Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1100 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. I, 20/01/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 20/01/2020), n.1100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare G. – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30071/2017 proposto da:

Banca Popolare Valconca S.c.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS)

presso lo studio dell’avvocato Mario Piselli che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Jan Czmil, in forza di procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Embassy s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio

dell’avvocato Chiara Tagliaferro e rappresentata e difesa

dall’avvocato Maurizio Consoli, in forza di procura speciale su

foglio separato allegato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2014/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/11/2019 dal Consigliere SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione notificata il 29/5/2000, Embassy s.r.l. in liquidazione, fideiussore con altri, tra cui F.M., della debitrice principale F.M. Group s.r.l., nei confronti di Banca Popolare Valconca s.coop. a r.l., si oppose al decreto ingiuntivo notificatole dalla Banca per quanto dovuto a titolo di saldo di conto corrente, eccependo la nullità, a norma dell’art. 2624 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61) della fideiussione stipulata dal suo amministratore unico, F.M., a vantaggio di altra società nella quale questi rivestiva pure il ruolo di amministratore unico, o in subordine l’annullabilità del contratto stipulato in conflitto d’interessi.

All’esito del giudizio, il Tribunale di Rimini con sentenza n. 1104 del 2002, respinse l’opposizione, ritenendo inapplicabile l’art. 2624 c.c. e insussistente, e comunque non riconoscibile dalla Banca, il conflitto di interessi.

2. Avverso la predetta sentenza propose appello l’Embassy s.r.l. in liquidazione, a cui resistette la Banca.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 27/6/2006, respinse il gravame, escludendo che ricorresse l’ipotesi dell’art. 2624 c.c., perchè la fideiussione non era stata stipulata dal F. a proprio vantaggio, bensì di altra società da lui amministrata, ed essendo irrilevante la sua obbligazione di fideiussore personale, non essendosi mai instaurato tra l’Embassy e il F. alcun rapporto diretto di garanzia.

La Corte escluse anche il conflitto d’interessi tra la società e il F., perchè l’assemblea della società aveva deliberato all’unanimità di delegare il F. a prestare fideiussioni a favore di terzi anche gratuitamente per un importo non superiore a Lire 3.000.000.000, dando il suo operato per rato, valido e benfatto, e successivamente aveva deliberato all’unanimità con verbale (OMISSIS) di autorizzarlo a rilasciare a favore della Banca Popolare Valconca fideiussione nell’interesse di diverse società, tra le quali, in particolare F.M. Group s.p.a. fino a Lire 2.750.000.000, sempre che la fideiussione fosse attivabile solo previa escussione degli altri garanti, qualora il loro patrimonio fosse insufficiente a soddisfare gli impegni da essi assunti.

3. Per la cassazione di questa sentenza ricorse Embassy s.r.l. in liquidazione, per tre motivi, a cui resistette la Banca Popolare Valconca con controricorso.

Con la sentenza del 9/5/2014 n. 10109 la Corte di Cassazione rigettò il primo motivo di ricorso (inerente all’applicabilità dell’art. 2624 c.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61) e accolse il secondo e il terzo nei termini di cui in motivazione, cassò la sentenza impugnata e rinviò la causa, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna in altra composizione.

Con il secondo motivo Embassy aveva lamentato che la Corte di appello avesse ritenuto l’autorizzazione dell’amministratore a contrarre fideiussioni in nome della società ragione sufficiente a escludere il conflitto d’interessi con la società rappresentata.

Con il terzo motivo Embassy aveva censurato l’affermazione della sentenza che il conflitto non sarebbe stato riconoscibile dalla Banca, deducendo che il requisito della conoscibilità sarebbe insito nella richiesta di autorizzazione assembleare, idonea, in tesi, a superare la situazione di conflitto.

La Corte di appello, dopo aver considerato l’esistenza di una deliberazione assembleare di autorizzazione generale dell’amministratore a prestare fideiussione a nome della società a favore di terzi, ha esaminato la questione della valenza probatoria della fotocopia, disconosciuta, di una successiva deliberazione dell’assemblea dei soci, che autorizzava l’amministratore a prestare fideiussione per un’altra società da lui rappresentata, stabilendo il limite suscettibile di garanzia e ponendo la condizione della preventiva escussione degli altri fideiussori.

