Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11015 del 19/05/2011

Cassazione civile sez. III, 19/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 19/05/2011), n.11015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato LUCATTONI

PIERLUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MURATORI CASALI PIER ALESSANDRO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

LAUDANI SALVATORE S.R.L. (già F.LLI LAUDANI S.R.L.) (OMISSIS),

in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro

tempore S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIA COLONNA 32, presso lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIERLUIGI

CASSIETTI, L. FRANCO CATTANEO giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

WILLBAU S.R.L.;

– intimata –

sul ricorso 6914-2009 proposto da:

B.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato LUCATTONI

PIERLUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MURATORI CASALI PIER ALESSANDRO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

LAUDANI SALVATORE S.R.L. (già F.LLI LAUDANI S.R.L.) (OMISSIS),

in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante

S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA

COLONNA 32, presso lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CATTANEO L. FRANCO,

CASSIETTI PIER LUIGI giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

WILLBAU S.R.L. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 199/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO –

SEZIONE 3 CIVILE, emessa il 16/1/2008, depositata il 14/02/2008,

R.G.N. 1678/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato MARIO MENGHINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per la riunione dei ricorsi,

nel merito per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 7 ottobre 2002 B. F. conveniva in giudizio le società Willbau s.r.l. e F.lli Laudani s.r.l. chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni derivati al sottostante terreno di sua proprietà dal deflusso delle acque dai terreni sovrastanti di proprietà della s.r.l.

Willbau, della chiedeva, inoltre, la condanna alla realizzazione delle opere necessarie ad assicurare un idoneo deflusso delle acque superficiali e sotterranee in conformità a quanto disposto contrattualmente in virtù di atto pubblico per notar Petrelli del 9 dicembre 2001.

L’adito tribunale di Verbania, con sentenza non definitiva n. 245/2004, dichiarava le società convenute obbligate in solido a risarcire i danni causati a B.F. e pronunciava nei loro confronti sentenza parziale di condanna generica, rinviando in prosieguo alla sentenza definitiva la pronuncia sulla sussistenza e l’entità dei danni. Condannava, altresì, la società Willbau s.r.l.

a realizzare le opere dirette a garantire il regolare scolo delle acque ed a ripristinare le condizioni originarie dei terreni una volta compiuti i lavori indispensabili. Avverso questa sentenza le società soccombenti proponevano immediato appello, con cui chiedevano, in totale riforma della sentenza, la reiezione di tutte le domande proposte dall’attore.

Con successiva sentenza definitiva n. 443/2005 il tribunale condannava in solido le due società a risarcire i danni causati all’attore nella misura di Euro 33.058,34, oltre accessori.

Anche avverso detta sentenza definitiva le due società proponevano impugnazione alla Corte d’appello di Torino. Le due distinte impugnazioni non venivano riunite e la Corte d’appello di Torino, decidendo per prima l’impugnazione avverso la sentenza non definitiva, in accoglimento del gravame, con sentenza di secondo grado n 199 del 14 febbraio 2008, riformava la decisione del tribunale rigettando la domanda di risarcimento dei danni avanzata da B.F..

La stessa Corte territoriale, in ordine poi all’appello proposto contro la sentenza definitiva di determinazione della misura del risarcimento dei danni, con sentenza n. 1642 pubblicata il 17 novembre 2008, dichiarava decaduta la sentenza impugnata in conseguenza dell’effetto espansivo interno ex art. 336 cod. proc. civ., conseguente alla pronuncia di riforma della sentenza parziale non definitiva sull’an debeatur stante la ritenuta infondatezza della domanda risarcitoria di B.F..

Per la cassazione delle due sentenza B.F. ha proposto distinti ricorsi: il primo (iscritto al RGN 15292/08 di questa Corte Suprema) avverso la sentenza della Corte d’appello n. 199 del 14 febbraio 2008; il secondo (iscritto al RGN 6914/09 di questa Corte Suprema) avverso la sentenza della Corte d’appello n. 1642 del 17 novembre 2008).

