Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11009 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. I, 06/05/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 06/05/2010), n.11009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1438-2005 proposto da:

V.M.G. (c.f. (OMISSIS)), V.L. (c.f.

(OMISSIS)), V.F.S. (c.f.

(OMISSIS)), V.G. (c.f. (OMISSIS)), aventi

causa di V.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BERENGARIO 14, presso l’avvocato APICELLA ANTONIO, rappresentati e

difesi dall’avvocato APICELLA FILIPPO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO DELLA VALLE DEL LAO E BACINI TIRRENICI DEL COSENTINO, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. CALDERINI 68, presso l’avvocato VONA

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale per

Notaio VINCENZO TITOMAGLIO di SCALEA – Rep. n. 90516 del 3.2.05;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 520/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 26/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato F. APICELLA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato G. VONA che ha chiesto

l’inammissibilità del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, poi riassunto nel giugno del 1981, V. M.G. in R., V.L. in A., V. F. e V.V. convenivano al giudizio innanzi al Tribunale di Paola il Consorzio di Bonifica della Valle del Lao e dei Bacini Tirreni del Cosentino chiedendone la condanna al risarcimento del danno per illegittima occupazione dei terreni di loro proprietà ovvero,in via subordinata, al pagamento della giusta indennità per il periodo di occupazione legittima. Spiegavano gli istanti di essere proprietari dei terreni siti in località (OMISSIS) e segnati in catasto al fg. (OMISSIS) particelle (OMISSIS) e che il convenuto consorzio nel (OMISSIS) aveva costruito in (OMISSIS) una strada comunale di collegamento tra la (OMISSIS) e la relativa variante, occupando mq 3800 di loro proprietà.

Sostenevano che l’illegittimità dell’occupazione derivava: a) dalla mancata notificazione del decreto di occupazione del Prefetto di Cosenza del 29.3.1973 agli istanti neppure menzionati tra i proprietari da espropriare; b) dallo sviamento di potere poichè esso era finalizzato ad una strada di collegamento tra la località (OMISSIS) mentre lo scopo poi conseguito effettivamente era stato diverso; c) dal decorso del biennio di occupazione senza la sopravvenienza del provvedimento di esproprio. Deducevano) infine che vi era stata la realizzazione dell’opera pubblica.

Si costituiva l’ente consortile deducendo: la mancata prova della proprietà vantata dagli attornia irrilevanza della mancata notifica ad essi e della loro enunciazione nel provvedimento di occupazione perchè questo era stato redatto sulla base delle risultanze catastali; la maggiore efficacia dello stesso sul piano temporale ai sensi delle L. n. 865 del 197 le L. n. 385 del 1980; l’intervenuta adesione del delegato allo stato di consistenza redatto dal Consorzio il 20.51975 con dichiarazione di non opposizione sottoscritto dal medesimo. Ne conseguiva, pertanto, la legittimità della occupazione e la determinazione della indennità secondo i criteri di legge. In via subordinata chiedeva la commisurazione del danno all’effettivo pregiudizio sofferto.

Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il convenuto Consorzio al risarcimento del danno per la irreversibile trasformazione dei terreni di proprietà attrice oltre interessi nonchè al pagamento della indennità di occupazione legittima oltre interessi.

Avverso la detta sentenza proponeva appello il Consorzio di bonifica del Lao e dei bacini tirrenici del Cosentino.

Resistevano i V..

La Corte d’appello, disposta nuova CTU, con sentenza depositata il 26.11.03,in accoglimento dell’appello ed parziale in riforma della impugnata sentenza, condannava il Consorzio di Bonifica del Lao e dei Bacini Tirrenici del Cosentino:

1) al pagamento, a titolo di risarcimento del danno per irreversibile occupazione delle aree, in favore di:

V.L.: Euro 4595,00, oltre interessi del 5% su Euro 805,99 rivalutati di anno in anno dal 4.9.1977 al soddisfo;

V.F.: Euro 2548,00, oltre interessi del 5% su Euro 447,01 rivalutati di anno in anno dal 4.9.1977 al soddisfo;

V.V.: Euro 2973,00, oltre interessi del 5% su Euro 521,51 rivalutati di anno in anno dal 5.9.1977 al soddisfo.

2) al pagamento a titolo di risarcimento danni per occupazione illegittima commisurata agli interessi legali, in favore di:

V.M.G.: Euro 718,77, oltre interessi del 5% su Euro 126,10 rivalutate di anno in anno dal 4.9.1977 alla data della sentenza;

V.L.: Euro 247,89, oltre interessi del5% su Euro 43,49 rivalutate di anno in anno dal 4.9.1977 alla data della sentenza;

V.F.: Euro 137,14, oltre interessi del 5% su Euro 24,06 rivalutati di anno in anno dal 4.9.1977 alla data della sentenza;

V.V.: Euro 160,05, oltre interessi del 5% su Euro 24,06 rivalutati di anno in anno dal 4.9.1977 alla data della sentenza.

