Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10993 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 09/06/2020), n.10993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2833/2014 proposto da:

T.M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato EMILIO SALVATO;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE FOGGIA, in persona del Commissario

Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANGELO EMO 56, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DELVINO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2044/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/07/2013, R.G.N. 1578/2011.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 3 luglio 2013 la Corte d’appello di Bari respinge l’appello proposto da T.M.R. avverso la sentenza n. 2802/2010 del Tribunale di Foggia, di rigetto della domanda della T. volta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto ad essere assunta dall’Amministrazione provinciale di Foggia asseritamente leso sia in sede di scorrimento della graduatoria di un concorso nel quale ella figurava tra gli idonei sia per effetto di numerose assunzioni cui aveva proceduto la P.A.;

che la Corte territoriale, con ampia motivazione cui si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., è pervenuta alla suindicata conclusione sul principale argomento secondo cui, premesso che è da escludere che la posizione soggettiva degli idonei allo scorrimento della graduatoria sia configurabile come diritto soggettivo, in ogni caso nella specie la ricorrente sarebbe rimasta comunque esclusa dall’assunzione in servizio perchè il posto cui aspirava non era inserito nel piano annuale e nel piano triennale del fabbisogno dell’Ente nella dotazione organica come rideterminata in applicazione della legge finanziaria per il 2003;

che avverso tale sentenza T.M.R. propone ricorso affidato a due motivi e illustrato da memoria, al quale oppone difese con controricorso l’Amministrazione provinciale di Foggia.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in due motivi;

che con il primo motivo si denunciano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, mancata osservanza della D.G.P. 21 marzo 2001, n. 184 e conseguente diritto soggettivo all’assunzione, sostenendosi che l’affermazione secondo cui il posto rivendicato dalla ricorrente non compariva nella dotazione organica rideterminata dell’Amministrazione provinciale e non era stato inserito nei piani annuali e triennali di fabbisogno dell’Ente sarebbe basata sull’erroneo presupposto di non tenere conto dell’obbligo della P.A. di esaurire la graduatoria in corso prima di indire nuove procedure concorsuali, come si desume dalla Deliberazione della Giunta Provinciale suindicata;

che, a prescindere dal mancato inserimento del posto nel piano di fabbisogno, la T. aveva acquisito il diritto soggettivo all’assunzione il 4 ottobre 2001, giorno in cui è divenuta esecutiva la D.G.P. 19 settembre 2001, n. 769, o, al più tardi, quando l’Amministrazione ha proceduto ad assumere personale attingendo a graduatorie non valide perchè approvate prima della revisione della dotazione organica, così manifestando la decisione di coprire dei posti in organico;

che con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme diritto e, in particolare, della L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 8 e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 91, comma 4, rilevandosi principalmente che la Corte d’appello non ha considerato che l’Amministrazione provinciale non ha comunicato alla ricorrente tutte le modifiche adottate in materia di personale che potevano produrre effetti negativi sul diritto all’assunzione della ricorrente, secondo quanto stabilito dai richiamati della L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 8;

che l’esame delle censure porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso per le seguenti plurime ragioni:

a) dal punto di vista della formulazione, è inammissibile il profilo di censura con il quale si prospettano vizi della motivazione, benchè tale tipo di vizi non costituiscano più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (Cass. 5 luglio 2016, n. 13641);

b) infatti, in base a tale ultima disposizione, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, quale risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, sicchè la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia meramente apparente, oppure sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207);

c) tali evenienze qui non si verificano, mentre nella sostanza le censure proposte come difetti di motivazione si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito al fine di escludere che la posizione soggettiva degli idonei allo scorrimento della graduatoria sia configurabile come diritto soggettivo;

d) inoltre, le censure risultano formulate senza l’osservanza – con riguardo agli atti richiamati in ricorso e, in particolare, alla D.G.P. 19 settembre 2001, n. 769 – del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

e) nel secondo motivo si denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 8, senza considerare che per costante orientamento di questa Corte, assurto al rango di “diritto vivente” nel rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubbliche Amministrazioni che, dopo la cosiddetta privatizzazione, è caratterizzato da una sostanziale parità tra le parti ed è regolato dalla Contrattazione collettiva di settore nonchè dal D.Lgs. n. 165 del 2001 (che ha sostituito il D.Lgs. n. 29 del 1993 e successive modificazioni), non può trovare applicazione la L. n. 241 del 1990, sui procedimenti amministrativi, che è diretta a regolare in via generale i procedimenti finalizzati alla emanazione di provvedimenti autoritativi da parte delle Pubbliche Amministrazioni (fra le tante: Cass. 28 luglio 2003, n. 11589; Cass. 22 febbraio 2006, n. 3880; Cass. 24 ottobre 2008, n. 25761; Cass. 22 agosto 2013, n. 19425; Cass. 6 agosto 2018, n. 20555);

f) la deduzione del vizio di violazione di legge, che consiste nella denuncia dell’erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), risulta inammissibile nell’ipotesi in cui la suddetta denuncia riguarda norme ictu oculi inapplicabili alla fattispecie considerata (di recente: Cass. 13 agosto 2019, n. 21377), come accade nel presente giudizio, per la L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 8;

g) infatti, il vizio di violazione di legge deve, per regola generale, essere “decisivo”, ossia tale da comportare, se sussistente, una decisione diversa, favorevole al ricorrente, ma l’invocazione di una norma inapplicabile esclude tale decisività della censura e, dunque, l’interesse a proporla (vedi, per tutte: Cass. 21 gennaio 2004, n. 886; Cass. 5 giugno 2007, n. 13184; Cass. 5 maggio 1995, n. 4923);

che, in sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza:

che di dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il relativo versamento risulti dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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