Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10990 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. I, 26/04/2021, (ud. 08/03/2021, dep. 26/04/2021), n.10990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 11956/2016 proposto da:

B.R. S.R.L. A SOCIO UNICO, in persona l.r.p.t. e il

socio unico B.R., che agisce anche a titolo personale,

rappr. e dif. dall’avv. Giovanni Tisato

giovanni.tisato.ordineavvocativicenza.it e Giuseppe Ambrosio, elett.

dom. presso lo studio del secondo, in Roma, via delle Belle Arti n.

7, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in liquidazione, in persona del cur.

fall. p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Vicenza 1.4.2016, n. 3005, in

R.G. 7405/2011.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.R. S.R.L. A SOCIO UNICO, in persona l.r.p.t. e il socio unico B.R., che agisce anche a titolo personale, impugnano il decreto Trib. Vicenza 1.4.2016, n. 3005, in R.G. 7405/2011, che ha rigettato l’opposizione allo stato passivo con cui era stata chiesta l’attribuzione, per la prima volta in quella sede, del privilegio ex art. 2751 bis c.c., comma 1, n. 3;

2. ha ritenuto il tribunale che: (1) la causa di prelazione non era stata chiesta – “neppure implicitamente” – con la domanda tempestiva di ammissione al passivo nel fallimento (OMISSIS) S.P.A. in liquidazione; (2) apparendo pertanto nuova la relativa richiesta, essa era inammissibile;

3. il ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo, deduce l’erroneità del decreto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo il tribunale trascurato che l’originaria insinuazione al passivo già specificava natura e causa del credito per cui agiva (indennità suppletiva di clientela) per il rapporto di agenzia, così violando la L.Fall., artt. 93 e 94 e l’art. 2751 bis c.c., comma 1, n. 3, tanto più che, a corredo della domanda, si accompagnavano tutti i documenti del contratto per il relativo calcolo e dunque era pienamente indicato il titolo del credito, competendo all’ufficio individuare poi la relativa causa di prelazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. il ricorso è infondato; dopo la riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006,

la indicazione – nella domanda di insinuazione al passivo – altresì “di un titolo di prelazione”, ai sensi della L.Fall., art. 93, comma 3, n. 4, appartiene al novero degli elementi necessari del ricorso, con l’unica e significativa conseguenza che la relativa omissione o assoluta incertezza non ne determinano, come invece per i requisiti di cui ai nn. 1), 2) e 3) del medesimo comma, la inammissibilità (della domanda), bensì la degradazione del credito a chirografario (Cass. 15702/2011, 4306/2012); se è vero, infatti, che il cd. decreto correttivo n. 169 del 2007 ha temperato il precetto disciplinante la domanda di credito privilegiato abrogando la originaria previsione di abbinamento del titolo di prelazione alla graduazione dei crediti, resta fermo che anche nella norma attuale non si scorge, come invece reclamato dal ricorrente, una sicura coincidenza tra la natura e la causa del credito, il suo fatto genetico e il titolo dell’eventuale prelazione;

2. per un verso, infatti, occorre riconoscere piena autonomia ai “fatti” e agli “elementi di diritto che costituiscono le ragioni della domanda” (L. Fall., art. 93, comma 3, n. 3, comma 3), secondo prescrizioni che abbracciano l’intero perimetro di essa e cioè la prospettazione di un credito, della sua concorsualità e della modalità prioritaria con cui la parte solo eventualmente chiede di partecipare al predetto concorso; ma proprio dalla scelta, pacificamente discrezionale, di voler assumere nella comunità dei creditori uno statuto differenziato e preferito rispetto ad altri, in conformità al catalogo legale, per l’ipotesi di una utile ripartizione dell’attivo, è scaturita la regola per cui siffatta qualità del credito, esigendo un autonomo accertamento giudiziale (sommario prima e a contraddittorio più maturo dopo) ben distinto (ed anzi posteriore o di secondo grado) da quello avente per oggetto la sussistenza del credito e la sua attitudine ad essere opponibile alla massa dei creditori, non può prescindere dal principio della domanda; e anche per l’accertamento della causa di prelazione andranno verificate sussistenza in concreto dei presupposti lato sensu costitutivi e di opponibilità alla massa, essendo pacifico che molteplici ragioni di inefficacia possono ergersi al diniego dell’ammissione in sede concorsuale e nel caso singolo, benchè se ne riconosca positivamente la fattispecie generatrice e dunque si ammetta il credito, ma in chirografo;