A sostegno del primo ricorso (RGN 15292/08) il ricorrente espone n. 6 motivi; le censure contenute nel secondo ricorso (RGN 6914/09) sono in numero di due.

Ad entrambi i ricorsi resiste con controricorso Laudani s.r.l.

Le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, ancorchè riferiti ad impugnazioni rivolte a sentenze diverse, per l’intima loro connessione sono riuniti per essere trattati unitariamente in unica decisione, in aderenza al principio (per tutte: Cass. S.U. 13 settembre 2005, n. 18125) secondo cui l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 cod. proc. civ., in quando volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità del ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale. Tanto premesso, occorre esaminare per primo il ricorso (RGN 15292/08) avverso la sentenza che, decidendo sull’impugnazione della sentenza parziale non definitiva di condanna generica, ha rigettato le istanze risarcitorie del B..

Il primo motivo del suddetto ricorso concerne la dedotta nullità della sentenza per error in procedendo et in iudicando circa i principi processuali propri del giudizio d’appello con violazione e mancata applicazione della L. n. 353 del 1990, dell’art. 112 e dell’art. 345 c.p.c., comma 3, perchè il giudice di secondo grado, senza tener conto del fatto che l’appello non da vita ad un nuovo processo, ma costituisce la verifica e il controllo del processo di primo grado, dopo la novella n. 353/90 in vigore dal 30.4.1995 non avrebbe dovuto ammettere nuovi mezzi di prova, in tal modo introducendo un’ulteriore fase di istruzione della causa. Il motivo deve essere rigettato.

Nel rito ordinario, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, fissa, sul piano generale, il principio dell’inammissibilità di nuovi mezzi di prova – quelli la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame: requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice dell’indispensabilità degli stessi per la decisione (Cass., 20 aprile 2005, n. 8203). Nel caso in esame la Corte d’appello ha ammesso nuovi mezzi di prova in quanto li ha ritenuti indispensabili ai fini della decisione per potere ricostruire la dinamica dell’evento dannoso ed accertare le cause del fenomeno, visto che il giudice di prime cure, a fronte di un evidente contrasto fra le posizioni assunte dalle parti e le tesi dei rispettivi consulenti, aveva ingiustificatamente privilegiato la tesi dell’attore B., senza considerare adeguatamente le ipotesi formulate dai convenuti e senza dotarsi dell’ausilio tecnico super partes per dirimere il conflitto.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per error in procedendo et in iudicando con violazione e mancata applicazione degli artt. 112 e 278 cod. proc. civ. per avere la Corte torinese “snaturato” le caratteristiche proprie di quello che doveva essere la trattazione del giudizio d’appello di una sentenza parziale.

Assume il ricorrente che la corte d’appello avrebbe trattato l’impugnazione della sentenza parziale, che aveva deciso solo sull’an debeatur, come se quest’ultima fosse stata una sentenza definitiva, con conseguente “stravolgimento” dell’art. 278 c.p.c., del principio processuale del giudizio unico, dell’illegittima modifica della materia del contendere ex art. 112 c.p.c. e della natura propria della sentenza parziale ex art. 278 c.p.c. Il motivo non può essere accolto.

Qualora il giudice operi – anche d’ufficio – la scissione del processo in due fasi, non è, infatti, configurabile alcuna nullità, non comportando l’esercizio di tale potere la violazione di principi di ordine pubblico e non incidendo sulla realizzazione delle finalità del processo stesso, che non sono compromesse da una siffatta scissione, non risultando vulnerati i principi fondamentali del sistema processuale nè pregiudicati i diritti della difesa (Cass., 27 gennaio 1987, n. 736).

