Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10992 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 26/04/2021), n.10992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 615-2017 proposto da:

ARTI GRAFICHE BOCCIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 22, presso lo

studio dell’avvocato GIULIO DI GIOIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati CARLO PISAPIA e ANTONIO DI MURO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 800/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 11/10/2016 R.G.N. 460/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 11 ottobre 2016, la Corte d’appello di Salerno dichiarava illegittimo e annullava il licenziamento, a seguito di procedura collettiva, intimato da Arti Grafiche Boccia s.p.a. a C.G. con decorrenza dal 30 novembre 2014, condannando la prima alla reintegrazione del secondo nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, nonchè al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, oltre interessi legali. Così essa riformava la sentenza di primo grado, che, in esito a procedimento con rito Fornero, aveva dichiarato legittimo il licenziamento.

In via preliminare, la Corte territoriale riteneva la facoltà datoriale di intimazione di un nuovo licenziamento, sulla base di diverse circostanze sopravvenute da sole idonee a giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro, pure in pendenza di impugnazione di un precedente licenziamento: per il porsi la questione sul piano (non già meramente formale di preesistenza dell’uno all’altro, ma) dell’efficacia; posto che l’eventuale esito favorevole dell’impugnazione non caducasse il secondo licenziamento per invalidità, piuttosto comportando la continuità del rapporto e l’autonoma valutazione in sede giudiziaria di questo e dei suoi motivi. Sicchè, il licenziamento collettivo intimato al lavoratore con decorrenza dal 30 novembre 2014 per riduzione di personale, e pertanto per giustificato motivo oggettivo in esito alla procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, non era ex se nullo o illegittimo per la pronuncia di illegittimità dei due precedenti recessi intimatigli (il 30 maggio 2012 per giusta causa e l’11 giugno 2012 per motivi disciplinari), da questa semplicemente conseguendo l’inclusione del lavoratore nella platea dei dipendenti della società interessati dalla procedura collettiva.

Negata quindi la dedotta natura ritorsiva o discriminatoria del licenziamento, in assenza dei rispettivi requisiti, nel merito la Corte salernitana ravvisava la violazione dei criteri di scelta legali (adottati, in accordo con le organizzazioni sindacali, dopo la precedenza a chi non si fosse opposto alla collocazione in mobilità con incentivo all’esodo entro il 19 maggio 2014), non avendo la società datrice adeguatamente giustificato la scelta di licenziare il lavoratore, già addetto al reparto di piegatura (soppresso solo dal settembre 2014 per l’esternalizzazione del servizio a LIP s.a.s., nell’ambito della riorganizzazione dell’attività produttiva per la crisi del settore editoriale) ma in esso soltanto formalmente reintegrato per effetto dell’annullamento dei precedenti licenziamenti (avendogli la società datrice corrisposto le retribuzioni senza riammetterlo ad alcuna effettiva prestazione lavorativa) e nel quale erano stati impiegati dalla data del suo licenziamento (nel 2012) al settembre 2014 (data di esternalizzazione) altri dipendenti della società, con evidente fungibilità delle relative mansioni. Inoltre, la Corte territoriale rilevava anche la maggiore anzianità ed il più oneroso o analogo carico familiare suoi rispetto ad altri operai, con inosservanza dei criteri legali applicati e la conseguente inadeguata giustificazione del licenziamento di C.G..

Infine, essa dava atto dell’omessa indicazione della soppressione del reparto piegatura, pure appartenente all’area allestimenti interessata dagli esuberi e della relativa esternalizzazione del servizio sia nella comunicazione di avvio della procedura del 19 febbraio 2014, sia nell’accordo sindacale del 9 aprile 2014, neppure risultando essere stata oggetto di negoziazione.

Così accertata la violazione dei criteri di scelta, la Corte salernitana applicava il regime di tutela previsto dal testo novellato del L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, con la condanna della società datrice alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria commisurata come sopra indicato.

