Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11011 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 10/06/2020), n.11011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4549-2018 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMO MAMBELLI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI 8, presso

lo studio dell’avvocato CRISTINA LAURA CECCHINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCELLO CANTONI;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di FORLI’, depositato il 29/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Forlì con decreto del 19.12.2017 aveva rigettato l’opposizione proposta da C.R. avverso il decreto con il quale il Giudice delegato al fallimento “(OMISSIS) srl in liquidazione” aveva escluso il credito vantato dallo stato passivo del fallimento.

Il Tribunale aveva ritenuto che, non sussistendo la giusta causa delle dimissioni del C., in quanto era intervenuto accordo tra lo stesso e la società di differimento di due mensilità di retribuzione per ragioni di crisi aziendale, non ci fosse il diritto alla indennità di preavviso.

Avverso detta decisione il C. proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva con controricorso il fallimento (OMISSIS) srl in liquidazione, anche con successiva memoria.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 246 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver, il tribunale, erroneamente giudicato i testi M.S., M.M. e L.S., dotati di capacità a testimoniare. Rilevava a riguardo che i suddetti rappresentavano sul piano degli interessi sostanziali la società fallita, avendo ricoperto il ruolo di presidente ed amministratore della società, e chel dunque, non era possibile guardare al solo aspetto formale della attuale posizione in quanto intervenuto il fallimento della società.

E’ altresì denunciata la violazione del medesimo art. 246 c.p.c. in relazione alla ritenuta incapacità a testimoniare dell’unico teste di parte ricorrente il sig. Lu.Or..

Il motivo risulta in parte infondato ed in parte inammissibile.

Quanto alla prima parte della censura relativa alla ritenuta capacita a testimoniare dei signori M.S., M.M. e L.S., deve osservarsi che il tribunale ne ha giudicato la piena capacità coerentemente al principio espresso dal Giudice di legittimità secondo cui “In tema di prova per testimoni, l’amministratore di una società è incapace a testimoniare soltanto nel processo in cui rappresenti la società medesima, non potendo assumere contemporaneamente la posizione di parte e di teste, ovvero se nella causa abbia un interesse attuale e concreto, che potrebbe legittimarne la partecipazione al giudizio, e non già meramente ipotetico, quale quello relativo ad una sua eventuale responsabilità verso la società” (Cass. n. 14987/2012).

Nel caso di specie nessuna delle indicate cause di incapacità risulta essere stata presente al momento della escussione testimoniale risultando quindi corretta la valutazione del tribunale e infondata la censura.

Con riferimento alla esclusione del teste Lugaresi deve invece ritenersi inammissibile la doglianza in relazione al principio secondo cui “Qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonchè di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove” (Cass. n. 23194/2017).

Nel caso di specie non solo non è stato indicato e dimostrato il nesso eziologico tra la testimonianza richiesta e una certa e differente decisione del giudice, ma è altresì assente la riproduzione della ordinanza di esclusione, in totale violazione del principio di specificità della censura.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 153 e 249 c.p.c. e dell’art. 87 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale valutato tardiva la produzione della mail del 18.2.2016 e quindi ritenuto non ammissibile il documento in questione.

Specificava il ricorrente che la mail in questione era dimostrativa della indicazione data dalla società al Lu. di mutare la natura delle sue dimissioni da “dimissioni per giusta causa” a “dimissioni volontarie”, e che la produzione della stessa era avvenuta secondo le modalità di legge.

Deve rilevarsi che il tribunale aveva escluso tale produzione perchè non dimostrata la sopravvenienza di tale documento rispetto alla proposizione della opposizione al passivo e la conseguente impossibilità per il ricorrente di acquisirla prima. Rispetto a tale statuizione la odierna censura risulta “fuori bersaglio” in quanto non contesta l’errata valutazione circa la tardività, ma rileva la bontà probatoria della produzione anche sottolineando, comunque, la mancata rimessione in termini da parte del tribunale (in qualche modo contraddicendo l’assunto di tempestività).

Peraltro il tribunale aveva comunque giudicato la natura volontaria delle dimissioni in quanto, accertata la validità della testimonianza dei testi, ed in particolare della M., aveva raggiunto il convincimento dell’errata comunicazione originaria delle dimissioni per giusta causa (per intervenuto accordo tra le parti), anche dando conto della immediata impugnazione di tali dimissioni e traendo quindi il pieno convincimento dalle testimonianze acquisite. Il motivo sulla produzione del documento risulta quindi ininfluente rispetto alla complessiva valutazione effettuata dal tribunale e dunque infondato. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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