Inoltre, dato che la sentenza parziale di condanna generica non può essere modificata dallo stesso giudice che l’ha emessa con la successiva sentenza che, sul presupposto ormai incontestabile in primo grado dell’esistenza del diritto al risarcimento del danno, può solo procedere stabilire se il danno sussista in concreto e quale ne sia l’entità, è del tutto evidente l’interesse ad impugnare la suddetta sentenza da parte di chi intenda provocarne la riforma in appello al fine di ottenere la diversa pronuncia di insussistenza del preteso diritto.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 112-166 c.p.c., dell’art. 183 c.p.c., comma 5 perchè il giudice dell’appello aveva preso in esame con motivazione insufficiente, non esaustiva e superficiale e non adeguata (vedasi pag. 16 e 17 sentenza) l’eccezione dell’appellato di tardività ed inammissibilità del secondo motivo di gravame delle società Willbau e F.lli Laudani teso ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado per insussistenza dei presupposti di cui agli artt. 2051 c.c. stante l’eccezionalità delle precipitazioni costituenti ipotesi di caso fortuito.

Lamenta in particolare il ricorrente che la sentenza della Corte territoriale, con un’insufficiente motivazione, aveva respinto l’eccezione di tardività ed inammissibilità del motivo di appello relativo all’insussistenza nella fattispecie dei requisiti del caso fortuito. Il motivo deve essere rigettato.

Le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2, sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero “non rilevabili d’ufficio”, e non, indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni “in senso lato” o “improprie” (Cass., 21 maggio 2007, n. 11774). Il limite alla responsabilità da cosa in custodia rappresentato dal caso fortuito non costituisce materia per eccezioni in senso proprio, sottratto al rilievo d’ufficio. L’art. 2051 non contempla alcuna proposizione di eccezione ma riconduce il caso fortuito al profilo meramente probatorio.

La motivazione sul punto è comunque congrua e priva di vizi logici o giuridici.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 184, 345 e 194 cod. proc. civ. per mancata motivazione e disamina dell’eccezione di nullità (illegittima acquisizione di documenti e dichiarazioni testimoniali di terzi) della c.t.u..

Lamenta il ricorrente che il c.t.u. aveva acquisito atti e documenti al di fuori di quelli di causa, prodotti per la prima volta in appello, così introducendo fatti nuovi in giudizio.

Il motivo è infondato.

La corte di merito ha, infatti, ammesso il deposito dei documenti, riservandosi di decidere sulla loro utilizzabilità, ed ha ritenuto che le produzioni in questione potevano essere autorizzate stante il loro rilievo sul piano probatorio, in tal modo stabilendo con criteri conformi alla logica ed alla legge.

Con il quinto motivo – denunciando la violazione degli artt. 913, 1362, 1183, 1218 cod. civ. e art. 113 cod. proc. civ. – lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe reso più gravoso lo scolo a carico del fondo inferiore, non essendosi la stessa pronunciata: 1) sulla modifica della configurazione naturale del terreno, che avrebbe aggravato in tal modo il deflusso delle acque superficiali; 2) sull’impegno contrattuale della società Willbau s.r.l. di assicurare l’idoneo deflusso delle acque superficiali in forza del rogito Petrelli 19.12.2001; 3) sulla piena legittimità della clausola convenzionale di salvaguardia del fondo inferiore.

Il motivo deve essere rigettato.

L’art. 913 cod. civ., in tema di scolo delle acque, ponendo a carico del proprietario, sia del fondo inferiore che di quello superiore, l’obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno, non vieta tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma impedisce soltanto quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo più gravosa la condizione dell’uno o dell’altro fondo. L’alterazione apprezzabile in questione costituisce accertamento di fatto che, se adeguatamente motivato sotto il profilo logico e giuridico, non è censurabile in sede di legittimità (Cass., 19 settembre 2002, n. 13301).

