Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10997 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. I, 06/05/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 06/05/2010), n.10997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25177/2004 proposto da:

L.L.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, P.LE PORTA PIA 121, presso l’avvocato NAVARRA

Giancarlo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VACCARELLA LUCREZIA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CANOSA DI PUGLIA;

– intimato –

sul ricorso 1400/2005 proposto da:

COMUNE DI CANOSA DI PUGLIA (c.f. e P.I. (OMISSIS)), in persona

del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso l’avvocato PORCELLUZZI DOMENICO (STUDIO Avv.

PANARITI BENITO), che lo rappresenta e difende, giusta procura a

margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

L.L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE PORTA

PIA 121, presso l’avvocato NAVARRA GIANCARLO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato VACCARELLA LUCREZIA, giusta procura

in calce al ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 243/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 31/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale assorbito il ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione dell’8 maggio 1997, L.L.G., titolare dell’omonima impresa individuale, convenne dinanzi al Tribunale di Trani il Comune di Canosa di Puglia, esponendo che: a) in data 24 novembre 1992, aveva stipulato con il Comune convenuto, verso il corrispettivo di L. 150.000.000, contratto di appalto avente ad oggetto i lavori di manutenzione dei parchi e dei giardini comunali, da eseguirsi entro sei mesi dalla consegna dei lavori, avvenuta in data (OMISSIS); b) in data (OMISSIS), gli era stata comunicata dal Comune la sospensione dei lavori, a causa della necessità di redigere perizia di variante per la realizzazione della pavimentazione dei viali; c) dopo la disposta sospensione dei lavori, questi non erano stati più ripresi.

Tanto esposto, l’attore chiese che, previa dichiarazione di risoluzione del contratto di appalto per inadempimento del Comune committente, questo fosse condannato a pagargli la somma di L. 20.000.000, a titolo di corrispettivo dei lavori eseguiti fino alla sospensione, oltre al risarcimento dei danni.

Costituitosi, il Comune, nel chiedere la reiezione della domanda, dedusse che la sospensione dei lavori era stata concordata tra le parti e che la mancata ripresa dei lavori era addebitabile esclusivamente al L., il quale non aveva dato seguito al telegramma del Comune in data 10 settembre 1993, con il quale lo si invitava al proseguimento dei lavori, e spiegò domanda riconvenzionale di risoluzione dell’appalto per inadempimento dell’appaltatore con conseguente condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di L. 100.000, per ogni giorno di ritardo a far data dal 15 settembre 1993, a titolo di penale contrattuale.

Il Tribunale adito, con la sentenza n. 510/01 del 4 aprile 2001, respinse la domanda principale e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò il L. al pagamento della somma di L. 14.000.000, oltre interessi.

2. – Avverso tale sentenza il L. interpose appello dinanzi alla Corte d’Appello di Bari, sostenendo che i Giudici di primo grado: 1) erano incorsi in gravi contraddizioni ed inoltre non avevano statuito alcunchè sulla richiesta risoluzione del contratto; 2) non avevano considerato che il telegramma del 10 settembre 1993 era illegittimo, perchè non rispondente, nè formalmente nè sostanzialmente, alla disciplina di cui al regio decreto 25 maggio 1895, n. 350, regolante il contratto d’appalto de quo; 3) avevano omesso di pronunciare sulla domanda di pagamento della somma di L. 20.000.000, per i lavori eseguiti fino alla sospensione; 4) avevano illegittimamente respinto le richieste istruttorie, formulate al fine di istruire compiutamente la causa.

La Corte adita – in contraddittorio con il Comune, che resistette al gravame -, con la sentenza n. 234/04 del 31 marzo 2004, respinse l’appello.

