Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11012 del 08/05/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 11012 Anno 2018
Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 18450-2016 proposto da:
DE MATTEIS LIDIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato ROSANNA
SERAFINI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANPAOLO
TANCREDI in virtù di procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

TARRICONE ANGELA, CELESTE MARIO, CELESTE PASQUALE,
elettivamente domiciliati in ROMA presso la cancelleria della
Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati
DANIELA PALMIERI, NYRANNE MOSHI ed IVAN ASSAEL giusta
procura in calce al controricorso;
– con troricorrenti –

C u 4c

Data pubblicazione: 08/05/2018

avverso la sentenza n. 156/2015 della CORTE D’APPELLO di
CAMPOBASSO, depositata il 30/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 15/02/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dal ricorrente;

1. Con contratto preliminare dell’Il settembre 2008 Celeste
Pasquale prometteva di vendere a De Matteis Lidio un
appartamento in Campomarino Lido, al prezzo di C
115.000,00, prevedendo la stipula del definitivo entro il 31
marzo 2009.
Contestualmente era versata dal promissario acquirente una
caparra di C 35.000,00.
In seguito però il Celeste alienava lo stesso immobile promesso
in vendita, ai coniugi Celeste Mario e Tarricone Angela.
Per l’effetto, il De Matteis conveniva in giudizio dinanzi al
Tribunale di Larino il promittente venditore ed i successivi
acquirenti del bene, chiedendo accertarsi la simulazione del
contratto di compravendita, e che fosse quindi disposto il
trasferimento in suo favore della proprietà del bene ex art.
2932 c.c.
In subordine chiedeva pronunziarsi la risoluzione del contratto
per inadempimento del promittente venditore.
Il Tribunale adito con la sentenza n. 198 dell’8 giugno 2010
rigettava la domanda di simulazione, ma accoglieva la
domanda di trasferimento coattivo della proprietà del bene,
condannando l’attore al pagamento del residuo prezzo e
Celeste Pasquale al risarcimento dei danni quantificati in C
18.150,00, di cui C 3.150,00 per rimborso di spese di agenzia
ed C 15.000,00 quale ristoro per il mancato godimento del
bene.

Ric. 2016 n. 18450 sez. M2 – ud. 15-02-2018 -2-

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

A seguito di appello principale dei convenuti ed appello
incidentale dell’attore, la Corte d’Appello di Campobasso con la
sentenza n. 156 del 30 giugno 2015, rigettava la domanda di
esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, atteso
che Celeste Mario e Tarricone Angela erano proprietari del

Matteis al rilascio del bene in favore dei proprietari; rigettava
la domanda risarcitoria correlata al mancato godimento del
bene, ed in parziale accoglimento dell’appello incidentale,
dichiarava risolto il preliminare per inadempimento di Celeste
Pasquale, che era altresì condannato alla restituzione della
somma di C 77.850,00 nonché al risarcimento del danno pari
ad altri C 3.150,00 per spese di agenzia, in aggiunta a quelle
già riconosciute in primo grado.
La Corte d’Appello, in primo luogo confermava il rigetto della
domanda di simulazione promossa dall’attore (statuizione
questa che non è investita dai motivo di ricorso, ed è quindi
coperta dal giudicato), e tenuto conto quindi della validità della
vendita, riteneva erroneo l’accoglimento della domanda
proposta ex art. 2932 c.c. da parte del De Matteis, non
essendo possibile adottare una pronuncia costitutiva del
trasferimento della proprietà nel caso in cui il bene sia stato
alienato dal promittente venditore.
Tuttavia

l’alienazione

de

qua

costituiva

un

grave

inadempimento del Celeste che giustificava quindi la
risoluzione del contratto.
Passando alla quantificazione dei danni, riteneva che non
potesse essere confermata la condanna del convenuto alla
restituzione del doppio della caparra, atteso che il De Matteis
non aveva esercitato il recesso di cui all’art. 1385 c.c., ma
aveva agito per la risoluzione del contratto, istando per il

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bene promesso in vendita; per l’effetto condannava il De

riconoscimento di un danno di entità ben più considerevole
dell’ammontare del doppio della caparra.
Ne derivava quindi che, una volta accolta la domanda di
risoluzione, al De Matteis andava restituita la complessiva
somma di C 77.850,00 corrispondente a quanto versato a titolo

