Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11000 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 09/06/2020), n.11000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20232/2014 proposto da:

B.P.G., A.M., S.F., tutti

domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati CINZIA

DE GIORGI, SABRINA TEODORA CONTE;

– ricorrenti – principali –

contro

COMUNE DI GALLIPOLI, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11, presso

lo studio dell’avvocato GIOVANNI PELLEGRINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato BARTOLO RAVENNA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

B.P.G., A.M., S.F.;

– ricorrenti principali – controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1753/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 30/06/2014, R.G.N. 1352/2013.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Lecce, respingendo l’appello principale e incidentale proposti avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata dichiarata la nullità dei contratti di lavoro a termine intercorsi tra il Comune di Gallipoli e B.P.G., A.M. e S.F., disattendendo la domanda di conversione a tempo indeterminato di tali rapporti e condannando l’ente al risarcimento del danno in favore dei lavoratori, quantificato in Euro 18.645,75 per il B., Euro 18.627,15 per il S. ed Euro 18.664,35 per l’ A.;

1.1 la Corte d’Appello condivideva la valutazione del Tribunale in merito all’invalidità delle varie prosecuzioni (rinnovazioni e proroghe) dei rapporti a termine, pur se afferenti ad un originario e valido contratto a tempo determinato, in quanto fatte per fronteggiare croniche carenze di personale nel settore della polizia municipale e per periodi non sempre caratterizzati da maggiori esigenze lavorative;

esclusa la possibilità della conversione, stante l’intercorrere dei contratti con la P.A., la Corte riteneva corretta la quantificazione del risarcimento, che assumeva essere stata operata dal giudice di primo grado in misura di 15 mensilità di retribuzione, in adeguata considerazione “della durata dei rapporti (…), delle modalità di espletamento degli stessi e delle relative conseguenze”, in applicazione dei criteri di cui all’art. 32, comma 5, che – a dire della Corte prevedeva una misura da 2,5 a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto;

2. avverso la sentenza i lavoratori hanno proposto tre motivi di ricorso per cassazione, resistiti da controricorso del Comune di Gallipoli, contenente anche due motivi di ricorso incidentale, sui quali i ricorrenti principali hanno replicato con apposito controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2, in combinato disposto con la direttiva comunitaria CEE 1999/97, sostenendo l’insussistenza di ragioni idonee a differenziare il pubblico impiego dal lavoro privato sotto il profilo della conversione del rapporto e rimarcando come i loro contratti fossero stati stipulati in esito al superamento di pubbliche selezioni;

il motivo è infondato;

questa Corte ha già affermato la piena compatibilità Eurounitaria dell’esclusione del rimedio della conversione nel caso di abusivo ricorso alla contrattazione a termine da parte della P.A. (v. Cass. 28 marzo 2019, n. 8671, cui si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1)

il divieto di tale conversione è stato del resto costantemente affermato da questa Corte, senza condizioni, in plurime pronunce nel corso del tempo, con orientamento poi confermato al massimo livello di nomofilachia (Cass. S.U. 15 marzo 2016, n. 5072) e successivamente ancora costantemente reiterato (tra le molte, in progressione temporale, Cass. 2 agosto 2016, n. 16095; Cass. 6 aprile 2017, n. 8927; Cass. 19 febbraio 2019, n. 4801);

ancora più di recente si è del resto ribadito (Cass. 8671/2019 cit.; Cass. 4801/2019, cit.) che “nel rapporto di pubblico impiego a tempo determinato l’eventuale violazione delle norme sul contratto a termine non può mai tradursi nella conversione del rapporto per espressa disposizione legislativa (art. 97 Cost. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36)”, da individuarsi nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, secondo cui “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni”, ove quell'”in ogni caso” esclude che, se anche le assunzioni a termine siano avvenute mediante selezione pubblica, esse possano, ove illegittimamente reiterate, comportare la conversione a tempo indeterminato (v. ancora, più ampiamente, la motivazione di Cass. 8671/2019 cit.);

l’assolutezza della previsione di legge esclude dunque che, seppure le assunzioni a tempo determinato siano state precedute da concorsi o selezioni pubbliche, esse consentano l’applicazione del rimedio della conversione;

