Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10990 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 09/06/2020), n.10990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15162/2014 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) SASSARI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DIEGO GIOVANNI

LUMBAU;

– ricorrente –

contro

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 123,

presso lo studio dell’avvocato RAIMONDO DETTORI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO MORGANA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 205/2013 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di

SASSARI, depositata il 03/10/2013, R.G.N. 424/2012.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 3 ottobre 2013 la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha accolto, per quanto di ragione, l’appello di S.D. avverso la sentenza n. 1043/2012 del Tribunale di Sassari e, in parziale riforma di tale sentenza, ha condannato la AUSL n. (OMISSIS) di Sassari a corrispondere al S. la somma di Euro 6.439,02 per differenze retributive tra il trattamento percepito e quanto spettante per le mansioni superiori svolte nel periodo di riferimento, da maggiorare di interessi dalla maturazione al saldo;

che avverso tale sentenza la AUSL n. (OMISSIS) di Sassari propone ricorso affidato a due motivi e illustrato da memoria;

che S.D. resiste, con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale per un motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso principale è articolato in due motivi;

che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e del CCNL da applicare, con particolare riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 e all’art. 28 del CCNL Comparto Sanità 1998-2001, rilevandosi che il conteggio con il quale è stato quantificato il credito del dipendente sarebbe stato erroneamente effettuato in applicazione del suddetto art. 28, visto che tale articolo si riferisce all’ipotesi di adibizione legittima a mansioni superiori, che ricorre in caso di vacanza del posto e di ordine di servizio datoriale, mentre nella presente vicenda il lavoratore ha svolto le mansioni superiori in via di fatto e quindi va remunerato con la paga base prevista le mansioni svolte;

che con il secondo motivo si denuncia omessa motivazione sulle ragioni che hanno portato la Corte d’appello a discostarsi dalla sentenza di primo grado laddove questa aveva accolto l’eccezione di parziale prescrizione del credito sollevata dalla ASL, sull’assunto secondo cui il primo atto interruttivo della prescrizione del credito sia stato il verbale di mancato accordo del 28 novembre 2005;

che con l’unico motivo di ricorso incidentale – condizionato – il S. denuncia l’omessa pronuncia della propria censura relativa alla idoneità ad interrompere il corso della prescrizione del credito dell’istanza – ricevuta dalla ASL il 19 luglio 2005 – con la quale il S. aveva chiesto all’Azienda le differenze stipendiali correlate all’effettuato svolgimento di mansioni superiori, manifestando la propria intenzione di agire eventualmente in sede giudiziale;

che l’esame delle censure porta al rigetto del ricorso principale e all’assorbimento del ricorso incidentale, per le ragioni di seguito esposte;

che, preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del secondo motivo del ricorso principale in quanto la censura è formulata sotto il profilo della carenza di motivazione, benchè il vizio della motivazione non costituisca più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (Cass. 5 luglio 2016, n. 13641);

che, in base a tale ultima disposizione, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, quale risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, sicchè la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia meramente apparente, oppure sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207);

che tali evenienze qui non si verificano, mentre nella sostanza le censure proposte con il secondo motivo si risolvono nella inammissibile denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito in ordine alla interruzione della prescrizione del credito azionato dal S., censura che riguarda una questione che non trova riscontro nella sentenza impugnata e che oltretutto risulta formulata senza l’osservanza – con riguardo agli atti interruttivi richiamati in ricorso – del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto, a pena di inammissibilità, a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);

che il primo motivo del ricorso principale deve essere respinto, dandosi continuità ai consolidati indirizzi interpretativi di questa Corte, secondo cui:

a) “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, nè all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.” (vedi, per tutte: Cass. 18 giugno 2010, n. 14775; Cass. 7 agosto 2013, n. 18808; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2102);

b) “il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 52, comma 5, non è condizionato alla legittimità, nè all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento” (Cass. 29 novembre 2016, n. 24266);

che il Collegio condivide tale orientamento e le motivazioni delle anzidette decisioni, rinviando, in particolare, ex art. 118 disp. att. c.p.c., alle motivazioni di Cass. n. 2102 del 2019 e di Cass. n. 24266 del 2016;

che rispetto a tale conclusione appare ininfluente la censura della ricorrente relativa all’erronea applicazione, da parte della Corte d’appello, dell’art. 28 del CCNL del Comparto Sanità 1998-2001, in quanto dalla sentenza impugnata risulta che la Corte territoriale, al fine della determinazione delle differenze retributive spettanti al ricorrente, ha fatto riferimento al conteggio effettuato dal CTU nel quale l’art. 28 cit. è stato utilizzato soltanto come parametro di valutazione, pervenendosi ad un risultato che la Corte stessa ha peraltro ritenuto inferiore a quello astrattamente spettante, tuttavia non richiesto dall’interessato;

che, ne consegue che, derivando la valutazione effettuata sul punto nella sentenza impugnata dall’adesione alle conclusioni del CTU, la ricorrente, per contestarla utilmente, avrebbe dovuto impugnarla con la revocazione ordinaria se l’avesse ritenuta viziata da errore di percezione attinente ad un fatto non controverso oppure censurarla ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 c.p.c., se l’avesse considerata il frutto di errore ricadente su di una circostanza che aveva formato oggetto di discussione tra le – parti (vedi: Cass. 19 luglio 2018, n. 19293);

che l’omessa impugnazione corretta della anzidetta statuizione – decisiva – rende inammissibile, per difetto di interesse, la relativa censura, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

che al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale – da considerare condizionato – proposto dal S. e riguardante l’omesso esame della propria censura relativa all’idoneità dell’istanza ricevuta dalla ASL il 19 luglio 2005 ad interrompere la prescrizione del credito (vedi: Cass. n. 26654 del 2018; Cass. 7 giugno 2019, n. 15510; Cass. 15 luglio 2019, n. 18934);

che, in sintesi, il ricorso principale va rigettato e quello incidentale va dichiarato assorbito;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza della ricorrente principale;

che si dà atto della sussistenza, nei confronti della ricorrente principale, dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto;

che si precisa che, invece, del D.P.R. n. 115 del 2002, suddetto art. 13, comma 1, non trova applicazione nei confronti del ricorrente incidentale in caso di assorbimento del ricorso incidentale per cassazione (quale si verifica nella specie) in quanto tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, “lato sensu” sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (arg. ex Cass. 12 novembre 2015, n. 23175 e Cass. 8 novembre 2019, n. 28936).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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