In particolare, la Corte ha osservato che: a) il L. non aveva specificato le ragioni per le quali, dopo la ricezione del telegramma del 10 settembre 1993, non aveva ripreso i lavori; b) l’eccezione sollevata, dall’appellante – secondo cui il telegramma non costituiva atto, nè formalmente nè sostanzialmente, idoneo a consentire la ripresa dei lavori – era inammissibile perchè nuova, senza contare che, in ogni caso, il L., ricevuto il telegramma, avrebbe dovuto attivarsi per contattare il Comune circa le formalità necessarie per detta ripresa dei lavori, con la conseguenza che – come esattamente rilevato dal Tribunale – poteva affermarsi che l’appellante aveva deliberatamente omesso di proseguire i lavori in ragione della ritenuta insufficienza del corrispettivo originariamente pattuito; c) contrariamente a quanto denunciato dall’appellante, il Tribunale aveva pronunciato – implicitamente nella motivazione ed esplicitamente nel dispositivo – sulla risoluzione del contratto e sulla addebitabilità della stessa al L.; d) le richieste istruttorie erano inammissibili, sia perchè genericamente richieste con l’atto di appello, sia perchè formulate altrettanto genericamente nel giudizio di primo grado; e) la valutazione degli esaminati motivi d’appello rendeva “superfluo l’esame degli ulteriori motivi di gravame”.

3. – Avverso tale sentenza L.L.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura illustrati con memoria.

Resiste, con controricorso, il Comune di Canosa di Puglia, il quale ha anche spiegato ricorso incidentale condizionato sulla base di un unico motivo, cui resiste, con controricorso, il ricorrente principale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, i ricorsi principale (n. 25177 del 2004) ed incidentale (n. 1400 del 2005) debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti contro la stessa sentenza.

2. – Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dal Comune resistente, il quale deduce che tale ricorso gli sarebbe stato intempestivamente notificato in data 26 novembre 2004, a fronte della notificazione della sentenza impugnata, eseguita in data 12 agosto 2004.

L’eccezione non è fondata.

Ad istanza del difensore del Comune di Canosa di Puglia, la sentenza impugnata è stata notificata – in forma esecutiva, a mezzo del servizio postale, in data 12 agosto 2004 – personalmente a L. L.G. presso il suo domicilio di (OMISSIS), ed è quindi inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione di cui all’art. 325 cod. proc. civ., comma 2; ciò conformemente al costante orientamento di questa Corte, secondo cui la notificazione della sentenza che venga effettuata, anzichè al procuratore costituito, secondo la previsione degli artt. 285 e 170 cod. proc. civ., alla controparte personalmente in forma esecutiva, è inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione nei confronti sia della parte notificata, sia della parte notificante (cfr., ex plurimis, le sentenza nn. 437 e 15389 del 2007, 8071 e 20684 del 2009).

Esclusa l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 325 cod. proc. civ., comma 2, va rilevato che il ricorso principale è stato tempestivamente notificato, ai sensi dell’art. 327 cod. proc. civ., comma 1: la sentenza impugnata, infatti, è stata pubblicata in data 31 marzo 2004, ed il ricorso principale è stato notificato 26 novembre 2004.

3. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione del R.D. 25 maggio 1895, art. 22, carenza, illogicità, insufficienza della motivazione – art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) hanno travisato il motivo di gravame concernente l’insufficienza del telegramma del 10 settembre 1993 di invito alla ripresa dei lavori, in quanto egli aveva fatto riferimento alla disciplina di cui al R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 22; b) hanno erroneamente affermato che l’appaltatore avrebbe avuto l’obbligo di attivarsi per chiarire, in contraddittorio con il Comune, i dubbi circa la ripresa dei lavori, in quanto nessuna norma prevede un obbligo siffatto; c) hanno del tutto omesso di considerare e di valutare se, comunque, il Comune avesse adempiuto gli obblighi sullo stesso gravanti e, in particolare, se la perizia di variante fosse stata effettivamente predisposta; d) non hanno valutato comparativamente i rispettivi comportamenti delle parti, al fine di decidere sulla addebitabilità dell’inadempimento.

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 163 c.p.c.; insufficiente e carente motivazione art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) non hanno pronunciato o, comunque, hanno omesso di motivare sul motivo di gravame concernente l’omessa dichiarazione di risoluzione del contratto da parte dei Giudici di primo grado, motivo volto ad ottenere adeguata motivazione circa l’affermato inadempimento dello stesso ricorrente; b) hanno erroneamente dichiarato inammissibili le richieste istruttorie ribadite nell’atto di appello con lo specifico richiamo agli altrettanto specifici atti difensivi del giudizio di primo grado.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa pronuncia – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello hanno omesso di pronunciare sulla domanda di condanna del Comune committente al pagamento dei lavori eseguiti dall’appaltatore fino alla data del provvedimento di sospensione dei lavori.