Non poteva invece trovare accoglimento la domanda di
risarcimento dei danni correlata al mancato incasso dei ratei
mensili del reddito che l’attore avrebbe potuto trarre dal bene,
laddove fosse stato concluso il definitivo (danno che invece il
Tribunale aveva liquidato nell’importo di C 15.000,00, e ciò
perché laddove la parte adempiente agisca per la risoluzione
del contratto, tra i danni non è possibile includere anche quelli
correlati al mancato reddito del bene per il periodo successivo
alla proposizione della domanda di risoluzione giudiziale.
Quanto alla diversa domanda di risarcimento del danno
corrispondente alla differenza di valore commerciale del bene
al momento del definitivo, riteneva che non fosse stata offerta
la prova circa l’effettivo incremento di valore del bene tra la
data della stipula del preliminare e quella in cui si era
realizzato l’inadempimento del promittente venditore.
La Corte d’Appello riteneva poi di dover riconoscere all’attore
l’intero importo delle provvigioni richieste dalle agenzie di
mediazione, sia in relazione al contratto preliminare oggetto di
causa che in ordine al diverso contratto con il quale il De
Matteis si era impegnato a vendere un proprio immobile, al fine
di procurarsi i mezzi economici per far fronte alle obbligazioni
scaturenti dal contratto concluso con il Celeste.
In relazione invece alla diversa somma di C 80.000,00,
richiesta dall’attore quale conseguenza della risoluzione del
preliminare concernente il bene di sua proprietà sito in S.

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di saldo del prezzo.

Severo, la sentenza osservava che il rigetto era stato motivato
dal Tribunale sulla base di una pluralità di rationes, ognuna
delle quali doveva essere autonomamente contestata con l’atto
di appello.
Ed, infatti, la considerazione secondo cui non vi era prova del

corrispondere il doppio della caparra al promissario acquirente
del suo bene, non era stata in alcun modo oggetto di
contestazione.
In ordine alla diversa richiesta concernente l’acquisto del
mobilio destinato all’appartamento oggetto del contratto
preliminare, i giudici di appello rilevavano che l’ordinativo era
avvenuto allorquando l’attore era già al corrente della volontà
del Celeste di sottrarsi al preliminare il che escludeva la
risarcibilità di tale pregiudizio.
Quanto infine alla richiesta di risarcimento del danno non
patrimoniale, la domanda era rigettata, non ricorrendo i
presupposti dettati dall’art. 2059 c.c.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso De Matteis
Lidio sulla base di tre motivi.
Celeste Pasquale, Celeste Mario e Tarricone Angela resistono
con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa

applicazione degli artt. 1385 co. 2 c.c., 1453, 1455, 1458,
1218, 1223 e 1224 c.c.
Si evidenzia che la sentenza impugnata ha escluso il diritto
dell’attore ad ottenere il doppio della caparra versata, avendo
agito con l’azione di risoluzione ordinaria, ed ha condannato la
controparte alla restituzione della sola somma versata quale
saldo del prezzo, omettendo altresì di disporre la restituzione

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fatto che il De Matteis avesse effettivamente dovuto

della somma di C 15.000,00 versata

a titolo di caparra

confirmatoria.
A tale deduzione in controricorso si replica che correttamente
la somma de qua non è stata inclusa nella condanna, posto che
la sua restituzione non era mai stata richiesta dall’attore.

Non ignora il Collegio che secondo la pacifica opinione della
giurisprudenza (cfr. ex multis Cass. n. 10953/2012) in tema di
caparra confirmatoria, qualora la parte non inadempiente,
invece di recedere dal contratto, preferisca domandarne la
risoluzione, ai sensi dell’art. art. 1385, terzo comma, cod. civ.,
la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta
dalla parte inadempiente quale effetto della risoluzione stessa,
in conseguenza della caducazione della sua causa giustificativa,
trattandosi di statuizione (così Cass. n. 8881/2000)
ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione
negoziale come conseguenza del venir meno della causa della
corresponsione (conf. Cass. n. 8630/1998; Cass. n.
11356/2006).
Tuttavia non appare possibile sostenere che, laddove la
richiesta di pagamento del doppio della caparra sia stata
comunque avanzata dalla parte, sebbene erroneamente
cumulata con la domanda di risarcimento del danno e con la
pronuncia della risoluzione del contratto, la condanna
presupponga la specifica proposizione di una domanda di
indebito che sia supportata dal richiamo alle obbligazioni
restitutorie scaturenti dall’intervenuta declaratoria di inefficacia
del contratto, ritenendo il Collegio di dover assicurare
continuità al più recente orientamento di questa Corte che
valorizza la verifica in punto di omogeneità della richiesta della
parte rispetto a quanto in concreto accordato.

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Il motivo è fondato.