La Corte di appello, premesso il richiamo della giurisprudenza in tema di disconoscimento della fotocopia e della possibilità di utilizzare il documento qualora ne sia accertata anche per presunzioni la conformità all’originale, ha esposto delle considerazioni presuntive basate sulla precedente autorizzazione assembleare, che peraltro non faceva riferimento alla garanzia per altre società rappresentate dallo stesso amministratore, e ha concluso sul punto dichiarando che nella fattispecie non vi era conflitto d’interessi.

Secondo la Cassazione, questa conclusione era svincolata dal ragionamento che la precedeva, vertente non già sull’accertamento diretto della sussistenza del conflitto d’interessi nell’amministratore delle due società, bensì sul valore probatorio della fotocopia di un documento, che dovrebbe dimostrare la verificazione dell’ipotesi regolata dall’art. 1395 c.c. (specifica autorizzazione del contratto con sè stesso); la Corte di appello non era pervenuta all’affermazione della sostanziale veridicità della fotocopia disconosciuta, sicchè di quel documento non poteva poi tener conto nel successivo giudizio sulla riconoscibilità del conflitto.

Il conflitto potenziale d’interessi tra le due società rappresentate dal medesimo amministratore era immanente al rilascio della fideiussione: pertanto la sua riconoscibilità sarebbe stata superata soltanto dall’esistenza di un’autorizzazione ex art. 1395 c.c. e ciò supponeva l’accertamento della veridicità della fotocopia della seconda deliberazione. La decisione impugnata si basava su un passaggio mancante ma indispensabile.

La sentenza impugnata è stata pertanto cassata, demandando al giudice del rinvio di accertare “se la fotocopia della deliberazione assembleare di Embassy s.r.l. in data 3 maggio 1996 sia conforme all’atto originale, e consenta pertanto di ritenere verificata l’ipotesi difensiva di autorizzazione dell’amministratore F.M. al rilascio di fideiussione a favore della F.M. Group s.r.l.”.

4. Riassunto il giudizio, la Corte bolognese, in sede di rinvio, con sentenza dell’8/9/2017, in integrale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo 302/2000, condannando per l’effetto la Banca Popolare Valconca a restituire a Embassy s.r.l. in liquidazione l’importo di Euro 1.656.005,70 oltre interessi dal 10/7/2006 al saldo, con il favore delle spese dell’intero giudizio.

3. Avverso la predetta sentenza dell’8/9/2017, con atto notificato il 18/12/2017 ha proposto ricorso per cassazione la Banca Popolare Valconca s.p.a., svolgendo cinque motivi.

Con atto notificato il 27/1/2018 ha proposto controricorso e Embassy s.r.l. in liquidazione chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Il 2/7/2019 Embassy ha chiesto sollecita fissazione di udienza in considerazione del tempo trascorso e della sospensione dell’esecutorietà della sentenza impugnata ex art. 373 c.p.c., da parte della Corte di appello di Bologna in data 23/3/2018.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte ritiene opportuna una premessa generale in ordine ai vincoli esercitati dalla sentenza di cassazione nel giudizio di rinvio che permetterà di orientarsi nell’esame dei singoli motivi proposti dalla ricorrente.

1.1. L’art. 384 c.p.c., primi due commi (nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 12) dispongono:

“La Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3), e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza.

La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto”.

Nel giudizio rescissorio di rinvio, conseguente alla pronuncia rescindente della Suprema Corte, il giudice del rinvio è vincolato non solo al principio di diritto enunciato dalla Cassazione in sede di accoglimento di un motivo proposto per violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero in caso di risoluzione di una questione di diritto di particolare importanza, ma anche a tutto quanto statuito dalla Corte.

Tale formulazione normativa risale alle innovazioni apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabili ai sensi dell’art. 27, comma 2, dello stesso decreto ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla sua data di entrata in vigore (2/3/2006).

