Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11013 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. I, 06/05/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 06/05/2010), n.11013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8110-2005 proposto da:

GIPIFIN S.A.S. DI PIETRO GIALLONARDO & C. (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, G.P.

P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAVOUR 101, presso

l’avvocato FORLANI ROBERTO, che li rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO DELLA GIPIFIN S.A.S. DI PIETRO PIO GIALLONARDO, ECS

INTERNATIONAL ITALIA S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 686/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato ROBERTO FORLANI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 19-20.2.01 la Gipifin di Pietro Pio Giallonardo & C. s.a.s. e Giallonardo Pietro Pio convenivano in giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Roma la curatela del Fallimento di detta società e la ECS, quale creditore istante, proponendo appello avverso la sentenza del Tribunale di Viterbo, con la quale era stata rigettata l’opposizione alla dichiarazione di fallimento, proposta dinanzi a detto Tribunale al fine di ottenere la revoca della dichiarazione di fallimento della società e del socio illimitatamente responsabile per due motivi: qualità di piccolo imprenditore della società dichiarata fallita; insussistenza dello stato di insolvenza.

La Corte adita, con sentenza del 7 novembre 2003-9 febbraio 2004, rigettava il gravame.

Avverso detta sentenza la Gipifin s.a.s. di Pietro Giallonardo & C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo illustrato con memoria. Gli intimati Fallimento della Gipifin s.a.s.

di Pietro Pio Giallonardo e la ECS International Italia s.p.a. non hanno spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, L. Fall. in relazione all’art. 2083 c.c. – insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ). Deduce la ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, la nozione di piccolo imprenditore, come tale non assoggettabile a fallimento, va estesa anche alle società di persone; pertanto, sia per l’imprenditore individuale che per quello collettivo la qualità di piccolo imprenditore deve essere accertata alla luce dei criteri fissati dall’art. 2083 c.c..

La sentenza della Corte d’Appello sarebbe viziata, avendo omesso di accertare se, nel caso di specie, ricorressero i requisiti di cui all’art. 2083 c.c. e cioè il carattere professionale dell’attività espletata e la assoluta prevalenza del lavoro sul capitale. Il ricorso è infondato.

La ricorrente assume che la nozione di piccolo imprenditore, come tale non assoggettabile a fallimento, va estesa anche alle società di persone e che tale qualità, anche per dette società, deve essere accertata ai sensi dell’art. 2083 c.c.. Al fine di sostenere tale tesi invoca le sentenze di questa Suprema Corte n. 18235 del 2002 e n. 20640 del 2004, nelle quali si afferma il principio secondo cui la questione della assoggettabilità a fallimento delle imprese collettive artigiane deve essere risolta avendo esclusivo riguardo alla sussistenza o meno dei requisiti per l’identificazione della figura del piccolo imprenditore previsti dall’art. 2083 c.c..

Il collegio ritiene che dette sentenze non possono essere invocate nel caso di specie, atteso che riguardano le imprese artigiane, che sono caratterizzate dalla sussistenza di particolari requisiti e godono, quindi, di un trattamento giuridico del tutto particolare, anche se con riferimento alla sola spettanza delle provvidenze regionali di sostegno. La società ricorrente è una normale società commerciale. Vale, pertanto, per questa il disposto dell’art. 1 della legge fallimentare, secondo cui in nessun caso sono considerate piccoli imprenditori le società commerciali.

La questione della assoggettabilità a fallimento delle piccole società commerciali è stata più volte rimessa al vaglio della Corte Costituzionale, ma questa l’ha dichiarata più volte inammissibile, rilevando che la differenziazione tra le società ed il piccolo imprenditore individuale non è irrazionale (cfr. Corte Cost. n. 54 del 1991, n. 11 del 1993, n. 374 del 1993, n. 266 del 1994) e che non sussiste disparità di trattamento delle società commerciali di modeste dimensioni in relazione ai tertium comparationis delle società artigianali (che se di modeste dimensioni vengono escluse dalla assoggettabilità al fallimento), godendo quest’ultime di uno status particolare ed essendo soggette ad una disciplina peculiare, che le differenzia dalle prime.

Si legge testualmente nella sentenza n. 266 del 1994 della Corte Costituzionale:

“L’avere la legge istituito, in vista di alcuni benefici, un albo delle imprese artigiane dove possono iscriversi anche quelle costituite nelle forme societarie consentite; l’aver fissato precisi limiti dimensionali; l’avere stabilito un procedimento amministrativo con organi pubblici preposti alla vigilanza circa il possesso dei requisiti richiesti per l’iscrizione nell’albo, dimostra la diversità normativa tra le due realtà giuridiche che invece si vorrebbe comparare ed assimilare”.

Con detta sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato “la manifesta inammissibilità della questione di legittimità del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa ), nella parte in cui non esonera dal fallimento le piccole società commerciali”.

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto, atteso che anche la società commerciale di modeste dimensioni è assoggettabile a fallimento e che nessuna censura è stata mossa alla affermata esistenza, da parte del giudice a quo, dello stato di insolvenza della ricorrente. Nessuna pronuncia deve essere emessa in ordine alle spese, non essendosi gli intimati difesi in questa fase del giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

 

 

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