Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11014 del 05/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 05/05/2017, (ud. 11/01/2017, dep.05/05/2017),  n. 11014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8475-2011 proposto da:

REGIONE ABRUZZO, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

D.L.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DI PRISCILLA 35-2, presso lo studio dell’avvocato CARLO PICARDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO DI LORENZO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 627/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/03/2010 r.g.n. 1226/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato VINCENZO DI LORENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 24 marzo 2010) accoglie l’appello proposto dalla Regione Abruzzo avverso la sentenza del Tribunale di Chieti n. 849/2008 soltanto per la parte relativa al riconoscimento della rivalutazione monetaria, mentre la conferma per la parte principale contenente l’accoglimento della domanda di D.L.R. – dipendente della Regione Abruzzo in categoria D5 – diretta ad ottenere la corresponsione dei ratei di retribuzione di posizione maturati dal mese di luglio 2003 in poi, per effetto dell’assegnazione provvisoria presso la Provincia di Chieti in qualità di “Responsabile del procedimento in materia di procedure di gestione delle concessioni demaniali e delle funzioni delegate in materia di acque e impianti”.

La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) non è da condividere la ricostruzione normativa e fattuale della vicenda sostenuta della Regione in quanto essa ignora che la Provincia di Chieti, nella Det. n. 218 del 15 maggio 2003 con la quale ha, fra l’altro, attribuito al D.L. l’incarico in oggetto ha espressamente precisato che il dipendente era da considerare in posizione di comando presso la Provincia e che il relativo salario accessorio restava a carico della Regione;

b) tale provvedimento non certamente può considerarsi inefficace nei confronti della Regione, perchè emanato in attuazione delle L.R. n. 72 del 1998 L.R. n. 17 del 1999, nonchè della D.G.R. n. 593 del 2002;

c) peraltro, va anche precisato che l’eventuale decadenza dall’incarico presupponeva una specifica modifica o una revoca dell’incarico medesimo, pacificamente non intervenute;

d) pertanto, la sentenza appellata va confermata per le suddette parti;

e) deve, invece, disporsi la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui è stata disposta la condanna della Regione a corrispondere al D.L., sul credito principale, oltre agli interessi legali anche la rivalutazione monetaria, senza considerare che, per effetto della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, in caso di ritardato pagamento dei crediti di lavoro – di cui sia maturato il diritto alla percezione dopo il 31 dicembre 1994 – vige il divieto di cumulo degli accessori, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 459 del 2000.

2. Il ricorso della Regione Abruzzo, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, D.L.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L.R. Abruzzo n. 77 del 1999, artt. 2 e ss. “in combinato disposto” con gli artt. 3, 8 e 9 del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie locali nonchè con le relative disposizioni della D.G.R. n. 550 del 2000.

Si sostiene che l’incarico in oggetto era temporaneo e la Corte d’appello non ha considerato che per esso operava la decadenza automatica, come si desumerebbe dalla ordinanza direttoriale n. 69 del 15 aprile 2002 e dalla D.G.R. n. 550 del 2000 cit.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione – sotto altro profilo – della L.R. Abruzzo n. 77 del 1999, artt. 2 e ss. “in combinato disposto” con gli artt. 3, 8 e 9 del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie locali nonchè con le relative disposizioni della D.G.R. n. 550 del 2000.

Si deduce che la Corte territoriale erroneamente non avrebbe considerato che il provvedimento di conferimento dell’incarico adottato dalla Provincia non poteva produrre effetti nei confronti della Regione, perchè era la Regione l’unico ente legittimato a disporre il conferimento di incarichi del tipo considerato.

2- Esame delle censure.

3. Il ricorso è inammissibile, per plurime, concorrenti ragioni.

3.1. In primo luogo tutte le – analoghe – censure proposte nei due motivi risultano formulate senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e all’art. 369 c.p.c., n. 4, (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

In particolare, è “jus receptum” che, in base al suindicato principio – che va inteso alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – il ricorrente che denunci il difetto o l’erroneità nella valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare nel ricorso specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569).

3.2. Nella specie la violazione del suddetto principio è riscontrabile specialmente con riguardo alla ordinanza direttoriale n. 69 del 15 aprile 2002, alla D.G.R. n. 550 del 2000 cit. all’atto di conferimento d’incarico di cui si contesta l’interpretazione effettuata dalla Corte territoriale senza trascriverne, in ricorso, il contenuto essenziale.

3.3. Diversamente da quel che ipotizza la Regione, denunciando la prospettata violazione di disposizioni della Delib. Giunta regionale (D.G.R.) n. 550 del 2000 come violazione di legge – e, quindi, presupponendo la operatività, con riguardo a tale atto, del principio jura novit curia, che comporterebbe la inclusione della sua diretta conoscenza tra i doveri del giudice, ivi compresa la Corte di cassazione, indipendentemente dall’attività svolta dalle parti al riguardo (arg. ex Cass. 29 agosto 2006, n. 18661; Cass. 27 gennaio 2009, n. 1893; Cass. 23 gennaio 2014, n. 1391) – la suddetta deliberazioni della Giunta regionale non costituisce una fonte di normazione secondaria, la cui violazione può essere denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con conseguente diretta esaminabilità da parte del giudice anche di legittimità.

Ciò vale, a maggior ragione, per l’ordinanza direttoriale n. 69 del 15 aprile 2002, l’atto di conferimento d’incarico e gli altri atti amministrativi richiamati in ricorso.

3.4. Ne deriva che, in base alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte, in conformità con il suddetto principio di specificità dei motivi del ricorso stesso, la Regione ricorrente, nel proporre il presente ricorso che risulta articolato in due motivi che comportano entrambi l’esame dei suindicati atti, avrebbe dovuto contestarne l’interpretazione offerta dalla Corte di merito per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale debitamente evidenziati con indicazione delle modalità con le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza – oppure per vizi di motivazione (in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile nella specie, ratione temporis).

Di conseguenza la ricorrente avrebbe dovuto trascrivere nel corpo del ricorso il testo degli atti in contestazione, almeno per le parti rilevanti ai fini delle censure proposte (vedi, per tutte: Cass. 23 gennaio 2014, n. 1391; Cass. 27 gennaio 2009, n. 1893 e Cass. 29 agosto 2006, n. 18661).

3.5. A ciò va aggiunto che la Regione ricorrente non ha neppure preso in considerazione e censurato quella che è la ratio decidendi principale della sentenza impugnata – da sola idonea a sorreggere la decisione – rappresentata dalla statuizione secondo cui la ricostruzione normativa e fattuale della vicenda effettuata della Regione è stata considerata dalla Corte aquilana non condivisibile perchè in essa non si è tenuto conto della Det. n. 218 del 15 maggio 2003 della Provincia di Chieti, con la quale nell’attribuire al D.L. l’incarico di cui si tratta, è stato espressamente precisato che il dipendente era da considerare in posizione di comando presso la Provincia e che il relativo salario accessorio restava a carico della Regione.

Trova quindi applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 1973, n. 2499; Cass. SU 8 agosto 2005, n. 16602; Cass. SU 29 maggio 2013, n. 7931; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 27 maggio 2014, n. 11827; Cass. 17 giugno 2015, n. 12486).

3 – Conclusioni.

4. In sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la Regione ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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