La motivazione del giudice del merito, che ha stabilito che la trasformazione del terreno a fini edilizi non ha comunque modificato il normale deflusso delle acque verso il fondo inferiore e che non è riscontrabile la dedotta violazione del rogito Petrelli, è logica ed adeguata e si sottrae a censura in questa sede.

Con il sesto motivo lamenta il ricorrente la violazione degli artt. 2697, 1362, 913, 1218, 2043 e 2051 cod. civ. e della norma speciale di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 12, comma 2, circa la prova della responsabilità risarcitoria delle convenute appellanti Willbau e F.lli Laudani per errata interpretazione e disamina da parte della sentenza impugnata del patto di cui al rogito Petrelli di Verbania 19/12/2001 (doc. n. 6 B., pag. 10) e di tutta la documentazione prodotta in causa dall’attore B.F..

Anche detta censura non può essere accolta.

L’impugnata sentenza, sulla scorta delle risultanze della relazione del consulente tecnico d’ufficio ed in base anche alla consulenza di parte, ha accertato che vi era stata alterazione della falda idrica e dell’andamento delle acque sotterranee in conseguenza dei lavori eseguiti; che la società Willbau s.r.l. non poteva dirsi inadempiente, dato che la costruzione del complesso non era terminata e, pertanto, l’obbligazione non poteva neppure dirsi esigibile; che non era stato acquisito alcun elemento per ipotizzare un inadempimento della società, risultando, anzi, dalla corrispondenza intercorsa che essa si è attivata proprio in tal senso.

Si tratta comunque di profili di merito, insindacabili in sede di legittimità.

Il ricorso in questione, pertanto, è rigettato. Del secondo ricorso (RGN 6914/09), avente ad oggetto la sentenza che ha deciso il gravame avverso la decisione della sentenza definitiva di primo grado, il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità per tardività, poichè, rispetto alla notificazione della decisione al contumace in data 12 gennaio 2009, il perfezionamento della notificazione alla controparte sarebbe avvenuto oltre il termine breve di impugnazione di cui all’art. 326 c.p.c. L’eccezione non è fondata.

La sentenza n. 1642 in data 23 maggio 2008 della Corte d’appello, pubblicata il 17 novembre 2008, è stata notificata a B. F. a mani proprie il 12 gennaio 2009; il ricorso per cassazione dello stesso B. è stato trasmesso per la notificazione all’ufficiale giudiziario entro il 12 marzo 2009; il termine breve per evitare la decadenza dell’impugnazione risulta, quindi, rispettato.

Con il primo motivo del suddetto ricorso il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 273 c.p.c., comma 1, per non avere la corte torinese ordinato ex officio la riunione dei due processi e giudicato nel simultaneus processus delle due cause di appello avverso le due sentenze del tribunale di Verbania. Il motivo è infondato.

E’, infatti, regola di diritto, del tutto indiscussa nella giurisprudenza di questa Corte, che il provvedimento di riunione previsto dall’art. 274 cod. proc. civ., relativo alla stessa causa (riunione obbligatoria) o a cause diverse ma connesse (riunione facoltativa), ovvero dettato da motivi d’economia processuale, essendo strumentale e preparatorio rispetto alla futura definizione della controversia, è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità neanche attraverso l’impugnazione della sentenza che definisce il giudizio nel quale il provvedimento stesso è stato adottato, sicchè la mancata la riunione dei procedimenti assolutamente non può comportare la nullità del giudizio e della sentenza che conclude uno dei procedimenti (ex plurimis:Cass. 31 maggio 2006, n., 13001). Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per non avere la corte torinese preso in esame le specifiche censure mosse dalle appellanti nei confronti della sentenza definitiva.

Il motivo è inammissibile sia perchè generico per mancata autosufficienza, sia perchè non assistito dalla formulazione dell’idoneo ed indispensabile quesito di diritto.

Anche il secondo suddetto ricorso è, perciò, rigettato.

Il diverso esito del giudizio in primo e secondo grado e la peculiarità delle cause decise costituiscono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2011

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