Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10997 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 26/04/2021), n.10997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32368-2018 proposto da:

PRELIOS INTEGRA S.P.A., (già PRELIOS PROPERTY & PROJECT

MANAGEMENT S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 15,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, rappresentata e

difesa dagli avvocati CESARE POZZOLI, ANGELO GIUSEPPE CHIELLO;

– ricorrente –

contro

R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO MARIA MONTALDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1826/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/05/2018 R.G.N. 4620/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per: l’inammissibilità per

la cessata materia;

udito l’Avvocato ANIELLO IZZO per delega verbale Avvocato NICOLA

PAGNOTTA;

udito l’Avvocato ENRICO LUBERTO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 9/5/2018 confermava la pronunzia del giudice di prima istanza che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento intimato dalla Prelios Property & Project Managment s.p.a. nei confronti di R.C. ex L. n. 223 del 1991, applicando gli effetti reintegratori e risarcitori connessi alla violazione dell’art. 5 del compendio normativo citato.

Il giudice del gravame, nel pervenire a tale convincimento, per quanto ancora qui rileva, rimarcava innanzitutto l’insussistenza dei presupposti sanciti dall’art. 295 c.p.c. per la sospensione del giudizio richiesta dalla società, in attesa di definizione di quello pregiudiziale attinente alla legittimità della -cessione di ramo d’azienda intervenuta fra Telecom Italia s.p.a. e la società appellante.

Premesso che la riduzione di personale deve, in linea generale, investire l’intero complesso aziendale, la Corte distrettuale condivideva il giudizio espresso dal Tribunale in ordine alla violazione da parte datoriale, dei criteri di scelta applicati per la selezione del personale oggetto della procedura di licenziamento, osservando in estrema sintesi: che il datore di lavoro aveva indicato il settore amministrativo come quello al quale apparteneva una categoria di dipendenti da licenziare integralmente; che, tuttavia, dalla istruttoria svolta non era affatto emerso che tutti gli addetti alla gestione amministrativa (fra i quali era ricompresa R.C.) erano destinati alla messa in mobilità; che “le unità individuate” ai fini della espulsione. dal ciclo produttivo non erano quelle alle quali era stato assegnato il punteggio più basso; che pertanto le scelte aziendali operate in danno della lavoratrice non erano, quindi, sorrette da valida motivazione.

Avverso tale decisione la società soccombente interpone ricorso per cassazione sostenuto da due motivi ai quali oppone difese la lavoratrice con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 295 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e violazione degli artt. 282 e 295 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sulla premessa che antecedente logico-giuridico rispetto alla controversia avente ad oggetto la procedura di riduzione del personale avviata dalla società ricorrente, era il precedente giudizio attinente alla legittimità della cessione da parte della Telecom s.p.a. del ramo d’azienda cui apparteneva la lavoratrice, ci si duole che la Corte di merito non abbia disposto la sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c..

Si osserva che nella specie ricorrono tutti i presupposti per l’applicabilità della disposizione sussistendo il rapporto di pregiudizialità logico-giuridica fra i due giudizi e l’identità delle parti.

2. Il motivo non è fondato.

Occorre premettere che secondo l’insegnamento di questa Corte, la mancata sospensione del giudizio, nei casi in cui se ne assume la necessarietà, integra un vizio della decisione, astrattamente idoneo ad inficiare la successiva pronuncia di merito; essa, traducendosi nella violazione di una norma processuale, ricade nella previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ed è quindi deducibile con il ricorso per cassazione avverso la sentenza che contenga eventuali provvedimenti sulla sospensione, ovvero ribadisca o modifichi precedenti ordinanze adottate in materia nella fase dell’istruzione della causa (vedi. Cass. 22/4/2013 n. 9714, Cass. 1/8/2007 n. 16992, Cass. 7/7/2001, n. 9261, Cass. 7/4/2000, n. 4349).

E’ stato altresì affermato che la sospensione necessaria del processo, a norma dell’art. 295 c.p.c., presuppone non soltanto che tra due giudizi sussista un rapporto di pregiudizialità giuridica, nel senso che la situazione sostanziale che costituisce oggetto di uno di essi rappresenti fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di quella che costituisce oggetto dell’altro, ma anche che, per legge o per esplicita domanda di una delle parti, la questione pregiudiziale debba essere definita con efficacia di giudicato (vedi Cass.22/11/2006 n. 24859, Cass. 11/2/2003 n. 2048).

Sul problema della sospensione, questa Corte, con orientamento costante, ha inoltre statuito che quando tra due giudizi esiste un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante è stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato è possibile solo ai sensi dell’art. 337 c.p.c. e non opera la sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c., limitata ai casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato come ad esempio nel caso previsto dall’art. 75 c.p.p., comma 3, (vedi Cass. Ord. n. 17936 del 2018; Cass. n. 26251 del 2017; Cass. n. 4442 del 2017; Cass. n. 13823 del 2016; Cass. n. 6207 del 2014; Cass. n. 21505 del 2013; Cass., S.U. n. 10027 del 2012).

