Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11009 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 26/04/2021), n.11009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27505-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN,

LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO;

– ricorrente –

contro

K.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59,

presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1553/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/05/2015 R.G.N. 6415/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2021 dal Consigliere Dott. BUFFA FRANCESCO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 29.5.15, in riforma di sentenza del 2012 del tribunale della stessa sede, ha accolto la domanda della signora K. volta alla ricostituzione della posizione assicurativa sulla base dei periodi lavorativi svolti in Albania la L. n. 269 del 2006, ex art. 1, comma 1264, ed ha condannato l’Inps a liquidare la pensione di vecchiaia alla stessa dal primo gennaio 2008 sulla base del rateo di Euro 1189,11.

In particolare, premesso che la signora K. era cittadina italiana che aveva lavorato in Albania per diversi anni come ingegnere edile ed era rimpatriata nel 1992, la corte territoriale ha applicato il minimale contributivo determinato sulla base del contratto collettivo applicabile agli ingegneri che lavorano in Italia e che sono iscritti all’A.G.O. D. n. 338 del 1989, ex art. 1, convertito in L. 389/89, ritenendo irrilevante che il lavoro fosse stato prestato in Albania in favore dello Stato albanese e non per privati.

Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un articolato motivo, cui resiste l’assistita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

Con unico motivo si deduce -ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1164 e D.M. 31 luglio 2007, art. 2, del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, convertito in L. n. 389 del 1989, nonchè del D.L. n. 463 del 1983, art. 7, convertito in L. n. 639 del 1983, per avere la sentenza impugnata determinato il minimale in relazione all’attività specifica sebbene ciò non fosse previsto dalle norme e per non aver applicato la disciplina speciale del Decreto n. 463 del 1983, ex art. 7, ma solo quella del 1989 che invece è irretroattiva.

Il motivo è fondato nei limiti di cui appresso.

Occorre preliminarmente ricordare che la L. n. 296 del 2006, art. 1 comma 1164, nel rimandare a successivo decreto ministeriale le modalità attuative della disposizione, stabilisce che “A decorrere dall’anno 2008, i cittadini italiani rimpatriati dall’Albania possono ottenere a domanda, dall’INPS, la ricostruzione, nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, delle posizioni assicurative relative a periodi di lavoro dipendente ed autonomo effettivamente svolti nel predetto Paese dal I gennaio 1955 al 31 dicembre 1997”. Il successivo decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 31 Luglio 2007 all’art. 2 prevede che “La ricostruzione della posizione assicurativa nell’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dà titolo al riconoscimento, ai fini del calcolo della pensione, di una anzianità contributiva corrispondente all’effettivamente lavorato in Albania di valore pari alla retribuzione mensile sul minimale di contribuzione vigente in Italia nei periodi interessati dalla ricostruzione per i rispettivi settori.

Questa Corte, con sentenza Cass. Sez. L n. 17257 del 02/07/2018 (v. altresì Cass. N. 12036 del 19/6/2020; n. 17257 del 2/7/2018, Cass. n. 23875 del 2/10/2018) ha affermato che il diritto alla ricostruzione della posizione assicurativa relativa ai periodi di lavoro, sia dipendente che autonomo, prestato in Albania dal 1 gennaio 1995 e fino al 31 dicembre 1997 da cittadini italiani successivamente rimpatriati, ha natura previdenziale e non assistenziale, come emerge dalla lettera della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1164 e del D.M. 31 luglio 2007, art. 2, che fanno riferimento all’effettivo lavoro e ai diversi settori lavorativi, sicchè la disciplina applicabile per individuare il minimale contributivo cui va parametrata la ricostruzione è quella di volta in volta vigente nel tempo in Italia, nei diversi settori di attività e per i periodi corrispondenti, senza che possa applicarsi un unico criterio normativo di riferimento (come si giustificherebbe solo se la prestazione avesse un carattere assistenziale).

La medesima pronuncia ha ricordato che la legge ha voluto assicurare ai cittadini italiani rimpatriati dall’Albania con la normativa sopra riportata è una “posizione assicurativa”, corrispondente ai periodi di lavoro dipendente o autonomo effettivamente svolti in Albania, e di valore pari a quella cui essi avrebbero avuto diritto se avessero lavorato in Italia; ciò al fine del raggiungimento dell'”anzianità contributiva” richiesta per l'”erogazione di una prestazione pensionistica” di natura previdenziale nell’ambito dell’AGO; mentre non rileva per la legge se i medesimi cittadini italiani abbiano o meno conseguito una pensione straniera per effetto della stessa attività svolta in Albania. Si è quindi pure escluso che ai fini in questione si possa applicare sempre e soltanto un’unica normativa in materia di minimale contributivo, posto che la legge fa riferimento invece al “minimale di contribuzione vigente in Italia nei periodi interessati”; inoltre, poichè la stessa normativa dettata in materia è mutata nel corso del tempo, non si può applicare un unico criterio normativo di riferimento, dovendo bensì trovare applicazione i diversi criteri vigenti nel periodo di svolgimento dell’attività lavorativa in relazione alla quale occorre operare la ricostruzione della posizione contributiva, dando rilievo all’attività lavorativa effettivamente svolta nei settori e con le qualifiche di riferimento, se ed in quanto assumano rilievo ai fini dell’applicazione della stessa normativa vigente nel tempo.

Al principio sopra indicato il Collegio intende dare continuità, essendo dunque necessario da un lato distinguere i minimali in relazione al quadro normativo vigente nei diversi periodi lavorativi, e dall’altro lato, dovendo tenersi conto della specifica attività lavorative svolta ove rilevante dalla normativa applicabile.

In tale ambito, considerata la differenza esistente tra le retribuzioni nei settori pubblico e privato, dovrà farsi riferimento a minimali contributivi previsti per il settore pubblico, in considerazione del beneficiario della prestazione lavorativa della lavoratrice, e dovendo la posizione della lavoratrice essere equiparata a quella che avrebbe avuto se avesse lavorato in Italia nelle medesime condizioni.

La sentenza impugnata ha applicato un unico minimale per tutto il periodo lavorativo, applicando retroattivamente la disciplina del 1989 e non tenendo conto dei minimali retributivi applicabili ratione temporis ed in considerazione del settore pubblico del lavoro.

Per le ragioni esposte il ricorso va accolto e la sentenza deve essere quindi cassata; la causa va rinviata alla medesima corte in diversa composizione per un nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

In considerazione dell’esito del giudizio non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla medesima corte d’appello in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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