3. la riforma, codificando un canone comune del processo civile e però attualizzando indirizzi interpretativi già presenti nella giurisprudenza concorsuale (Cass. 1044/1997, 5167/2012, 26225/2017) ha così formalizzato una regola selettiva che va intesa certo senza l’imposizione di un onere identificativo, a cura della parte, anche della “indicazione degli estremi delle norme di legge che fondano il diritto fatto valere, in base al principio per il quale “jura novit curia”” (Cass. 12467/2018); e tuttavia l’indicazione del titolo della prelazione, al pari della descrizione del bene sul quale essa si esercita, se essa ha carattere speciale, “quale requisito eventuale dell’istanza di ammissione in privilegio, deve essere verificata dal giudice, tenuto conto del principio generale secondo cui l’oggetto della domanda si identifica sulla base delle complessive indicazioni contenute in quest’ultima e dei documenti alla stessa allegati” (Cass. 33008/2019, 7287/2013); si tratta di principio che, anche quando affermato nei casi di impropria (perchè irrituale e tardiva) domanda di prededuzione di un credito, anzichè di mero privilegio, presuppone che dalla domanda omissiva sul punto non consegua alcun automatismo laddove essa non sia specifica, posto che proprio e sempre più per quelle fattispecie si deducono prestazioni avvenute prima dell’instaurazione del concorso formale;

4. nella specie, il tribunale ha accertato che, nella insinuazione al passivo originaria, il privilegio non risultava chiesto nemmeno in via implicita o generica e la riportata domanda, trascritta nel ricorso (pagg. 2-3), conferma – al di là del vizio invocato al livello di violazione di legge – che la parte si è limitata a richiamare la ragione giustificativa del credito, nascente da prestazione contrattuale e cioè, per la parte spettante e non pagata, la indennità suppletiva di clientela per il rapporto di agenzia, senza però manifestare in modo chiaro l’intento di una considerazione corrispondentemente privilegiata; assecondare tale prospettazione dalla mera enunciazione del titolo del credito (le competenze maturate quale agente della fallita) significherebbe operare una lettura antitestuale e di fatto abrogatrice della prescrizione della L.Fall., art. 93, comma 3, n. 4, istituto che ben ha mostrato di essere compatibile – senza sacrificio abnorme e formalistico del diritto di credito – con una riduzione ex lege della domanda, a limitata funzione conservativa, dato che una insinuazione per una causa di prelazione non chiaramente espressa (perchè del tutto incerta) ovvero omessa (cioè mancante del tutto) – e le ipotesi sono parificate, a riprova della perentorietà del comando legale – si traduce in una domanda del medesimo credito quale chirografario;