3. E’ bene inoltre ricordare che, secondo un insegnamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il trasferimento del medesimo rapporto si determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), l’originario rapporto di lavoro con la cedente non si trasferisce e se ne instaura un altro in via di fatto con il destinatario della cessione e le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sull’altro rapporto lavorativo ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (cfr. da ultimo Cass. 7/8/2019 n. 21161Cass. 28/2/2019 n. 5998).

Accanto al rapporto di lavoro quiescente con l’originaria impresa cedente, ripristinato de iure con la declaratoria giudiziale di invalidità del trasferimento, vi è una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro in via di fatto.

– Tale- distinto rapporto di lavoro, che non è la mera prosecuzione del precedente, è comunque produttivo di effetti giuridici e quindi di obblighi in capo al soggetto che in concreto utilizza la prestazione lavorativa del ceduto nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale.

In tal senso il passaggio in giudicato della sentenza ton la quale era stata dichiarata la nullità della cessione del ramo d’azienda-cui era assegnata la predetta lavoratrice a Pirelli & c. Real Estate Property Management oggi Prelios Integra s.p.a. – intervenuto a seguito della pronuncia n. 29993 del 20/11/2018 – deve ritenersi non dispieghi specifici effetti sull’attuale giudizio, stante la autonomia dei rapporti desumibile dai richiamati arresti.

Alla luce delle esposte considerazioni, devono ritenersi corretti gli approdi – ai quali è pervenuta la Corte di merito che si è attenuta ai summenzionati principi, e la cui statuizione resiste, pertanto, alla censura all’esame.

4. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c. nonchè della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5.

Ci si duole che la Corte di merito non abbia fatto buon governo dei principi sanciti dalle disposizioni civilistiche richiamate in tema di interpretazione degli atti negoziali, applicabili anche agli atti unilaterali, non avendo tenuto conto della circostanza che nella graduatoria allegata alla comunicazione ex art. 4, comma 9, così come nella comunicazione finale della procedura, il novero dei lavoratori da collocare in mobilità era stato ripartito per i singoli settori ove erano state riscontrate le eccedenze con indicazione del punteggio loro assegnato secondo l’ordine dal più basso al più alto.

Se la Corte si fosse attenuta ai principi enunciati dalla giurisprudenza di ò legittimità in tema di ermeneutica, avrebbe realizzato che i lavoratori licenziati erano effettivamente quelli che avevano riportato il punteggio più basso.

5. Il motivo va disatteso per le ragioni di seguito esposte.

Non può innanzitutto trascurarsi il rilievo del difetto di specificità che connota il motivo, privo di una riproduzione della graduatoria stilata, concernente i lavoratori da espungere dal ciclo produttivo.

Ed invero, secondo l’insegnamento di questa Corte, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente can il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex multis, vedi Cass. 13/11/2018 n. 29093).

Detto principio è infatti volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione, sicchè il ricorrente ha l’onere di ò operare una chiara esposizione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche suda base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass. 4/10/2018 n. 24340).

Sotto altro versante, non può sottacersi che la doglianza non appare idonea ad inficiare i corretti principi di diritto enunciati sul tema dal giudice del gravame.

Questi ha infatti avuto modo di rimarcare che i profili professionali da prendere in considerazione nel caso di procedura di riduzione del personale ex L. n. 223 del 1991 sono quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati alla mobilità sicchè la riduzione di personale deve in linea generale investire l’intero complesso aziendale; così ha mostrato di conoscere e condividere i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità alla cui stregua il doppio richiamo operato dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, comporta che la riduzione del personale deve, in linea generale, investire l’intero ambito aziendale, potendo essere limitato a specifici rami d’azienda soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre.

Ne consegue che il riferimento al “personale abitualmente impiegato”, aggiunto all’originario testo della L. n. 223, art. 4, comma 3 dal D.Lgs. n. 151 del 1997, comporta che i profili professionali da prendere in considerazione sono quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati (in negativo) alla mobilità, tra i quali potrà, all’esito della procedura, operarsi la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità. La dimostrazione della ricorrenza delle specifiche professionalità o comunque delle situazioni oggettive che rendano impraticabile qualunque comparazione, costituisce onere probatorio a carico del datore di lavoro (vedi ex aliis, Cass. 28/10/2009 n. 22825).

Si è anche specificato, con riguardo alla definizione del perimetro entro il quale tale onere va dispiegato, che la parte datoriale non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti al reparto o settore cui si riferisca il progetto di ristrutturazione aziendale, se essi siano idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (in termini, vedi Cass. 12/1/2015 n. 203, cui adde Cass. 1/8/2017 n. 19105).

Deve in definitiva concludersi che la Corte ha correttamente sussunto la fattispecie concreta nell’ambito delle disposizioni normative di riferimento secondo l’interpretazione resa in sede di legittimità ed ha congruamente interpretato l’atto (graduatoria del personale da licenziare) alla luce degli enunciati principi, affermando che il personale ritenuto in esubero non era quello cui era stato attribuito il punteggio più basso e che la società non aveva validamente provveduto, secondo l’onere sulla stessa gravante, ad esplicare i criteri di scelta adottati.

Le sinora esposte considerazioni inducono, quindi, al ‘rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte – del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrentè al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte deli, ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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