Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10996 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. I, 06/05/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 06/05/2010), n.10996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A. (c.f. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 88, presso

l’avvocato RECCHIA GIORGIO, rappresentati e difesi dall’avvocato

DELLA MORTE BARTOLOMEO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI AFRAGOLA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, L.RE FLAMINIO 46, presso

GREZ GIAN MARCO, rappresentato e difeso dagli avvocati LEMMO

GIANLUCA, CAPUNZO RAFFAELLO, giusta procura in calce al ricorso

notificato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2579/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/08/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. DI PALMA Salvatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 16 marzo 1996, C.V., + ALTRI OMESSI – questi ultimi quattro, quali eredi di C.O. – convennero dinanzi al Tribunale di Napoli il Comune di Afragola, esponendo che il Comune convenuto aveva occupato alcuni terreni di loro proprietà, irreversibilmente trasformati per la realizzazione di una strada pubblica e che erano scaduti i termini di occupazione legittima, chiedendo pertanto che il Comune fosse condannato alla restituzione delle aree occupate o, in subordine, a corrisponderne il valore venale ed a pagare l’indennità di occupazione legittima, nonchè a risarcire i danni per l’occupazione illegittima.

In contraddittorio con il Comune di Afragola – il quale resistette alle domande -, il Tribunale adito -esperita istruzione probatoria documentale, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio -, con la sentenza n. 4946/2001 del 30 marzo 2001, così decise: “… 1) in accoglimento della domanda di opposizione a indennità di esproprio proposta da C.V. + altri, condanna il Comune di Afragola… al pagamento diretto in favore di essi istanti della complessiva somma di L. 482.567.000 per i titoli già precisati, oltre gli interessi legali dalla materiale occupazione del bene e sino al soddisfo; 2) dichiara estranea alla procedura espropriativa la particella n. (OMISSIS)…”.

2. – Avverso tale sentenza il Comune di Afragola interpose appello dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli che – in contraddittorio con i predetti attori originari, i quali chiesero la reiezione del gravame -, con la sentenza n. 2579/2003 del 27 agosto 2003, in riforma della decisione impugnata, condannò il Comune convenuto al pagamento dell’indennità di espropriazione e delle indennità di occupazione legittima ed illegittima, riducendo le somme liquidate in primo grado.

In particolare, la Corte – dopo aver svolto numerose critiche sia alla relazione di consulenza tecnica d’ufficio sia alla sentenza impugnata relativamente alla qualificazione delle domande originarie ed alla competenza per materia del Tribunale, ed aver preso atto, tuttavia, che su tali questioni, in assenza di censure, si era formato il giudicato interno -, per quanto in questa sede ancora rileva, ha accolto il primo ed il terzo motivo d’appello del Comune.

A) Quanto al primo motivo d’appello – con il quale il Comune censurava la misura dell’indennità di espropriazione, liquidata dal Tribunale secondo il criterio di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis anzichè secondo quello di cui al comma 1 del medesimo articolo – i Giudici a quibus hanno tra l’altro accertato, in punto di fatto, che: a) il Comune di Afragola aveva occupato mq.

2069 dei terreni di proprietà degli attori, e cioè mq. 1952 della particella n. (OMISSIS) e mq. 117 della particella n. (OMISSIS); b) il decreto di espropriazione, rispetto all’area complessivamente occupata, aveva avuto ad oggetto una superficie più ridotta, pari a mq. 1708 della particella n. (OMISSIS), frazionati come particella n. (OMISSIS), ed a mq. 117 della particella n. (OMISSIS), frazionati come particella n. (OMISSIS); c) detto decreto di espropriazione aveva indicato come parte dell’area espropriata. la particella n. (OMISSIS), anzichè quella n. (OMISSIS).

