Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11008 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 26/04/2021), n.11008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23788-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO;

– ricorrente –

contro

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO

44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI AGOSTINI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI AIMAR,

MICHELE FUNGHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 31/03/2015 R.G.N. 507/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2021 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 31.3.2015, la Corte d’appello di Torino ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di G.V. volta a conseguire la pensione di anzianità sulla scorta della maturazione, alla data del 24.9.2010, di n. 2080 contributi settimanali presso la Gestione artigiani;

che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrati con memoria;

che G.V. ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 438 del 1992, art. 3-bis, recante conversione in legge del D.L. n. 384 del 1992, in connessione con la L. n. 233 del 1990, per avere la Corte di merito ritenuto che i redditi di capitale percepiti dall’odierno controricorrente quale socio non lavoratore di altre società di capitali non potessero essere assoggettati all’imponibile contributivo dovuto alla Gestione artigiani, trattandosi di redditi provenienti da società di capitali a beneficio della quale non era stato provato lo svolgimento di alcuna attività lavorativa, e avere conseguentemente escluso che negli anni in contestazione vi fossero state omissioni contributive idonea a impedirgli il conseguimento del montante utile ai fini della maturazione della prestazione previdenziale oggetto della sua domanda;

che è infondata la preliminare eccezione d’inammissibilità del ricorso, evincendosi dalla documentazione allegata al ricorso medesimo che la sua notifica è stata richiesta in data 30.9.2015, ossia entro i sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c.; che, nel merito, il motivo di censura è infondato, essendosi chiarito che il lavoratore autonomo, che sia iscritto alla competente gestione in relazione ad un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, deve bensì includere nella base imponibile sulla quale calcolare i contributi la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale, vale a dire quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55), ma non anche i redditi di capitale, quali quelli derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali che non si accompagni a prestazione di attività lavorativa (Cass. n. 21540 del 2019, alla quale hanno dato continuità Cass. nn. 18594 e 19001 del 2020);

che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza Camerale, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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