1.2. Nel giudizio di rinvio, i limiti dei poteri attribuiti al giudice sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto solo ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nel caso, invece, di cassazione con rinvio per vizio di motivazione, da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge, il giudice è investito del potere di valutare liberamente i fatti già accertati ed anche d’indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi (Sez. 3, 06/07/2017, n. 16660; Sez. 2, 03/05/2017, n. 10736).

Quanto alla cassazione per violazione di norme di diritto, i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale (salvo solo il caso di giuridica inesistenza) o di constatato errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neppure alla stregua di arresti giurisprudenziali precedenti, contestuali o successivi della Corte di legittimità; mentre, nel caso di annullamento della sentenza per vizi di motivazione, il giudice di rinvio non può compiere un nuovo e diverso accertamento dei fatti che siano stati accertati definitivamente e sui quali si è fondata la sentenza di annullamento (Sez. 2, 03/01/2019, n. 10; Sez. 2, 29/10/2018, n. 27343; Sez. 3, 13/02/2013, n. 3544; Sez. 3, 04/04/2013, n. 8225).

Ciò vale anche in caso di cassazione con rinvio per vizio cosiddetto di sussunzione – il quale, attenendo alla qualificazione giuridica dei fatti materiali, rientra nell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 e ricorre sia quando il giudice riconduce questi ultimi ad una fattispecie astratta piuttosto che ad un’altra, sia quando si rifiuta di assumerli in qualunque fattispecie astratta, pur sussistendone una in cui potrebbero essere inquadrati – dispiega l’efficacia di principio di diritto l’affermazione dell’inidoneità del fatto accertato ad integrare l’ipotesi normativa individuata dal giudice di merito (Sez. 3, 31/05/2018, n. 13747).

In caso di cassazione con rinvio per vizi di motivazione il giudice del rinvio conserva tutti i poteri di indagine e di valutazione della prova e può compiere anche ulteriori accertamenti, purchè essi trovino giustificazione nella sentenza di annullamento con rinvio e nell’esigenza di colmare le lacune e le insufficienze da questa riscontrate. Detto principio, pertanto, non opera in ordine ai fatti che la sentenza di cassazione ha considerato come definitivamente accertati, per non essere investiti dall’impugnazione, nè in via principale nè in via incidentale, e sui quali la pronuncia di annullamento è stata fondata; in tal caso, un nuovo e diverso accertamento dei fatti deve ritenersi precluso nel giudizio di rinvio (Sez. Un. 16/12/2003, n. 19217; Sez. 1, 10/12/2018, n. 31901).

All’accoglimento del ricorso per cassazione per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia consegue che la corte del rinvio, quale nuovo giudice di merito, deve limitare il riesame dei fatti in ordine ai quali il rinvio è stato disposto alle sole circostanze attinenti ai punti decisivi indicati nella sentenza di cassazione, nonchè a quelle che risultino legate ad essi da un nesso di dipendenza logica (giusta il principio del ne bis in idem, applicabile anche all’annullamento di vizio di motivazione), valutando nuovamente quei punti della controversia ritenuti, nella sentenza di annullamento, potenzialmente idonei a giustificare una decisione diversa rispetto a quella annullata, salvo il suo potere di un nuovo apprezzamento complessivo della vicenda processuale, ma fermi, peraltro, i rilievi contenuti nella sentenza di cassazione in relazione alle statuizioni di appello cassate (Sez. 3, 20/04/2005, n. 8244); nel caso di annullamento della sentenza per vizi di motivazione, il giudice di rinvio non può tuttavia compiere un nuovo e diverso accertamento dei fatti che siano stati accertati definitivamente e sui quali si è fondata la sentenza di annullamento (Sez. 3, 06/03/2012, n. 3458) e, pur godendo di ampia libertà di apprezzamento, non può dissentire sulla decisività dei fatti indicati dalla Corte di Cassazione con riferimento sia al vecchio sia al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Sez. 1, 29/03/2019, n. 8971).

Il giudice del rinvio è però tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati. (Sez. 2, 14/11/2017, n. 26894)

Nel caso in cui la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso sia per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, sia per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, la potestas iudicandi del giudice del rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Sez. 1, 07/08/2014, n. 17790).