5. d’altra parte, si aggiunge, la L.Fall., art. 93, comma 4, appena sopra descritto, non opera sul lato della ammissione, bensì su quello della domanda; esso, in altri termini, non censisce i casi in cui la causa di prelazione non sia stata dimostrata, benchè richiesta, ma l’ipotesi che quest’ultima non sia proprio appartenuta al processo come suo oggetto debitamente precisato e già per difetto di enunciazione di un requisito della domanda; la ratio decidendi dei precedenti menzionati, per i quali il giudizio di opposizione allo stato passivo ha “natura impugnatoria ed è retto dal principio dell’immutabilità della domanda” e dunque “non possono essere introdotte domande nuove o modificazioni sostanziali delle domande già avanzate in sede d’insinuazione al passivo” (per tutti Cass. 5167/2012) si integra in un ordito normativo nel frattempo divenuto, con la richiamata regola, più stringente; ne consegue che, per l’eventualità dell’omesso richiamo nella domanda ad una esplicita qualificazione del credito siccome privilegiato, il giudice non accerta se esistono o meno i fondamenti sostanziali della prelazione, ma proprio non deve decidere affatto su di essa, altrimenti violando il menzionato principio della L.Fall., art. 93 che, per come codificato nella riforma concorsuale del 2006, non si limita a riprodurre il canone processualcivilistico dell’analogo art. 112 c.p.c., bensì assolve ad una funzione di garanzia della massa dei creditori che, già dalla qualificazione di ciascuna domanda nell’apposito elenco prodromico al progetto di stato passivo, assumono lo stato completo delle rispettive richieste; da esso, così, i creditori tutti apprendono il quadro delle domande e si prospettano – con reciproche osservazioni avanti al giudice delegato – le iniziative volte ad accettare o respingere la convivenza di ammissioni al passivo per crediti privilegiati, salvo poi, mediante singolare impugnazione, coltivare il medesimo interesse espulsivo, con legittimazione assolta sul punto dalla mera qualità di creditore;

6. in questo quadro, la qualificazione altresì prelatizia di un credito mostra di potersi armonizzare al suo riconoscimento giudiziale solo in dipendenza di una sicura ed inequivoca domanda, in tal senso positivo dovendosi declinare il requisito di “non assoluta incertezzà di cui alla norma, condizione che entra in campo ove pero”, ed almeno, una esplicitazione della richiesta di prelazione vi sia e si discuta solo del suo grado, maggiore o minore, di chiarezza; se invece, come nella vicenda accaduto e sulla base di un accertamento esperito dal giudice di merito sul tenore della domanda, manchi del tutto tale manifestazione di volontà diretta al giudice (per l’ammissione del credito in privilegio), il medesimo L.Fall., art. 93, comma 4, sembra soccorrere per la più grave, ed infatti rilevata, condizione di “omessa” indicazione, non aggirabile mediante un’interpretazione antitestuale; d’altronde, va ripetuto, “l’erronea interpretazione della domanda e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” – come invece avvenuto anche nella fattispecie – “perchè non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” (Cass. 31546/2019);

7. in tema, l’attribuzione del privilegio al credito dell’agente incontra, nella giurisprudenza di questa Corte, il convincimento per cui “l’art. 2751 bis c.c., n. 3), inserito dalla L. n. 426 del 1975, art. 2, deve essere interpretato, in conformità con l’art. 3 Cost., ed in sintonia con la “ratio” della stessa disposizione codicistica (consistente nel riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore), nel senso che il privilegio dei crediti ivi previsto non assiste quelli per provvigioni spettanti alla società di capitali che eserciti l’attività di agente” (Cass. 25639/2017, sulla scia di Cass. s.u. 27986/2013); orbene, gli stessi ricorrenti, pur riconoscendo la sussistenza di tale indirizzo, si limitano a richiamare – senza alcuna riproduzione in atto e almeno per punti essenziali di quanto citato – di aver depositato, unitamente alla domanda, soltanto il contratto di agenzia, le fatture, un prospetto di calcolo dell’indennità e poi, in sede di opposizione, la visura storica della società, i bilanci; trattando dei primi documenti, se se ne può predicare la rappresentatività del fatto genetico del credito e difatti essi risultano essere stati assunti a prova dello stesso, tant’è che vi è stata piena ammissione sotto il profilo di debito esistente e non pagato, non altrettanto si può dire, secondo la motivazione del tribunale, al fine di desumere da quel medesimo e primo corredo che la domanda fosse stata altresì qualificata al fine di insinuare il credito in via privilegiata; sotto questo profilo, la censura non coglie appieno la portata motivazionale del rigetto che ha valorizzato l’omessa indicazione della norma codicistica non quale fattore decisivo autonomo, bensì confermativo della più ampia genericità della domanda avanti al giudice delegato, così statuendo l’inammissibilità di una richiesta espressa della prelazione resa palese solo con l’opposizione L.Fall., ex art. 98 e l’introduzione di altro corredo documentale;

il ricorso va dunque rigettato; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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