Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11013 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 10/06/2020), n.11013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6843-2018 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 44,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO MARSILI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ENRICO DAGNA;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO F. SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA 20, presso lo studio

dell’avvocato MONICA BATTAGLIA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANDREA GATTI;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ALESSANDRIA, depositato il

24/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Alessandria con decreto del 24.1.2018 aveva rigettato l’opposizione proposta da F.D. avverso il decreto con il quale il Giudice delegato al fallimento ” F. srl” aveva escluso il credito vantato dallo stato passivo del fallimento.

Il Tribunale aveva ritenuto non provata l’esistenza pregressa di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e la società, essendo inquadrabile, la sua posizione, in quella di imprenditore.

Avverso detta decisione la F. proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva con controricorso il fallimento F. srl.

La F. depositava successiva memoria.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, dell’art. 2094 c.c. con riferimento alla applicazione del ccnl orafi industria.

Il motivo risulta inammissibile. Questa corte ha chiarito che “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. n. 8758/017; 18721/2018).

Nel caso in esame parte ricorrente si duole sostanzialmente della valutazione del tribunale circa la prova della esistenza del rapporto subordinato con la società ed in particolare della ritenuta inopponibilità di taluni documenti. Si tratta evidentemente di una valutazione espressa dal giudice di merito estranea ad ogni ipotesi di rimeditazione in sede di legittimità. Deve peraltro soggiungersi che il tribunale ha argomentato la propria decisione esaminando il materiale probatorio in conformità con il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 16056/2016).

La valutazione richiesta non può neppure trovare sponda, con valutazione concreta del contenuto delle ragioni poste, sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

L’assenza di precise, concrete indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.

2) Con il secondo motivo è denunciata la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” per aver, il tribunale, omesso di esaminare il foglio presenze sottoscritto dai dipendenti, la cui acquisizione e/o esibizione era stata più volte richiesta, nonchè per non aver considerato che la carica di amministratore in altra società svolta dalla ricorrente non incideva sulla sua prestazione lavorativa presso la F. srl e non escludeva quindi la presenza di una prestazione subordinata.

Il motivo risulta inammissibile in quanto il vizio denunciato deve fare riferimento ad un fatto la cui decisività va dimostrata. A riguardo questa Corte ha rilevato che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016).

Questa Corte ha anche specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017).

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.

Nel caso di specie, a fronte del vizio richiamato in apertura del motivo, nessuna delle condizioni sopra indicate è’ stata allegata dal ricorrente che solo si duole della mancata considerazione di talune circostanze, senza allegarne la assoluta decisività rispetto alla decisione. Il ricorso è inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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