Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10993 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 26/04/2021), n.10993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3357-2017 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAMERINO

15, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA VICINANZA,

rappresentato e difeso dall’avvocato BIAGIO CARTILLONE;

– ricorrente –

contro

KUEHNE+NAGEL S.R.L., CON UNICO SOCIO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA BAINSIZZA 10, presso lo studio degli avvocati ANNARITA

AMMIRATI e FRANCESCA COLELLI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1026/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/07/2016 R.G.N. 898/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’inammissibilità o

rigetto;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale Avvocato

ANNARITA AMMIRATI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 25 luglio 2016, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto da S.G. avverso la sentenza di primo grado, di condanna di Kuehne & Nagel s.r.l. al pagamento, in favore del primo a titolo di indennità di mancato preavviso, della somma di Euro 3.142,45, con rigetto nel resto della domanda del lavoratore di illegittimità del licenziamento intimatogli il 5 settembre 2011, in esito a procedura di mobilità (per la cessazione dell’attività presso il centro di distribuzione di Cornaredo, cui egli era addetto) e di conseguente tutela reintegratoria, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 nel testo applicabile ratione temporis.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva corretta, come già il Tribunale, la comunicazione di avvio della procedura per la puntuale indicazione della causa di eccedenza del personale, costituita dalla dismissione di tutte le attività produttive presso il suindicato centro di distribuzione a seguito del venir meno dell’unica commessa dalla cliente Carlsberg Horeca s.r.l., con corretta delimitazione dell’ambito aziendale di scelta del personale in esubero (tutti i dodici addetti); e così dei relativi profili professionali.

Essa escludeva poi l’esistenza di posizioni vacanti presso le altre sedi della società, in mancanza di specifica allegazione del lavoratore ed essendo i profili professionali dei nuovi assunti in esse (inquadrati come impiegati) incompatibili con quello del predetto (operaio di IV livello del CCNL Commercio, con mansioni di “addetto al magazzino”), salvo uno, assunto presso lo stabilimento di Torino: posizione per la quale egli non aveva però presentato richiesta di assegnazione, come previsto dall’accordo sindacale del 2 settembre 2011.

La Corte negava quindi la violazione del verbale di accordo, recante la previsione (non già di offerta a tutti i lavoratori della possibilità di opzione di prosecuzione del lavoro presso la sede di Torino, ma) di una valutazione datoriale di eventuale richiesta di trasferimento ivi del personale in esubero, mai presentata da S.G., che neppure aveva accettato l’offerta di assunzione di Sincro s.c.ar.l., (nuova appaltatrice della fornitura Carlsberg Horeca s.r.l.), d’accordo con questa, presso la sede di Settala (in provincia di Milano).

Ribadita l’assenza di alcun riferimento normativo per la doglianza del lavoratore di mancato ricorso datoriale alla CIGS prima dell’apertura della procedura di licenziamento collettivo, essa riteneva infine corretta l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nell’esclusivo centro di Cornaredo, per la cessazione ivi dell’attività.

Con atto notificato il 24 gennaio 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con dieci motivi, cui la società resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, per inversione dell’onere probatorio, posto, anzichè sulla società datrice nell’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (in cui rientrava, anche il licenziamento collettivo in quanto economico), sul lavoratore, laddove la Corte territoriale ha ritenuto non avere egli specificamente allegato l'(in)esistenza di posizioni vacanti presso altre sedi.

2. Con il secondo, egli deduce violazione degli artt. 2697 e 2709 c.c., L. n. 133 del 2008, art. 39, per avere la Corte territoriale tratto il convincimento dell’assenza di posizioni vacanti presso altre sedi” dal Libro Unico del Lavoro (L.U.L.), disattendendone il valore probatorio contro e non già in favore dell’imprenditore, come tutte le scritture e i libri delle imprese soggette a registrazione.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 210 c.p.c., per inidoneità dell’esibizione del Libro Unico del Lavoro alla consultazione effettiva, siccome avvenuta in forma digitale (circa seimila documenti da aprire uno alla volta), anzichè cartacea, con la conseguenza della sostanziale inosservanza dell’ordine di esibizione della Corte, sicchè “tamquam non esset”.

4. Con il quarto, egli deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto in discussione tra le parti, quale l’eccezione di fungibilità del lavoratore con i quindici nuovi dipendenti assunti (specificamente indicati) di livello corrispondente al suo (IV CCNL Commercio), in relazione ai diversi CCNL Trasporti (industria), Magazzini Generali, Metalmeccanici applicati dalla società datrice, mai prodotti in giudizio.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la qualifica di impiegati dei lavoratori assunti, sulla base del Libro Unico del Lavoro, prova inidonea per la ragione esposta (al secondo motivo), invece indicati dal lavoratore in posizioni compatibili con il proprio inquadramento.