4. – Con l’unico motivo (con cui deduce: “Violazione degli artt. 342 e 345 c.p.c., in relazione ai motivi di appello ed alle nuove prove richieste in fase di gravame. Violazione dell’art. 2697 c.c.”), il ricorrente incidentale – subordinatamente all’accoglimento del ricorso principale in punto addebitabilità della risoluzione al comportamento colpevole del Comune – critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello avrebbero dovuto dichiarare inammissibile il gravame sia per carenza di specificità dei motivi, sia perchè, nelle conclusioni definitive del giudizio di primo grado, non aveva riproposto le istanze istruttorie, sia perchè, nel merito, non aveva dato alcuna prova circa il quantum della domanda risarcitoria.

5. – Va preliminarmente esaminato il primo profilo del motivo del ricorso incidentale del Comune di Canosa di Puglia, con il quale si denuncia, in sostanza, l’omessa pronuncia della Corte di Bari sull’eccezione di inammissibilità dell’appello del L., per genericità dei motivi di impugnazione.

Trattandosi di questione rilevabile d’ufficio da parte del giudice dell’appello (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 16 del 2000, pronunciata a sezioni unite, e n. 12218 del 2003) – posto, da un lato, che il Comune di Canosa ha sollevato tale eccezione con la comparsa di costituzione e risposta, e, dall’altro, che la Corte di Bari non ha pronunciato, nè esplicitamente nè implicitamente, su di essa -, la natura esplicitamente condizionata anche di tale profilo del motivo di ricorso incidentale non esime il Collegio dal relativo esame (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 5456 del 2009, pronunciata a sezioni unite).

Dall’esame diretto dell’atto di appello, consentito a questa Corte (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 806 del 2009), è agevole rilevare la più che sufficiente specificità dei motivi di impugnazione, con i quali si criticava la sentenza impugnata, con il sostenere che i Giudici di primo grado: a) erano incorsi in gravi contraddizioni ed inoltre non avevano statuito alcunchè sulla richiesta risoluzione del contratto; b) non avevano considerato che il telegramma del 10 settembre 1993 era illegittimo, perchè non rispondente, nè formalmente nè sostanzialmente, alla disciplina di cui al R.D. 25 maggio 1895, n. 350, regolante il contratto d’appalto de quo; c) avevano omesso di pronunciare sulla domanda di pagamento della somma di L. 20.000.000, per i lavori eseguiti fino alla sospensione; d) avevano illegittimamente respinto le richieste istruttorie, formulate al fine di istruire compiutamente la causa.

Il profilo del motivo in esame deve essere, pertanto, respinto.

6. – I primi due motivi del ricorso principale non meritano accoglimento.

6.1. – Quanto al secondo motivo – da esaminare prioritariamente per evidenti ragioni di ordine logico-giuridico-, è sufficiente rilevare: in primo luogo, che -come già i Giudici di primo grado – così anche la Corte di Bari ha, esplicitamente e con adeguata motivazione, confermato l’addebito all’odierno ricorrente dell’inadempimento a base della dichiarata risoluzione del contratto di appalto, per aver lo stesso omesso – senza giustificati motivi – di riprendere i lavori oggetto dell’appalto pur dopo la ricezione del telegramma d’invito alla ripresa inviato dal Comune committente; in secondo luogo, che la censura concernente la reiezione del motivo d’appello sulle istanze istruttorie (istanza di ammissione della prova testimoniale respinta in primo grado) è, in questa sede, inammissibile, perchè priva di autosufficienza, avendo il ricorrente omesso di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti, con conseguente impossibilità di questa Corte di accertare il loro carattere decisivo nella prospettiva di soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 6440 del 2007).

6.2. – Quanto al primo motivo, le censure con esso svolte attengono alla dichiarazione di risoluzione del contratto d’appalto per inadempimento dell’odierno ricorrente, confermata dalla Corte di Bari.