Con atto notificato il 23 dicembre 2016, Arti Grafiche Boccia s.p.a. ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In ordine alla preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso, per essere stato notificato entro il termine semestrale dalla pubblicazione della sentenza, in data 11 ottobre 2016, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., e non nel termine di decadenza di sessanta giorni dalla comunicazione di cancelleria a norma della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62, il collegio rileva come dalla certificazione di cancelleria (trascritta sub p.to 2, a pgg. 7 e 8 del controricorso del lavoratore) e dalla sua stessa produzione (in allegato sub 5 ad esso), non si evinca con certezza se oggetto della comunicazione siano state soltanto la notizia del deposito e l’indicazione della lettura del dispositivo in udienza ovvero anche il testo integrale della sentenza, necessario per consentire alla parte di essere in grado di conoscere le ragioni sulle quali la pronuncia sia fondata e di valutarne la correttezza per l’eventuale predisposizione del ricorso (Cass. 16 maggio 2016, n. 10017; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25136; Cass. 6 marzo 2019, n. 6551).

Sicchè, per evitare differimenti onde acquisire la debita attestazione della Cancelleria della Corte d’appello di Salerno, in applicazione del principio di “ragione più liquida” (Cass. 11 maggio 2018, n. 11458; Cass. 26 novembre 2019, n. 30745), appare di più agevole soluzione affrontare la questione della fondatezza o meno del ricorso (tenuto conto del suo esito), ancorchè logicamente subordinata alla questione pregiudiziale in rito prospettata.

2. Con il primo motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per la mancata indicazione degli elementi dai quali la Corte territoriale avrebbe tratto il convincimento dello svolgimento delle stesse mansioni di C. da altri lavoratori nel periodo compreso tra il suo (primo) licenziamento (poi dichiarato illegittimo con la sua rintegrazione formale) e l’esternalizzazione del servizio di piegatura, al quale esclusivamente il predetto era stato addetto, assumendo pure la circostanza come “pacifica”, essendo stata invece contestata dalla datrice.

3. Con il secondo, essa deduce violazione degli artt. 244,345 e 437 c.p.c., per la mancata ammissione della prova orale tempestivamente dedotta in primo grado, e reiterata in sede di reclamo, relativa all’esclusiva adibizione di C.G. al reparto di piegatura fino alla sua soppressione per esternalizzazione del servizio.

4. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

5. E’ noto che il vizio di nullità per omissione di motivazione della sentenza, che è requisito da apprezzare esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, si configuri solo qualora non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 2018, n. 22598; Cass. 15 novembre 2019, n. 29721) e, in particolare, quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui abbia tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza una loro disamina logica e giuridica, tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. 14 ottobre 2020, n. 22231).

5.1. Nel caso di specie, essa peraltro non sussiste, avendo la Corte argomentato il proprio convincimento in ordine alla fungibilità dei compiti di C.G. (al penultimo capoverso di pg. 15 della sentenza), rilevante ai fini del rispetto dei criteri legali di scelta, sulla base di un ragionamento presuntivo, sia pure succinto, ma corretto e logicamente persuasivo (neppure correttamente denunciato, per erronea sussunzione, sotto i tre caratteri individuativi della presunzione di gravità, precisione e concordanza, di fatti concreti invece non rispondenti a quei requisiti: Cass. 26 giugno 2008, n. 17535; Cass. 4 agosto 2017, n. 19485; Cass. 16 novembre 2018, n. 29635). Ed esso è stato adeguatamente argomentato sulla circostanza che il reparto di piegatura, cui pure era adibito unicamente il lavoratore predetto, sia stato tuttavia mantenuto in funzione anche nel periodo successivo al suo licenziamento (nell’anno 2012) fino all’esternalizzazione del servizio (nel settembre 2014), nonostante la non contestata (e pertanto “circostanza pacifica”) reintegrazione in servizio soltanto formale del lavoratore, per effetto dell’accertata illegittimità del licenziamento intimatogli, “avendogli il datore di lavoro corrisposto le retribuzioni senza fargli svolgere materialmente alcuna prestazione lavorativa” (così al primo capoverso di pg. 15 della sentenza). Da una tale constatazione la Corte territoriale ha tratto il convincimento che quelle funzioni, un tempo appannaggio esclusivo del lavoratore licenziato e di fatto non reintegrato, siano “state svolte da altri dipendenti della società appellata” (così al secondo capoverso di pg. 15 della sentenza): con un’inferenza logica difficilmente confutabile.

