Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11006 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 09/06/2020), n.11006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25255/2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

GIOACCHINO BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MEREU, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO DI LAURO e

ALESSIA WANDA MARIA MASSIONE;

– ricorrente –

contro

SISTEMI UFFICIO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GIROLAMO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MARCO DELL’ACQUA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1245/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/06/2018, R.G.N. 307/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/01/2020 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCO DI LAURO;

udito l’Avvocato ITALO DI PAOLA per delega verbale avvocati ANTONIO

GIROLAMO e MARCO DELL’ACQUA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 28 giugno 2018, la Corte d’Appello di Milano confermava la decisione resa dal Tribunale di Como e rigettava la domanda proposta da P.M. nei confronti di Sistemi Ufficio TLC avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato al P. per violazione dell’obbligo di fedeltà ed in particolare del divieto di operare in concorrenza.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondate le eccezioni formali relative alla genericità della contestazione ed alla violazione del principio di immutabilità della stessa, legittimo il controllo sul computer in dotazione al P., irrilevante il riferimento agli artt. 45 e 48 del CCNL per il settore telecomunicazioni per essere stato il licenziamento intimato con riferimento agli obblighi per legge gravanti sul lavoratore e comunque espressamente puntualizzati nel contratto individuale, la cui violazione risultava provata con conseguente ricorrenza dell’invocata giusta causa..

Per la cassazione di tale decisione ricorre P.M., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, lamenta a carico della Corte territoriale la violazione del principio di specificità della contestazione.

Nel secondo motivo la violazione e falsa applicazione della medesima norma di legge è prospettata con riguardo al rigetto da parte della Corte territoriale dell’eccepita inosservanza del principio di immutabilità della contestazione.

Con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2105 c.c., in relazione agli artt. 45 e 48 del CCNL di categoria, il ricorrente imputa alla Corte territoriale l’aver formulato il proprio giudizio sulla sussistenza dell’invocata giusta causa di recesso prescindendo dal riferimento alle fattispecie astratte considerate dal codice disciplinare di cui al CCNL di categoria come punibili con la massima sanzione, in base alle quali andrebbe esclusa la riconducibilità ad esse del fatto addebitato.

Con il quarto motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale l’incongruità logica della valutazione dalla stessa operata con riguardo alla mancanza addebitata basata su elementi di fatto non coincidenti con quanto risultante dalla lettera di contestazione.

Passando all’esame della proposta impugnazione va rilevata come la stessa ruoti essenzialmente intorno all’imprecisione degli elementi di fatto su cui la Società datrice ha costruito, nel formulare la lettera di contestazione, l’attribuzione al ricorrente dell’addebito dato dal suo operare in concorrenza con la Società medesima, assunto che il ricorrente valorizza sotto una pluralità di profili: per sostenere, con il primo motivo, la non specificità della contestazione, per addebitare alla Corte territoriale, con il quarto motivo, una valutazione della sussistenza della mancanza contestata fuorviata dalla mancata considerazione dell’inesattezza degli elementi assunti a base del giudizio, per affermare, con il secondo motivo, l’incongruità tra l’originaria approssimativa contestazione e la circostanziata successiva lettera di licenziamento tale da fondare la censurata violazione del principio di immutabilità della contestazione.

Sennonchè il ricorrente, da un lato, non dà conto dell’effettività delle asserite inesattezze, limitandosi a ribadire la propria versione in ordine alla lettura da dare alla lettera di contestazione, dall’altro non sottopone a specifica impugnazione l’affermazione di cui alla motivazione dell’impugnata sentenza per cui quello stesso giorno al ricorrente l’addebito veniva contestato verbalmente, spiegato in cosa consistesse, ottenendo dal medesimo una piena ammissione, sicchè si deve ritenere corretta la lettura operata dalla Corte territoriale della lettera di contestazione come chiaramente riferibile all’addebito consistente nella violazione del divieto di operare in concorrenza e derivare da qui non solo la congruità tra la lettera di contestazione e la successiva lettera di licenziamento ma altresì la correttezza logica e giuridica del giudizio formulato dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza della mancanza addebitata.

Quanto poi alla proporzionalità della sanzione, conclusione cui perviene la Corte territoriale e che il ricorrente censura con il terzo motivo, si deve ritenere l’infondatezza del medesimo per non essere il giudice vincolato alle previsioni rese in materia disciplinare in sede collettiva, tanto più quando, come nel caso di specie, la condotta da apprezzare alla stregua del parametro dato dalla nozione legale di giusta causa, ovvero in relazione alla sua idoneità a ledere il vincolo fiduciario che connota il rapporto di lavoro, si concreti in una ipotesi pure legalmente tipizzata di inadempimento degli obblighi contrattuali.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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