Gli stessi Giudici hanno ritenuto, in punto di diritto, che: a) l’indicazione, contenuta nel decreto di esproprio, della particella n. (OMISSIS), anzichè di quella n. (OMISSIS), è frutto di errore materiale, emendabile dalla amministrazione espropriante o d’ufficio o su istanza di parte; b) la sussistenza di tale errore materiale si deduce dai concorrenti elementi di fatto che la superficie del suolo espropriato ed i confini dello stesso, indicati nel decreto di espropriazione, coincidono con quelli della particella n. (OMISSIS) e non hanno nulla in comune con la particella n. (OMISSIS), estesa mq.

2018 e non confinante con altre particelle che invece segnano i confini con la particella n. (OMISSIS), e che detto decreto di esproprio indica il numero di frazionamento da cui proviene la particella n. (OMISSIS), cioè la particella n. (OMISSIS); c) conseguentemente, dal momento che all’occupazione legittima dell’area di mq. 1708 ha fatto tempestivamente seguito il decreto di espropriazione per la medesima area, pur se con l’indicazione inesatta del numero di particella catastale, gli attori sono rimasti proprietari della particella n. (OMISSIS), di cui possono liberamente disporre; d) in via ulteriormente consequenziale, trattandosi di fattispecie concernente una legittima espropriazione e non già un’occupazione acquisitiva, a tale fattispecie va applicato il criterio di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1 e non già quello di cui al comma 1 bis del medesimo articolo, così come richiesto dal Comune con il primo motivo di appello.

B) Quanto al terzo motivo di appello – con il quale il Comune aveva censurato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva indennizzato gli attori per la perdita di valore dell’area residua occupata e non oggetto di espropriazione -, i Giudici a quibus hanno escluso la sussistenza della denunciata perdita di valore, sia perchè le potenzialità edificatorie dell’area erano rimaste invariate, sia perchè la stessa area, divenuta direttamente accessibile dalla realizzata strada pubblica, aveva anzi acquistato maggior valore.

3. – Avverso tale sentenza C.A., + ALTRI OMESSI -, hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo due motivi di censura.

Resiste, con controricorso, il Comune di Afragola.

4. – Ambedue le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deducono: “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto – Omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – Violazione dell’art. 211 c.p.c. – Ultrapetizione”), i ricorrenti sull’assunto che il Comune di Afragola, con il primo motivo d’appello, aveva censurato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva determinato l’indennità di espropriazione utilizzando il criterio di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1 bis anzichè quello di cui al comma 1 del medesimo articolo, tenuto conto che l’occupazione dell’area espropriata con il decreto del 18 settembre 1984 era durata dal 15 ottobre 1984 fino al 15 ottobre 1994 anche in forza dei provvedimenti legislativi di proroga succedutisi dal 1984 al 1991 – criticano la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che il decreto di espropriazione si riferiva alla particella n. (OMISSIS) anzichè a quella n. (OMISSIS), indicata per mero errore materiale, sostenendo che, così argomentando, i Giudici a quibus sarebbero incorsi nel vizio di extrapetizione, perchè il thema decidendum del giudizio d’appello era limitato al controllo della corretta applicazione dell’art. 5 bis, comma 1 e, in particolare, se sull’indennità di espropriazione spettasse o no la maggiorazione del dieci per cento; al riguardo sottolineano che: a) il Comune di Afragola non ha mai corretto il decreto di espropriazione, ®dimostrando così di non aver mai legittimamente espropriato la particella n. (OMISSIS) che aveva a suo tempo occupata”; b) i ricorrenti hanno perduto la proprietà della particella n. (OMISSIS), illegittimamente occupata, e della particella n. (OMISSIS) oggetto del decreto di esproprio, per cui, a seguito della sentenza impugnata, non hanno potuto nè commercializzare la particella n. (OMISSIS), nè ottenere il risarcimento del danno per la perdita della particella n. (OMISSIS), e neppure chiedere lo svincolo dell’indennità provvisoria di espropriazione versata dal Comune presso la Cassa depositi e prestiti, perchè l’indennità si riferisce alla particella formalmente espropriata n. (OMISSIS).