Rigettava la domanda relativa all’indennità di occupazione legittima e quella del risarcimento del danno da occupazione illegittima per il periodo 20 maggio 1975 – 6 giugno 1976.

Avverso la detta sentenza ricorrono per cassazione i V. sulla base di quattro motivi cui resiste con controricorso il Consorzio della valle del Lao e dei bacini tirrenici del Cosentino. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti con il primo motivo di ricorso lamentano la mancata dichiarazione di inammissibilità dell’appello per mancata esposizione sommaria dei fatti e per la sua genericità.

Con il secondo motivo si dolgono del fatto che la Corte d’appello non abbia ritenuto rinunciata l’eccezione di prescrizione proposta dal Consorzio e non reiterata nelle conclusioni nè riportata in conclusionale e che abbia decisa sulla stessa su un documento privo di efficacia probatoria e tardivamente prodotto. Inoltre assumono che. non avendo contestato in primo grado il Consorzio la natura edificabile dei terreni, la Corte territoriale non avrebbe potuto accertare la natura agricola degli stessi.

Con il terzo motivo si dolgono, in primo luogo, del mancato riconoscimento della natura usurpativa dell’occupazione in quanto non assistita da valida dichiarazione di pubblica utilità nè da decreto di occupazione, in secondo luogo, in via subordinata, della mancata applicazione della L. n. 359 del 1982, art. 5 bis, comma 7 bis ed infine, in terzo luogo, del mancato rinnovo della CTU. Con il quarto motivo si dolgono della omissione nel dispositivo della condanna del Consorzio in favore di V.M.G..

Il primo motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che, essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342 c.p.c., comma 1 – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure. (Cass. 21745/06, Cass. 12240/07; Cass. 15263/07 Cass. 1790/07).

Alla luce di detti principi l’atto di appello appare correttamente proposto. In esso, infatti, si rinviene una sia pure sintetica esposizione dei fatti di causa dandosi conto della decisione della sentenza di primo grado ed individuandosi l’oggetto della pronuncia e le ragioni della controversia.

Quanto ai motivi, gli stessi risultano sufficientemente specifici, rinvenendosi,sia pure sinteticamente, nell’atto di appello le ragioni del ritenuto decorso del termine prescrizionale, mentre, riguardo al merito, la contestazione circa la mancata ritenuta natura agricola dei terreni, risulta sufficientemente articolata, dandosi conto della decisione sul punto del tribunale e contestandosi i criteri di liquidazione adottati dalla CTU. Il secondo motivo è infondato e per certi versi inammissibile.

Gli stessi ricorrenti riconoscono che il Tribunale si era pronunciato sulla eccezione di prescrizione proposta dal consorzio, mentre nella sentenza di appello si da atto della riproposizione della detta eccezione che ha costituito motivo di appello.

La questione della prescrizione non può. pertanto, considerarsi irritualmente proposta con l’atto di appello poichè, essendovi pronuncia del tribunale sul punto, la detta statuizione era suscettibile di gravame da parte del Consorzio.

Era onere degli odierni ricorrenti dedurre nelle proprie difese in secondo grado sulla base della assunta rinunzia alla eccezione, censurare la decisione del tribunale sotto il profilo della ultra petizione. Non risulta, peraltro, dalla sentenza di appello che la questione sia stata proposta nè i ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, deducono in quale degli scritti difensivi l’avevano dedotta per consentire a questa Corte di valutare una eventuale carenza motivazionale da parte della sentenza impugnata.

La censura non è pertanto sotto questo profilo in questa sede scrutinabile.

Il secondo motivo contiene una seconda censura secondo cui l’eccezione di prescrizione non poteva essere, sia pure parzialmente,accolta, perchè fondata su un documento privo di efficacia probatoria e, comunque, tardivamente prodotto in appello.

Tale censura è inammissibile poichè, per un verso, fa riferimento ad un documento di cui in violazione del citato principio di autosufficienza, non viene riprodotto il testo nel ricorso e del quale non si riferisce in quali precise circostanze sia stato prodotto, impedendo così a questa Corte ,cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito, di poter valutare il fondamento della doglianza, mentre, per altro verso, tende a proporre censure al merito della sentenza.

La terza censura, con cui ci si contesta che la controparte abbia solo in appello contestato la natura edificatoria dei terreni, è infondata.