In tal senso Cass. n. 23490/2009 ha appunto affermato che
non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando
giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione
della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda,

rispetto a quello richiesto, così che, proposta in primo grado
una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto
preliminare, e di conseguente condanna del promittente
venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta,
non pronunzia “ultra petita” il giudice il quale ritenga che il
contratto si sia risolto non già per inadempimento del
convenuto, ma per impossibilità sopravvenuta di esecuzione
derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex art.
1453, secondo comma, cod. civ.) e condanni il promittente
venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione è
divenuta “sine titulo”) e non del doppio di essa.
Ed, infatti, va considerato che la restituzione della caparra,
costituisce un effetto inevitabile della risoluzione, comunque
motivata, del contratto, essendo venute meno le finalità alle
quali assolveva (v., tra le altre, Cass. 8310/03, 13828/00,
8630/98, 10217/94), sicchè la sua pronuncia costituisce un
minus rispetto alla domanda del controricorrente, che
nonostante avesse chiesto la risoluzione del contratto, aveva
indebitamente richiesto la restituzione del doppio, significando
in ogni caso che non sussisteva più alcun titolo per la
controparte per trattenere la caparra già versata.
In termini analoghi si è poi di recente pronunciata Cass. n.
19502/2015 che ha, infatti, affermato che non sussiste
violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in

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le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato,

modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da
questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un
bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello
richiesto, sicché, proposta azione di risoluzione per
inadempimento di contratto preliminare e di conseguente

della caparra ricevuta, non pronunzia “ultra petita” il giudice
che accerti la nullità del contratto e condanni il promittente
venditore alla restituzione della caparra stessa, producendo,
del resto, la risoluzione e la nullità effetti diversi quanto alle
obbligazioni risarcitorie, ma identici quanto agli obblighi
restitutori delle prestazioni (in termini analoghi, Cass. n.
20965/2017, non massimata).
Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, appare
quindi possibile affermare che, pur avendo il giudice di merito
correttamente qualificato la domanda come di risoluzione
ordinaria, ritenendo quindi non legittima la pretesa di ottenere
il doppio della caparra, tuttavia avrebbe dovuto altresì disporre
la

restituzione della caparra versata, trattandosi del

riconoscimento di un bene della vita omogeneo rispetto a
quanto ab initio richiesto, essendo peraltro pacifico che non
sussista più alcun diritto della controparte a trattenerla.
Per l’effetto la sentenza deve essere cassata in parte qua, ma
non essendo necessari accertamenti in fatto, può essere decisa
nel merito, disponendo che le somme al cui pagamento deve
essere condannato a titolo restitutorio Celeste Pasquale in
favore del ricorrente, ammontano ad C 92.850,00 ( C
77.850,00 già oggetto della condanna della Corte d’Appello
oltre C 15.000,00 pari all’importo della caparra versata) con
interessi al tasso legale dalla domanda al saldo.

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condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio

3. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, in combinato
disposto con gli artt. 1453, 1455 in relazione all’art. 360 co. 1
n. 3 c.p.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art.
360 co. 1 n. 4 c.p.c..

danno correlato alla mancata percezione dei frutti che il bene
avrebbe prodotto, ove fosse stato concluso il definitivo, e
precisamente in misura pari ai canoni che sarebbero stati
incassati per la locazione dell’immobile nei mesi estivi.
Il motivo è infondato avendo i giudici di appello fatto corretta
applicazione dei principi espressi da questa Corte nella
sentenza n. 5063/1993, citata anche in motivazione, a mente
della quale il danno da risarcire al compratore adempiente che
ha chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento del
venditore non può comprendere i frutti della cosa venduta
successivi alla domanda di risoluzione perché questa,
comportando la rinuncia definitiva alla prestazione del
venditore (art. 1453 comma terzo cod. civ.), preclude anche al
compratore di lucrare i frutti ulteriori che dalla cosa avrebbe
tratto dopo la rinuncia (conf. Cass. n. 894/1981).
In secondo luogo si contesta il rigetto della domanda
risarcitoria legata alla differenza del valore commerciale del
bene tra la data del preliminare e quella del definitivo
inadempimento della controparte.
La doglianza non appare meritevole di accoglimento, atteso
che la Corte di merito, oltre a richiamare il pacifico principio
secondo cui la prova del danno incombe su chi lo richiede, ha
ritenuto con accertamento in fatto che l’attore non avesse
fornito la dimostrazione dell’incremento di valore dell’immobile
sottolineando anche il breve lasso di tempo intercorso tra la

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In primo luogo ci si duole del mancato riconoscimento del

conclusione del preliminare e la successiva vendita a terzi del
bene, circostanza questa che non consentiva nemmeno di
poter far riferimento al notorio per giustificare una lievitazione
del valore del bene.
In terzo luogo si contesta il mancato accoglimento della

restituzione del doppio della caparra, in conseguenza
dell’inadempimento del diverso preliminare concluso dal De
Matteis in relazione ad un proprio immobile in S. Severo.
Il motivo, che contiene essenzialmente censure in fatto circa il
corretto