Con il secondo motivo (con cui deducono: “Altra violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), i ricorrenti criticano la sentenza impugnata, nella parte in cui ha negato la perdita di valore dell’area residua dopo l’espropriazione, denunciando la illogicità e la contraddittorietà della motivazione al riguardo.

2. – Quanto al primo motivo, va premesso che i Giudici a quibus – accertato che all’occupazione legittima dell’area di mq. 1708 ha fatto tempestivamente seguito il decreto di espropriazione per la medesima area – hanno affermato che, trattandosi di fattispecie concernente una legittima espropriazione e non già un’occupazione acquisitiva, a tale fattispecie va applicato il criterio di cui al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, e non già quello di cui al comma 1 bis del medesimo articolo – aggiunto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65 -, criterio poi concretamente applicato per determinare nella specie l’indennità di espropriazione dovuta. In tal modo giudicando, è evidente che la Corte di Napoli ha qualificato la domanda proposta dagli odierni ricorrenti siccome opposizione alla stima, qualificazione in ordine alla quale non è stata formulata alcuna puntuale censura, con la conseguenza che su di essa si è ormai formato il giudicato.

Ciò premesso, con il motivo in esame, i ricorrenti – al di là della formale rubricazione dello stesso motivo e del denunciato vizio di extrapetizione – si dolgono, in sostanza, della misura dell’indennità di espropriazione liquidata dai Giudici dell’appello, come emerge sia dalle puntuali censure di illegittimità della sentenza impugnata, sia dal rilievo che gli stessi ricorrenti, richiamando la disciplina di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1 bis – inapplicabile nella specie per la ritenuta definitiva qualificazione della domanda siccome di opposizione alla stima -, mostrano tuttavia di ritenere ingiusta ed illegittima la quantificazione della indennità di espropriazione concretamente liquidata.

Fatto sta che, nella specie, la Corte di Napoli, per determinare l’indennità di espropriazione, ha applicato il D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1 bis senza operare la riduzione del quaranta per cento, conformemente al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, allorchè la determinazione dell’indennità di espropriazione sia disciplinata dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis la riduzione del 40 per cento, prevista nel caso in cui non sia intervenuta la cessione volontaria, non si applica quando l’ente espropriante abbia trascurato di formulare l’offerta dell’indennità provvisoria, ovvero come accertato nella specie – l’abbia formulata in termini irrisori rispetto al valore del bene (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 12771 del 2007).

Pertanto, a fronte delle su richiamate censure, non v’è dubbio che la questione della determinazione dell’indennità di espropriazione è tuttora “aperta”. Conseguentemente, su di essa incide la sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2 sentenza che esplica effetti anche sul presente giudizio, pendente alla data della sua pubblicazione. Da tale rilievo discende che, pronunciando sul motivo in esame, la sentenza impugnata deve essere annullata, nella parte in cui determina l’indennità di espropriazione nella specie dovuta, con rinvio alla stessa Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, la quale dovrà procedere ad una nuova determinazione di detta indennità – incontestata essendo la natura edificatoria dell’area -, secondo il criterio del valore venale del bene espropriato.

3. – Il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.

I Giudici a quibus, nel negare ai ricorrenti l’indennità dagli stessi richiesta a titolo di perdita di valore della parte non espropriata dell’area, hanno escluso la sussistenza della denunciata perdita di valore, sia perchè le potenzialità edificatorie dell’area erano rimaste invariate, sia perchè la stessa area, divenuta direttamente accessibile dalla realizzata strada pubblica, aveva anzi acquistato maggior valore.

A fronte di tale specifica e puntuale motivazione, la censura formulata dai ricorrenti è estremamente generica e non appaiono supportate da specifiche argomentazioni neppure le critiche di contraddittorietà e di illogicità della sentenza.

4. – La pronuncia sulle spese del presente grado del giudizio è rimessa al giudice di rinvio.

PQM

Rigetta il secondo motivo del ricorso; pronunciando sul primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

 

 

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