5.2. Sicchè, rispetto ad un tale ragionamento probatorio coerente ed argomentato, del tutto irrilevante risulta la prova orale dedotta (e debitamente trascritta nella sua puntuale deduzione in primo e in secondo grado: a pgg. 12 e 13 del ricorso), siccome non attinge proprio il suddetto periodo di assenza, per licenziamento senza successiva reintegrazione effettiva, del lavoratore reiteratamente quanto inutilmente indicato (prima del periodo di rilevanza) quale unico addetto al reparto.

6. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto omessa l’indicazione di soppressione del reparto piegatura, al quale era unicamente addetto il lavoratore licenziato, nella comunicazione di avvio della procedura del 19 febbraio 2014 e così pure nell’accordo sindacale del 9 aprile 2014; essendo stato invece adeguatamente assolto dalla datrice l’onere di legge con l’espressa previsione, nella prima, di “dismissione di impianti” e di revisione totale dell’organico anche relativo al reparto “allestimenti”, oggetto dell’esame congiunto stabilito dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, esperito positivamente e pertanto con idoneo svolgimento della procedura, alla cui sola regolarità è limitato il sindacato giudiziale.

7. Esso è inammissibile.

8. Qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o addirittura mancanza di una specifica formulazione) delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 21 dicembre 2015, n. 25613; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3307; Cass. 15 luglio 2020, n. 15114).

8.1. Ed è quanto si verifica nel caso di specie, posto che l’infondatezza dei primi due motivi, riguardanti la prima ratio di illegittimità del licenziamento, rende irrilevante, per la ragione detta, l’esame del presente motivo invece relativo alla seconda, di illegittimità del licenziamento per incompletezza della comunicazione prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, (significativamente introdotta dalla locuzione “Si aggiunge”: all’esordio del secondo capoverso di pg. 16 della sentenza).

8.2. Nè si può dubitare dell’autonomia delle due diverse ipotesi: di illegittimità del licenziamento collettivo, per la non corrispondenza al modello legale della comunicazione stabilita dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, che costituisce “violazione delle procedure” e cui è applicabile la tutela indennitaria prevista dal novellato testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, terzo periodo, quantificabile tra dodici e ventiquattro mensilità, previa dichiarazione di risoluzione del rapporto alla data del licenziamento (così anche Cass. 13 giugno 2016, n. 12095); di inosservanza dei criteri di scelta, illegittimi per violazione di legge ovvero perchè applicati in difformità dalle previsioni legali o collettive, comportante invece l’annullamento del licenziamento, con la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore a dodici mensilità, a norma della L. cit. art. 18, comma 4, (Cass. 2 febbraio 2018, n. 2587).

10. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 2118 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 6,L. n. 300 del 1970, art. 18, per erronea applicazione della tutela reintegratoria attenuata (L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come novellato dalla L. n. 92 del 2012), in luogo di quella indennitaria forte (L. cit. art. 18, comma 5), operando la prima soltanto quando il fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia di “manifesta insussistenza” ma non “nelle altre ipotesi” (L. cit. art. 18, comma 7), come appunto nel caso di specie, per la ritenuta illegittimità del licenziamento, per “generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile”, a causa della “violazione dei criteri di correttezza e buona fede”.

11. Esso è infondato.

12. In via preliminare, si rileva l’inconferenza del riferimento, tanto di individuazione di fattispecie, tanto di tutela applicabile.

Sotto il primo profilo, non si tratta nel caso di specie di un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, per il quale, se esso consista nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente da licenziare non sia totalmente libera ma comunque limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza previste dagli artt. 1175 e 1375 c.c., potendo farsi riferimento a tal fine ai criteri stabiliti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, quali standards particolarmente idonei a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (Cass. 9 maggio 2002, n. 6667; Cass. 7 agosto 2020, n. 16856).

12.1. L’ipotesi in esame riguarda piuttosto l’esito espulsivo di una procedura di licenziamento collettivo, per la quale è espressamente prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, (nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012), in caso di riduzione di personale con violazione dei criteri di scelta stabiliti dalla L. n. 223 del 1191, art. 5 riguardante tutte le modalità di applicazione dei suddetti criteri, la tutela reintegratoria attenuata (Cass. 26 settembre 2016, n. 18847; Cass. 3 agosto 2018, n. 20502; Cass. 28 gennaio 2019, n. 2291): correttamente applicata dalla Corte territoriale.

13. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, con regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore dei difensori antistatari, secondo la loro richiesta e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori antistatari.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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