ricorrente nella sostanza
si traducono in una diversa ricostruzione fattuale della vicenda storica rispetto a
quella operata dai giudici del merito, lamentando altresì vizi di omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione.
Come noto, però, il vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità
il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica
e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito,
essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte
di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso
l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio
di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà
della medesima a mente della formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. pro
tempore vigente, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice
di merito, siano rinvenibilir tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di
punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero
qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico

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quali risultava che il “gruppo di lavoro era composto dal solo ricorrente” e che

R.G.

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posto a base della decisione; al contempo deve osservarsi che il compito di
valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonché di
individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive
risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito; per conseguenza

elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le
argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di
una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza
impugnata. Infine va considerato che, affinché la motivazione adottata dal
giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è
necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le
argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni
del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente
rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.
Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze
rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo,
coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi
logici; le vantazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte
configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto
ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative
anch’esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito
che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr., ex plurimis, Cass., n. 7123
del 2014).
Invero, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che denunci, quale vizio
di motivazione, l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti
della controversia o delle prove, non può limitarsi prospettare una spiegazione di
tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o
probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario

che tale

spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (da ultimo, Cass. n.
25927 del 2015).

5.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

5

le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli

RG, n. 1890/2011

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese liquidate in euro 3.100,00, di cui euro 3.000,00 per compensi professionali,

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2016

Il co sigliere est.

Il Presidente

oltre al 15% di spese generali ed agli accessori di legge.

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