Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11011 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. I, 06/05/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 06/05/2010), n.11011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2502-2005 proposto da:

S.D. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso l’avvocato MANFEROCE TOMMASO, che

la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO N. (OMISSIS) INDUSTRIA CAMICERIA ITALIANA S.R.L.;

– intimato –

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

09/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 6 giugno 2002, con la dichiarazione da parte del Tribunale di Roma del Fallimento della Industria Camiceria Italiana s.r.l. veniva nominata curatrice S.D..

La predetta svolgeva il proprio incarico fino al (OMISSIS), data questa in cui veniva revocata dall’incarico di curatore per avere detta professionista ricevuto dal P.M. di Perugia incarichi di consulenza che rendevano, secondo il Tribunale, incompatibile la permanenza della S. nelle funzioni di curatrice presso la sezione fallimentare del Tribunale di Roma.

Dopo la revoca la S. depositava il rendiconto della propria gestione, che veniva approvato dal giudice delegato. In data 10.6.2004 la predetta, affermando che l’attivo realizzato durante l’espletamento dell’incarico ammontava a complessivi Euro 23.082,60 ed il passivo accertato ad Euro 163.830,24, chiedeva un acconto sul compenso per l’opera prestata.

Il Tribunale di Roma, con provvedimento in data 9.11.2004, liquidava alla istante il compenso di Euro 3.000,00.

Avverso tale provvedimento S. Daniela ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi illustrati con memoria.

L’intimato Fallimento della Industria Camiceria Italiana s.r.l. non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 39, L. Fall., e del D.M. 28 luglio 1992, n. 570, artt. 1, 2 e 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Deduce la ricorrente che il Tribunale, ritenendo il compenso, liquidato sulla base dell’attivo realizzato e del passivo accertato fino al momento della revoca, esaustivo di ogni pretesa, avrebbe violato il D.M. n. 570 del 1992, art. 2 in relazione all’art. 39, L. Fall., atteso che, quando il curatore cessa dalle funzioni prima della chiusura del fallimento, la liquidazione del compenso a titolo definitivo, che deve tener conto dei criteri di cui all’art. 1 del citato D.M., può essere effettuata soltanto dopo la chiusura di tutte le operazioni di acquisizione e vendita delle risorse fallimentari.

Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 39, L. Fall., del D.M. 28 luglio 1992, n. 570, artt. 1 e 2 dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Difetto assoluto di motivazione.

La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe solo apparente, essendosi il giudice a quo limitato al richiamo degli astratti criteri indicati nell’art. 1, del cit. D.M. summenzionato e non avendo indicato le ragioni per le quali non ha ritenuto di considerare le ulteriori attività acquisibili alla procedura mediante la vendita dei beni inventariati, riscossioni di crediti ed azioni giudiziarie.

Il ricorso è fondato.

Questa Suprema Corte di Cassazione (cfr. cass. n. 26730 del 2007 resa a sezioni unite) ha affermato il principio secondo cui in tema di liquidazione del compenso al curatore, cessato prima della conclusione della procedura fallimentare, ai sensi dell’art. 39, L. Fall., (nel testo anteriore al D.Lgs. n. 5 del 2006 che, riformulando la disposizione, non si applica ex art. 150 alle procedure pendenti alla sua entrata in vigore), il provvedimento adottabile in quella fase dal Tribunale può avere per oggetto solo acconti, ma non il compenso definitivo, poichè il contributo di ciascun curatore ai risultati della procedura può valutarsi solo con le operazioni di chiusura della stessa, allorchè diviene possibile una disamina unitaria dei fatti rilevanti ai fini della liquidazione; ne consegue che anche il criterio di commisurazione del compenso all’attivo realizzato ed al passivo accertato, secondo il D.M. 28 luglio 1992, n. 570, non è decisivo per imputare a ciascun curatore rispettive quote individuate con esclusivo riferimento alla data di cessazione dalla carica, operando esso solo come criterio di valutazione e di limite e dovendo le posizioni dei predetti curatori essere esaminate come concorrenti ed in termini omogenei.

Nel caso che ne occupa la ricorrente, cessata dalla carica di curatore, a seguito di revoca dell’incarico, prima della conclusione della procedura fallimentare ha chiesto al Tribunale un acconto sul compenso per l’opera prestata.

Il Tribunale con il provvedimento impugnato, rilevato che l’attivo realizzato dalla ricorrente fino al momento della cessazione dall’incarico ammontava ad Euro 23.082,60 e che il passivo accertato ammontava ad Euro 163,830,24, tenuto conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, dell’importanza del fallimento, della sollecitudine con cui erano state condotte le relative operazioni, del rimborso forfettario delle spese generali spettante, ha liquidato alla ricorrente il compenso di Euro 3.000,00.

Il fatto che il compenso sia stato liquidato, prendendo in considerazione l’attivo realizzato, il passivo accertato ed il contributo ai risultati della procedura dato dal curatore fino al momento della revoca, senza riferimento alla possibilità di una più adeguata valutazione del contributo dato al risultato della procedura al momento della chiusura del fallimento, allorchè diviene possibile una disamina unitaria dei fatti rilevanti ai fini della liquidazione e valutare, quindi, qual’ è stato l’effettivo contributo dato da ciascun curatore ai risultati della procedura, e senza alcuna espressa indicazione sia nella motivazione che nel dispositivo che il compenso richiesto viene liquidato a titolo di acconto, porta effettivamente a ritenere, come sostenuto dalla ricorrente, che la somma, di cui sopra, le è stata concessa a titolo di compenso definitivo.

Così statuendo il Tribunale ha violato la normativa in materia di liquidazione del compenso al curatore, sopra citata, atteso che detto giudice, come affermato dalle sezioni unite di questa Suprema Corte nella sentenza summenzionata, prima della chiusura del fallimento non ha il potere di liquidare al curatore, cessato dall’incarico nel corso della procedura fallimentare, un compenso definitivo, ma solo quello di concedergli acconti.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto, il provvedimento impugnato deve essere cassato e rinviato al Tribunale fallimentare di Roma in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale fallimentare di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

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