Invero, in appello alle parti è consentito, ai sensi dell’art 345 c.p.c. nella versione anteriore alla riforma del 1990 applicabile al caso di specie, proporre nuove eccezioni. Nel caso di specie, pertanto, anche a volere ritenere che quella in esame sia una eccezione e non una mera difesa, la stessa poteva essere legittimamente proposta.

Nessun vizio nella sentenza impugnata è pertanto sotto tale profilo riscontrabile.

Venendo all’esame del terzo motivo, la prima censura in esso contenuta, con cui i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento del carattere usurpativo dell’occupazione, è inammissibile.

Di tale questione non si rinviene alcun cenno nella sentenza impugnata.

Era pertanto onere dei ricorrenti, in applicazione del principio di autosufficienza, riportare nel ricorso il brano dell’atto d’appello in cui l’avevano proposta. Nulla di tutto ciò è avvenuto. A questa Corte non resta pertanto che ritenere il motivo nuovo e pertanto non proponibile in questa sede.

La seconda censura è infondata.

La Corte d’appello ha accertato la natura agricola dei terreni ed ha.

In base a detta natura effettuato la valutazione del risarcimento dovuto. Tale valore risulta essere stato determinato in misura superiore al valore tabellare medio stabilito dalla Regione ed ad esso trattandosi di occupazione parziale, la Corte ha applicato il criterio di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40.

Il ricorrente censura la detta statuizione non sotto il profilo della correttezza della determinazione in ragione della natura agricola, ma sostenendo, invece, che nel caso di specie si doveva applicare la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis senza tenere conto della differenza tra suoli edificabili e non. Tale censura è erronea. Questa Corte ha infatti a più riprese affermato che in tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa, ove si tratti di terreno agricolo, debbono essere applicati, indicativamente, i criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 (non del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, conv. in L. n. 359 del 1992, come introdotto dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65), avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo in relazione alle utilizzazioni consentite dallo strumento urbanistico, ma senza considerazione delle potenzialità edificatorie, dovendo per questo ritenersi consentito al proprietario di dimostrare che il valore del terreno eccede l’utilizzazione strettamente agricola, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo (ad es., parcheggio, caccia, sport, agriturismo), purchè non attinente al concetto di edificabilità di fatto (Cass. 14783/07;

Cass. 1090/00; Cass. 2336/98); circostanze queste ultime non addotte dai ricorrenti.

Del tutto correttamente pertanto la sentenza impugnata ha determinato il valore del terreno in ragione della sua natura agricola senza alcun riferimento alla edificabilità.

La terza censura del terzo motivo è inammissibile Invero la Corte di appello, in ordine alla determinazione della indennità di esproprio, ha condiviso le conclusioni della CTU in relazione alle quali ha esplicitato i criteri assunti alla base della determinazione ed ha dato, altresì, atto che il CTU ha tenuto conto delle osservazioni avanzate dai consulenti di parte.

Ciò premesso, va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che il giudice del merito, che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poichè l’obbligo della motivazione è assolto già con l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate. Da ciò consegue che la parte, la quale deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione alle risultanze della CTU, ha l’onere di indicare in modo specifico le deduzioni formulate nel giudizio di merito, delle quali il giudice non si sia dato carico, non essendo in proposito sufficiente il mero e generico rinvio agli atti del pregresso giudizio. (Cass. 19475/05).

Nel caso di specie, i ricorrenti censurano le risultanze della CTU riprese e fatte proprie dalla sentenza di secondo grado dolendosi della ritenuta natura agricola del terreno, della irrazionalità della valutazione di quest’ultimo, dell’errore di calcolo della superficie delle particelle residue,della non adeguata valutazione delle variazioni dei valori fondiari etc..

Il ricorrenti però non deducono in alcun modo, in violazione del principio di autosufficienza, in quale dei propri scritti difensivi o di quelli del proprio CTP aveva contestato le affermazioni della CTU, onde le censure mosse non possono trovare ingresso in questo giudizio di legittimità, non essendo questo giudice – cui è inibito l’accesso agli atti della fase di merito – valutare la fondatezza delle censure stesse in relazione ad una carenza motivazionale da parte della sentenza impugnata.

Sotto altro profilo, le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 8355/07; Cass. 17606/07; Cass. 12080/00).

Il quarto motivo è inammissibile.

Risulta infatti nella parte motiva che a V.M.G. andava riconosciuta la somma di Euro 13.117,00 a titolo di risarcimento danno per irreversibile occupazione della suo quota di proprietà ma tale statuizione non risulta riportata nel dispositivo della sentenza.

Non si tratta pertanto, di un caso mancata pronuncia, ma di errore materiale risultando omessa la statuizione nel dispositivo.

Ma tale errore doveva farsi valere innanzi la Corte d’appello con la procedura di correzione ex art. 287 c.p.c..

Il ricorso va, in conclusione, rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 1500,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

 

 

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