1.3. Nel caso di specie, come chiarisce la stessa ricorrente, il secondo e terzo motivo di ricorso di Embassy erano polivalenti, essendo rivolti sia a censurare la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1394,1395 e 1444 c.c. con il secondo, art. 1394 c.c. con il terzo), sia l’insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata.

Secondo la ricorrente, la sentenza n. 10109/2014 ha accolto il ricorso, quanto ai motivi secondo e terzo, esclusivamente per vizio motivazionale, essenzialmente per la vistosa cesura logica ravvisata nel ragionamento della Corte felsinea; questa infatti, dopo aver affermato, in linea generale, la possibilità della possibilità di utilizzare il documento prodotto in copia e disconosciuto nella sua conformità all’originale qualora ne sia accertata anche per presunzioni la conformità all’originale, aveva concluso sul punto escludendo nella fattispecie il conflitto d’interessi in forza della delibera autorizzativa del 30/5/1996, risultante dal documento prodotto in copia, senza dar adeguatamente conto delle ragioni che la inducevano a ritenere che la copia fosse conforme all’originale.

Tuttavia la sentenza della Corte di Cassazione ha inequivocabilmente ritenuto che la fattispecie (rilascio di fideiussione in qualità di legale rappresentate di una società a favore di altra società rappresentata dallo stesso soggetto e a favore della quale egli stesso ha rilasciato fideiussione personale) fosse sussumibile nell’ipotesi di contratto con sè stesso ex art. 1395 c.c..

La Cassazione ha infatti affermato: “Questa conclusione è svincolata dal ragionamento che la precede, e che verte non già sull’accertamento diretto della sussistenza del conflitto d’interesse nell’amministratore delle due società, bensì sul valore probatorio della fotocopia di un documento, che dovrebbe dimostrare la verificazione dell’ipotesi regolata dall’art. 1395 c.c. (specifica autorizzazione del contratto con se stesso). A parte dunque l’ambiguità del giudizio, che esclude il conflitto d’interesse senza far riferimento all’art. 1395 c.c., resta che la corte territoriale non è pervenuta all’affermazione della sostanziale veridicità della fotocopia disconosciuta, sicchè di quel documento non poteva poi tener conto nel successivo giudizio sulla riconoscibilità del conflitto”.

Soprattutto, poco dopo, la Corte ha osservato espressamente che “Nell’ipotesi considerata, il conflitto potenziale d’interessi tra le due società rappresentate dal medesimo amministratore era immanente al rilascio della fideiussione, sicchè la sua riconoscibilità sarebbe stata superata soltanto dall’esistenza di un’autorizzazione ex art. 1395 c.c., e ciò supponeva l’accertamento della veridicità della fotocopia della seconda deliberazione. La decisione impugnata si basa dunque su un passaggio mancante ma indispensabile, e la censura di vizio di motivazione su un punto decisivo è fondata”.

E’ evidente quindi che la sentenza di annullamento è partita dal presupposto che la fattispecie configurasse il caso di conflitto di interessi tipizzato e presunto ex lege di cui all’art. 1395 c.c., superabile solo dal rilascio di una espressa autorizzazione da parte del rappresentato.

Tant’è che la Corte ha demandato al giudice del rinvio di accertare se la fotocopia della deliberazione assembleare di Embassy s.r.l. in data 3/5/1996 fosse conforme all’atto originale, e consentisse pertanto di ritenere verificata l’ipotesi difensiva di autorizzazione dell’amministratore F.M. al rilascio di fideiussione a favore della F.M. Group s.r.l..

2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e art. 394 c.p.c. perchè la Corte di appello si è dichiarata vincolata alla sentenza n. 10109 del 2014 della Corte di Cassazione che aveva accolto il ricorso per vizio di motivazione, sicchè non vi era vincolo al principio di diritto e il giudice del rinvio avrebbe potuto valutare liberamente i fatti già accertati con poteri sostitutivi.