6. Con il sesto, egli deduce violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, per l’erroneo assunto di incompatibilità (con quelle del ricorrente) del contenuto specialistico delle mansioni dei lavoratori indicati al precedente motivo, specificamente individuati dalla Corte milanese, senza alcuna attività istruttoria.

7. Con il settimo motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, per l’irrilevanza di una specifica contestazione (peraltro formulata nella memoria autorizzata del 9 giugno 2016) in merito ad una prova inidonea quale il L.U.L..

8. Con l’ottavo, egli deduce violazione o falsa applicazione del L. n. 604 del 1966, art. 1, per la mancata prova della possibilità di ricollocazione del lavoratore in altra posizione, in presenza di assunzioni a tempo determinato di personale destinato allo stabilimento di (OMISSIS), erroneamente ritenute irrilevanti dalla Corte territoriale; come pure in riferimento all’apertura di un nuovo stabilimento (oltre che ad (OMISSIS), anche) a (OMISSIS), non essendo stata dimostrata la successione di nuovi appalti, a giustificazione di dette aperture rispetto all’avvio della procedura di licenziamento collettivo; nè parimenti dimostrata l’affermata mancata accettazione dal lavoratore dell’offerta di assunzione di Sincro s.c.a.r.l. (nuova appaltatrice della fornitura Carlsberg Horeca s.r.l.), d’accordo con questa, presso il magazzino di (OMISSIS).

9. Essi, tutti congiuntamente esaminabili, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

10. In via preliminare, deve essere rilevata la frammentazione nei superiori plurimi motivi di un ragionamento probatorio complessivo, unitariamente svolto dalla Corte territoriale in esito ad una valutazione globale degli elementi probatori raccolti, pure adeguatamente argomentata (per le ragioni dal secondo capoverso di pg. 9 all’ultimo di pg. 10 della sentenza), non isolabili atomisticamente (Cass. 25 settembre 2013, n. 21909), come appunto nella disaggregazione del ricorrente, tanto meno potendo la parte rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dal giudice di merito, essendone preclusa in sede di legittimità la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404).

10.1. Deve poi essere ritenuto, in particolare, inammissibile il quarto motivo, relativo ad omesso esame, non tanto di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415), quanto di una valutazione giuridica, quale appunto la fungibilità o meno di mansioni (oggetto del qui censurato omesso esame), che è diversa da un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non ricomprendente questioni o argomentazioni che, inammissibilmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 6 settembre 2019, n. 22397); sicchè, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione (del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e così pure) di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476).

10.2. Non sono inoltre configurabili i vizi denunciati alla stregua (formalmente) di violazione di legge, comprensiva tanto dell’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851); trattandosi piuttosto di allegazioni di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 27 marzo 2019, n. 8593), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non ricorrenti nel caso di specie.

Tali doglianze si risolvono in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto del giudice di merito, con una sottesa sollecitazione alla rivisitazione del merito, indeferibile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 settembre 2019, n. 23308), tanto più in considerazione del ristretto ambito devolutivo individuato dal già citato novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

10.3. In particolare, non sussiste l’inversione denunciata a norma dell’art. 2697 c.c., ricorrente soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395): avendo la Corte territoriale compiuto un accertamento di incompatibilità dei profili professionali delle nuove assunzioni, effettuate dalla società datrice in unità diverse da quella di Cornarego (soppressa per cessazione di attività, nella quale esuberante tutto il personale di dodici addetti) con il profilo del lavoratore licenziato (per le ragioni illustrate dal secondo all’ultimo capoverso di pg. 9 della sentenza).

10.4. Quanto all’esibizione del L.U.L., deve essere disattesa la censura per i vizi infondatamente denunciati, non essendo prevista alcuna specifica forma per essa, posto che, nell’ordinarla il giudice indica con i provvedimenti opportuni anche il modo dell’esibizione (art. 210 c.p.p., comma 2), nè costituendone requisito giuridico la più agevole consultabilità della produzione: nel caso di specie, ritualmente avvenuta (secondo la constatazione della Corte ai primi due capoversi di pg. 5 della sentenza) e sottoposta al contraddittorio delle parti (come datone atto al secondo capoverso di pg. 5 della sentenza), avendo la Corte territoriale pure dato dell’assenza di alcuna contestazione in ordine alla sua regolarità da parte del lavoratore, che ora la prospetta genericamente (con il terzo motivo a pg. 8 del ricorso), in violazione della prescrizione di specificità posta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 6, a pena di inammissibilità, in specifico riferimento all’onere di trascrizione, quanto meno nella parte d’interesse, della memoria 9 giugno 2016 (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679), disatteso dal ricorrente.