2. il secondo motivo sostiene sempre la violazione o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, in combinato disposto con l’art. 2126 c.c., affermando che il risarcimento del danno avrebbe dovuto essere fissato in misura pari a tutti gli stipendi maturati dalla data di cessazione del rapporto a quella di effettiva riammissione;

con il terzo motivo è infine addotta l’omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) su un fatto controverso e decisivo, ossia la mancata valutazione della domanda di riconoscimento del diritto al risarcimento del danno all’immagine e perdita di chances ai sensi dell’art. 1226 c.c.;

i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati;

a parte il fatto che l’impossibilità di convertire il rapporto impedisce il riconoscimento di importi di cui si ipotizza il perdurare fino al momento della riammissione in servizio, le questioni agitate trovano comunque regolazione nel principio, qui condiviso, sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicchè, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto” e risultando altresì configurabile un danno da “perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore” (Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072);

in proposito, il terzo motivo, pur lamentando il verificarsi di danno da perdita di chance è del tutto generico e come tale inidoneo anche solo ad impostare l’allegazione dei fatti della cui prova è onerato il lavoratore, così come meramente apodittiche e del tutto generiche sono le affermazioni rispetto ad un danno all’immagine o alla professionalità;

3. il primo motivo di ricorso incidentale, rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nonchè dell’art. 132 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in ragione di una motivazione della sentenza impugnata che si assume apparente e sviluppata con omesso esame di un fatto decisivo;

il motivo fa riferimento, procedendo anche ad una disamina di profili di cui si assume l’omesso esame da parte della sentenza impugnata, al fatto che le assunzioni hanno sempre fatto seguito a pubbliche selezioni ed afferma che, nei periodi lavorati, vi erano sempre stati eventi straordinari e comunque stagionali che avevano reso necessario il ricorso alle assunzioni a termine;

in altra parte si sostiene altresì che la motivazione della Corte di merito in ordine al riconnettersi delle assunzioni a croniche carenze di personale nel settore della polizia municipale fosse soltanto apparente e si assume la non riconducibilità dei successivi contratti e mere proroghe, trattandosi piuttosto di rinnovi, rispetto ai quali, una volta rispettati gli intervalli temporali prescritti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 3, non sarebbe prevista alcuna limitazione;

il motivo va disatteso;

la motivazione non può infatti essere ritenuta apparente, avendo evidentemente la Corte fatto leva sul susseguirsi di proroghe e rinnovi dei contratti (spalmati in un lasso di tempo molto prolungato: 2004-2011 per il B.; 2004-2009 per gli altri due lavoratori) quale indice della cronica carenza di personale per quel servizio;

la continuativa assunzione a termine per esigenze protrattesi per anni è valutazione giuridicamente assorbente di ogni altra e risulta idonea a resistere al tentativo di proporre ragioni di legittimità dell’uno o dell’altro contratto, attraverso una censura, nel suo complesso, al contempo alluvionale ed incompleta (le difese sono svolte in gran parte senza trascrivere il contenuto degli atti di riferimento, in violazione del principio di specificità sotteso all’art. 366 c.p.c., comma 1), tale da caratterizzarsi come tentativo di ottenere una diversa pronuncia sul merito, certamente alle caratteristiche proprie del giudizio di legittimità e come tale inammissibile (Cass. 28 marzo 2019, n. 8671);

4. il secondo motivo del ricorso incidentale afferma invece la violazione dei principi in tema di quantificazione del risarcimento del danno, oltre che l’apparenza, in difformità della previsione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, della motivazione;

con esso si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto semmai tenere conto, nel liquidare il danno, delle misure di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 e, in ogni caso, si segnala come il risarcimento parametrato sulle regole di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, non avrebbe mai potuto essere superiore alle 12 mensilità, contro le quindici cui aveva fatto riferimento la sentenza impugnata;

il motivo è fondato, nella sua ultima parte, dovendosi richiamare i già menzionati principi di cui a Cass. S.U. 5072/2016 cit., secondo i quali la liquidazione del danno da ricorso reiterato a contrattazione a termine illegittima va definito secondo i parametri di cui all’art. 32, comma 5, cit., che prevedono il riconoscimento da 2,5 a 12 mensilità;

la Corte d’Appello afferma (ma sul punto anche il ricorso per cassazione, pag. 10, si esprime analogamente) che le somme liquidate dal Tribunale e da essa confermate sono pari a 15 mensilità di retribuzione e dunque vi è errore di diritto che impone la cassazione della sentenza, perchè anche il massimo di cui all’art. 32 cit. sono 12 mensilità;

la causa va consequenzialmente rinviata alla medesima Corte territoriale affinchè essa, in diversa composizione, provveda a rielaborare la determinazione del risarcimento (richiesto e liquidato nei pregressi gradi non solo in forma generica, ma in misure concretamente quantificate) sulla base di una corretta applicazione dell’art. 32 cit..

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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