apprezzamento

della

relazione

causale

tra

l’inadempimento del convenuto e la risoluzione del secondo
preliminare, non si confronta tuttavia con la ratio effettiva della
sentenza appellata che, sul punto, ha ritenuto inammissibile il
motivo di appello formulato dal ricorrente, rilevando che non
risultava contestata una delle plurime, ed autonome,
motivazioni adottate dal Tribunale a sostegno della propria
decisione, costituita appunto dalla mancata prova dell’effettivo
esborso delle somme richieste.
Ne consegue che il ricorso per risultare ammissibile in parte
qua avrebbe dovuto a monte confutare la correttezza della
soluzione in rito adottata dal giudice di appello, ma di tale
doglianza non si rinviene traccia nel motivo in esame.
In quarto luogo si contesta il mancato riconoscimento delle
somme spese per l’acquisto del mobilio destinato ad arredare
l’appartamento nel caso di conclusione del definitivo,
lamentandosi un’errata valutazione delle risultanze istruttorie
nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che tale
acquisto fosse avvenuto allorquando il De Matteis era già a
conoscenza della volontà del Celeste di sottrarsi agli impegni
scaturenti dal definitivo.

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domanda risarcitoria correlata alle somme versate, quale

Anche tale deduzione non appare meritevole di accoglimento.
Il giudice di merito ha ritenuto di escludere il diritto al
risarcimento di tali pretesi danni ravvisando nella sostanza gli
estremi della fattispecie di cui all’art. 1227 co. 2 c.c.,
sostenendo che, essendo noto al ricorrente l’effettivo intento

mobili destinati ad arredare un bene che era fortemente dubbio
o addirittura quasi certo potesse essere effettivamente
acquistato per la recisa resistenza del promittente venditore.
A tal fine va ricordato che, in linea con il costante principio per
il quale l’accertamento del nesso di causalità costituisce
oggetto dell’insindacabile accertamento del giudice di merito, la
giurisprudenza di questa Corte a più riprese ha affermato che
(cfr. Cass. n. 5511/2003) in tema di risarcimento del danno, il
primo comma dell’art. 1227 cod. civ. attiene all’ipotesi del fatto
colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi
dell’evento dannoso, mentre il secondo comma ha riguardo a
situazione in cui il danneggiato sia estraneo alla produzione
dell’evento ma abbia omesso, dopo la relativa verificazione, di
fare uso della normale diligenza per circoscriverne l’incidenza;
l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della
suindicata disciplina integra indagine di fatto, come tale
riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di
legittimità se assistita da motivazione congrua (conf., con
specifico riferimento al primo comma dell’art. 1227 c.c., Cass.
n. 774/14969; Cass. n. 2141/1970, e con riferimento al
secondo comma dello stesso articolo, Cass. n. 15231/2007;
Cass. n. 6735/2005).
4.

Infine il terzo motivo lamenta la violazione e falsa

applicazione dell’art. 2059 e degli artt. 1174, 1218 e 1226 c.c.,

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della controparte, avrebbe dovuto astenersi dal comprare dei

nonché dell’art. 115 c.p.c. nella parte in cui è stato negato il
diritto al ristoro del danno non patrimoniale.
Si sostiene che atteso l’oggetto del preliminare, rappresentato
da un immobile in località balneare, la mancata stipula del
definitivo ha pregiudicato aspetti esistenziali, legittimando

Il motivo deve essere disatteso, dovendosi a tal fine far
richiamo a quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza
n. 26972/2008, con la quale, oltre ad escludersi l’autonoma
risarcibilità del cd. danno esistenziale, sono state poste le
condizioni per la risarcibilità del danno in oggetto, condizioni
che nel caso di specie non è dato ravvisare.
5. Atteso il parziale accoglimento del ricorso, si ritiene che
sussistano le condizioni per confermare la compensazione delle
spese dei giudizi di merito e di quelle di legittimità tra il
ricorrente e Celeste Pasquale.
Quanto invece ai rapporti tra il ricorrente ed i controricorrenti
Celeste Mario e Tarricone Angela, deve ritenersi che, non
essendo stata posta in discussione la decisione di rigetto della
domanda di simulazione, la notificazione del ricorso sia
avvenuta solo ai sensi ed agli effetti dell’art. 332 c.p.c.,
rivelandosi quindi superflua la loro costituzione in questo
grado, il che legittima anche la compensazione delle spese.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo, e rigettati il secondo ed il
terzo, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito, condanna Celeste Pasquale
alla restituzione in favore di De Matteis Lidio della somma di C
92.850 con gli interessi legali dalla domanda al saldo;
compensa integralmente tra le parti le spese di lite dei vari
gradi di giudizio;

Ric. 2016 n. 18450 sez. M2 – ud. 15-02-2018 -12-

quindi la richiesta risarcitoria del danno non patrimoniale.

Così deciso nella camera di consiglio del 15 febbraio 20
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Ric. 2016 n. 18450 sez. M2 – ud. 15-02-2018 -13-

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