10.5. Neppure ricorre una violazione del principio posto dall’art. 2709 c.c., secondo il quale i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione costituiscono prova contro l’imprenditore, perchè la parte che intenda trarne vantaggio non può scinderne il contenuto, dovendo le scritture stesse, una volta indicate ed esibite, essere valutate nella loro interezza, quale che sia la parte a cui favore o a cui carico depongono (Cass. 11 novembre 2005, n. 22896; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26874). E la Corte territoriale ha correttamente applicato il principio, posto che, una volta ordinata alla società datrice l’esibizione del L.U.L. (così al primo capoverso di pg. 5 della sentenza) su reiterazione della relativa istanza del lavoratore disattesa in primo grado (così al penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), ne ha valutato le risultanze, effettivamente deponenti per le nuove assunzioni della datrice, senza scinderne il contenuto dei profili professionali indicati dalle assunzioni ivi registrate.

10.6. La Corte milanese ha poi escluso la ricollocabilità del lavoratore in altra posizione, in presenza di assunzioni a tempo determinato di personale destinate allo stabilimento di (OMISSIS); verificato l’apertura, “non contestala dal lavoratore, di nuovi stabilimenti ad (OMISSIS) e a (OMISSIS) per nuovi appalti in epoca successiva alla procedura di licenziamento collettivo (così al quarto capoverso di pg. 10 della sentenza), la mancata accettazione dal lavoratore dell’offerta di assunzione di Sincro s.c.ar.l. (nuova appaltatrice della fornitura Carlsberg Horeca s.r.l.), d’accordo con questa, presso il magazzino di (OMISSIS) (all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza). E ciò in esito ad un accertamento, adeguatamente argomentato (per le ragioni illustrate dal quarto all’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza) e pertanto insindacabile in sede di legittimità.

11. Con il nono motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 1 e 4, per l’incompatibilità del licenziamento collettivo con l’apertura di nuovi stabilimenti, per avere la società datrice acquisito nuovi appalti, anzichè collocare i lavoratori in CIGS per poi impiegarli in essi.

12. Esso è inammissibile.

13. Il mezzo difetta di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845): non avendo il lavoratore confutato la puntuale, ancorchè succinta argomentazione della Corte territoriale (al primo periodo di pg. 11 della sentenza), sibbene meramente reiterato una contestazione già disattesa dalla stessa.

13.1. In ogni caso, una volta verificata l’effettività delle ragioni organizzative e produttive indicate nella comunicazione di avvio della procedura (illustrate dal penultimo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 6 della sentenza), neppure “controverse in causa sotto l’aspetto fattuale” (così al secondo capoverso di pg. 6 della sentenza), la scelta imprenditoriale non è sindacabile dal giudice, essendo il suo controllo volto (non già ai motivi specifici di riduzione del personale, ma) esclusivamente alla correttezza procedurale dell’operazione.

Sicchè non possono formare oggetto di cognizione giudiziaria tutte le censure a mezzo delle quali (senza che siano fatte valere violazioni della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 e comunque senza che sia offerta prova della dolosa elusione dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle stesse procedure di mobilità al fine di effettuare discriminazioni tra i lavoratori) si intenda investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sull’effettiva esigenza di riduzione o trasformazione dell’attività (Cass. 26 agosto 2013, n. 19576; Cass. 5 dicembre 2017, n. 29047).

14. Con il decimo motivo, il ricorrente deduce infine violazione o falsa/applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, per difetto di prova della corretta applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (erroneamente ritenuta dalla Corte territoriale sulla scorta dell’assunzione di corretta delimitazione della platea dei destinatari ai soli addetti al centro di Cornaredo), neppure indicati nella lettera di avvio della procedura.

15. A parte il suo difetto di specificità, in violazione della prescrizione posta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 6, a pena di inammissibilità, in specifico riferimento all’onere di trascrizione della lettera di avvio della procedura, oggetto della censura, che non consente al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 10 agosto 2017, n. 19985), esso è infondato.

16. In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 3 maggio 2011, n. 9711; Cass. 12 gennaio 2015, n. 203; Cass. 1 agosto 2017, n. 19105; Cass. 24 giugno 2019, n. 16834; tutte nel senso di illegittimità della scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative).

16.1. Ma nel caso di specie la prova della giustificazione di una tale limitazione della platea dei lavoratori è stata ritenuta, per la verificata impossibilità, per incompatibilità delle posizioni, di una diversa sistemazione del dipendente dell’unità soppressa (per le ragioni suindicate), non contraria a buona fede (Cass. 25 settembre 2018, n. 22672; Cass. 23 dicembre 2019, n. 34363).

17. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, con regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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