Il motivo non è fondato, alla luce di quanto esposto nel paragrafo precedente: la Corte di Cassazione ha censurato la sentenza per vizio di motivazione, ma ha anche vincolato il giudice del rinvio con la configurazione della fattispecie in termini di contratto con sè stesso, ritenendo necessaria una specifica autorizzazione ex art. 1395 c.c. e rimettendo al giudice del rinvio esclusivamente il compito di accertarne la sussistenza effettiva.

Giova ricordare che il giudice del rinvio deve uniformarsi comunque a tutto quanto statuito dalla Corte e non solo al formale principio di diritto da essa enunciato.

3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1395 c.c. perchè la fattispecie non concerneva un contratto con sè stesso ma un contratto con un terzo, ossia con la Banca senza che a ciò ostasse il fatto che l’amministratore unico della fideiubente (ossia F.M.) fosse anche il legale rappresentante della debitrice garantita, che non era parte del contratto di fideiussione.

Fuori dall’ambito dell’art. 1395 c.c., il conflitto di interessi non era presunto ma doveva essere dimostrato.

Con il terzo motivo di ricorso, correlato al precedente, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1394 c.c., perchè il giudice del rinvio l’aveva implicitamente escluso ritenendo applicabile l’art. 1395 c.c..

Ciò aveva indotto la Corte felsinea a ritenere indispensabile la specifica autorizzazione del rappresentato, per presumere la situazione di conflitto di interessi e per non vagliare il presupposto della conoscibilità del conflitto da parte della Banca.

Le censure così articolate con i connessi motivi appaiono inammissibili perchè volte a contrastare quanto statuito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia rescindente, a cui la Corte bolognese si è scrupolosamente attenuta, ribadendo che la sussistenza del conflitto di interessi fra le due società era stata dichiarata dalla Corte di Cassazione (pag. 8,secondo capoverso).

4. Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1394 c.c. nonchè degli artt. 1175 e 1337 c.c., quali norme fondanti il principio dell’affidamento incolpevole, perchè la Corte di appello avrebbe dovuto accertare la non riconoscibilità del conflitto indipendentemente dalla non conformità all’originale della delibera assemblare del 30/5/1996.

La Banca infatti aveva a sue mani un documento apparentemente regolare recante la stampigliatura di un sigillo notarile, che appariva estratto da un libro giornale regolarmente tenuto ed era stato allegato a una lettera della Embassy su carta intestata; inoltre il contenuto della missiva era coerente con il testo della delibera.

Il motivo è inammissibile perchè non tiene conto della ratio decidendi della sentenza impugnata, che non si è affatto sottratta a tale valutazione, e appare volto a censurare l’apprezzamento in fatto del giudice del merito circa il contenuto dell’onere di diligenza incombente sulla Banca.

A pagina 8 la Corte di appello infatti afferma che anche alla luce dell’importanza che l’autorizzazione rivestiva, la Banca mai avrebbe potuto accontentarsi di una semplice fotocopia di una delibera assembleare, di pessima qualità riproduttiva e recante un timbro circolare non del tutto identificabile, senza richiedere una copia autentica della delibera o un estratto autentico del libro dei verbali delle assemblee.

5. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2624 c.c. e art. 324,384 e 394 c.p.c., avendo la Corte di appello, sia pur a livello di mera argomentazione suppletiva, rilevato la nullità della fideiussione per violazione dell’art. 2624 c.c., nonostante sul punto fosse già intervenuta la sentenza di rigetto della Cassazione e quindi il giudicato.

Il motivo è inammissibile, perchè quanto esposto a pagina 9 della sentenza impugnata rappresenta un mero obiter dictum, esposto palesemente ad abundantiam, come dimostra l’affermazione di pag. 9 “…se si considerasse conforme la copia della delibera del 30 maggio 1996 all’originale, cosa che, come si è visto, è priva di qualsivoglia riscontro…”.

Del resto la Corte di Bologna si è pronunciata solo sull’invalidità della fideiussione per mancanza della necessaria specifica autorizzazione e non ne ha dichiarato la nullità ex art. 1418 e 2624 c.c..

6. Il ricorso deve essere complessivamente rigettato e la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese in favore della controricorrente, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 15.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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