Al riguardo, deve premettersi che costituiscono circostanze incontestate tra le parti quelle secondo cui la sospensione dei lavori, disposta dal Comune in data (OMISSIS), fu motivata dalla dichiarata (dallo stesso Comune) necessità di approvare una perizia di variante, secondo cui – a prescindere dalla approvazione o no di tale perizia di variante – il Comune invitò il L., con telegramma del 10 settembre 1993, alla ripresa dei lavori, e secondo cui tali lavori non furono mai più continuati.

Ciò premesso, la censura – per la quale detto telegramma non sarebbe atto idoneo, nè formalmente nè sostanzialmente, a fondare la responsabilità dell’odierno ricorrente per violazione dell’obbligo di ottemperarvi – è infondata.

Quanto al profilo formale, infatti, è stato affermato il principio, condiviso dal Collegio, che la ratio ed il conseguente limite di applicabilità del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16 – il quale prevede che della ripresa dei lavori dopo la disposta sospensione debba essere redatto apposito processo verbale – sta nell’esigenza di certezza in ordine al computo dei termini di esecuzione delle opere, con la conseguenza che la mancata redazione di detto verbale – come non fa venir meno l’onere, la cui osservanza è stabilita a pena di decadenza, di iscrizione tempestiva delle riserve da parte dell’appaltatore che intenda far valere nei confronti dell’amministrazione il diritto ai maggiori compensi o alla reintegrazione dei pregiudizi derivanti dalla sospensione, avendo quest’ultimo comunque la possibilità di esplicare dette riserve nel registro di contabilità (cfr. le sentenze nn. 29494 del 2008 e 12203 del 2001) – così non esime lo stesso appaltatore dall’obbligo di continuare i lavori dopo la sospensione, quando, come nella specie, non sia contestata la legittimità della sospensione ed il committente abbia disposto la ripresa dei lavori medesimi con idoneo mezzo di comunicazione, qual è certamente un telegramma incontestatamente pervenuto nella sfera di conoscibilità dell’altro contraente (v. anche il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30, comma 1).

Quanto al profilo sostanziale, poi, la Corte di Bari ha fondato la conferma della risoluzione del contratto per inadempimento dell’odierno ricorrente sul rilievo decisivo – ai fini dell’individuazione del contraente inadempiente – che il L. non aveva specificato le ragioni per le quali, dopo la ricezione del telegramma del 10 settembre 1993, non aveva ripreso i lavori. A ben vedere, il ricorrente non censura specificamente tale motivazione, nè adduce argomenti pertinenti per contestarla, limitandosi invece a criticare la sentenza impugnata, laddove i Giudici dell’appello avrebbero omesso di valutare comparativamente i comportamenti delle parti ai fini dell’addebito della responsabilità della risoluzione;

valutazione comparativa, peraltro, che la Corte di Bari ha puntualmente operato, assolvendo da responsabilità il Comune sulla base della circostanza del legittimo invio del predetto telegramma.

7. – Il secondo profilo del motivo di ricorso incidentale resta assorbito dalla dichiarata inammissibilità della censura concernente le istanze istruttorie.

8. Il terzo motivo del ricorso principale merita, invece, accoglimento.

L’odierno ricorrente, fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ha chiesto che il Comune di Canosa di Puglia fosse condannato a pagargli la somma di L. 20.000.000, a titolo di corrispettivo dei lavori eseguiti fino alla sospensione, oltre al risarcimento dei danni.

La decisione su tale domanda del Tribunale di Trani ha formato oggetto di specifico motivo di impugnazione dinanzi alla Corte di Bari (cfr., supra, n. 5, lett. c), la quale, però, ha omesso di pronunciare esplicitamente su di esso, ritenendo – in modo del tutto generico – “superfluo l’esame degli ulteriori motivi di gravame”, senza considerare che la stessa domanda, così come prospettata, è distinta ed autonoma rispetto all’altra domanda di risoluzione del contratto di appalto per inadempimento del Comune di Canosa di Puglia.

L’accoglimento del motivo in esame, per omessa pronuncia dei Giudici a quibus, comporta l’annullamento della sentenza impugnata, in parte qua, ed il rinvio della relativa causa alla stessa Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, alla quale si rimette anche la pronuncia sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale;

rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

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