Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1099 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. I, 20/01/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 20/01/2020), n.1099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4523/2016 proposto da:

A.F.C., elettivamente domiciliato in Roma Via

Monte Zebio 30 presso lo studio dell’avvocato Giammaria Camici e

rappresentato e difeso dagli avvocati Luisella Barbero e Giovanni

Alessandro Sagramoso, in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

R.E. e R.F., elettivamente domiciliati in Roma

P.za Adriana 5, Palazzo A, Interno 13 presso lo studio dell’avvocato

Elena Vaccari e rappresentati e difesi dagli avvocati Laura Maria

Arnoletti e Andrea Magliani;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 161/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/11/2019 dal Consigliere Dr. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.F.C. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano R.E. e R.F.P., suoi ex soci, insieme a M.E., nel disciolto Studio associato M., A., R., chiedendo – per quanto qui ancora rileva – la loro condanna al pagamento in suo favore, rispettivamente di Euro 27.000,00 e Euro 18.000,00 a titolo di rivalsa pro quota (rispettivamente del 30% e del 20%) di quanto da lui corrisposto in via transattiva alla Immobiliare Arno (Euro 90.000,00).

A sostegno di tale domanda l’attore ha esposto di aver appreso solo l’8/1/2004, in seguito a notifica dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, per la prima volta e quando ormai erano spirati i termini per appellare, della pronuncia della sentenza n. 2316 del 18/2/2002 del Tribunale di Milano che lo aveva visto soccombente insieme al coevocato M.E., quali ex soci del disciolto Studio professionale nei confronti della attrice Immobiliare Arno s.r.l.; che in data 18/10/2014 la Arno gli aveva notificato la sentenza con relativo atto di precetto, intimandogli il pagamento di complessivi Euro 119.025,39; che la somma oggetto della condanna era stata richiesta dalla Arno a titolo di risarcimento dei danni provocati dall’iscrizione erronea di una ipoteca giudiziale da parte dell’Associazione professionale su di un immobile di sua proprietà nella convinzione erronea che tale bene appartenesse a Italest s.r.l. (poi Gelp s.r.l.), sua debitrice; che l’Associazione professionale nel febbraio del 1993 aveva ottenuto un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti di Italest – Gelp. s.r.l., e aveva quindi iscritto ipoteca sull’immobile di Arno; che nel marzo 1994 l’Associazione professionale aveva definito la vertenza con Gelp, che le aveva corrisposto la somma di L. 33.000.000; che tale scrittura, apparentemente sottoscritta da tutti i membri dell’Associazione, recava la sua firma apocrifa; che il Dott. M. aveva corrisposto la sua quota a differenza dei due R.; che in data 16/12/2004 egli aveva negoziato un accordo con ARNO (nel frattempo ridenominata Pelletterie ABC s.r.l.) in forza del quale aveva corrisposto a suo favore la minor somma di Euro 90.000.00.

Si sono costituiti in giudizio R.E. e R.F.P. chiedendo il rigetto della domanda, invocando l’art. 1306 c.c. e sostenendo che la sentenza Arno, resa solo nei confronti degli ex soci A. e M. non faceva stato nei loro confronti e opponendo all’attore in regresso le eccezioni che essi avrebbero potuto opporre al creditore.

Il Tribunale di Milano con sentenza del 18/9/2009 ha accolto la predetta domanda dell’attore con il favore delle spese di lite, rigettando l’ulteriore domanda risarcitoria da lui proposta avverso il solo R.F.P..

Secondo il Tribunale, la sentenza n. 12367/2002, passata in giudicato, produceva “effetti riflessi” anche nella sfera giuridica dei soci dell’associazione rimasti estranei alla controversia, non essendo stato integrato il contraddittorio nei loro confronti; non operava quindi l’art. 1306 c.c.; l’accordo fra la società Arno e A.F. del 16/12/2004 aveva concretato una parziale remissione del debito a favore dei terzi condebitori solidali a cui favore era stato anche stipulato; non era quindi applicabile l’art. 1304 c.c. in tema di efficacia eventuale della transazione per i condebitori solidali; l’accordo non sostituiva il titolo giudiziale in forza del quale era stato ancorato il regresso dell’attore.

2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello R.E. e R.F.P., a cui ha resistito l’appellato A.F.C..

La Corte di appello di Milano con sentenza 13/1/2015 ha accolto il gravame, respingendo la domanda di regresso dell’attore con favore di spese del doppio grado di giudizio.

La Corte ha sottolineato che la sentenza n. 1236/2002 era stata resa nei soli confronti di A.F.C. e M.E., quali soci dell’Associazione professionale, e non già nei confronti di questa; ha quindi sostenuto che la sentenza n. 1236/2002 del Tribunale di Milano ai sensi degli artt. 1306 e 2909 c.c. non produceva alcun effetto nei confronti dei condebitori solidali rimasti estranei al giudizio, che in sede di regresso ben potevano opporre al condebitore solidale che vi aveva partecipato, rimanendo soccombente, tutte le eccezioni, e non solo quelle personali, che essi avrebbero potuto opporre al comune creditore; l’accordo del 16/12/2004 comportava reciproche concessioni e costituiva transazione conservativa – e non già remissione parziale del debito – sicchè non produceva effetti nella sfera dei condebitori solidali che non vi avevano partecipato e avevano rifiutato di profittarne.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 9/2/2016 ha proposto ricorso per cassazione A.F.C. svolgendo due motivi.

Con atto notificato il 15/3/2016 hanno proposto controricorso R.E. e R.F.P., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1965,1236,1301 e 1304 c.c., nonchè art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 c.c..

Erroneamente la Corte di appello, contraddicendo il Tribunale, aveva ritenuto che il negozio del 16/12/2004 integrasse in sostanza una transazione, con la conseguente applicabilità dell’art. 1304 c.c. e la mancanza di effetti per i condebitori solidali.

La natura transattiva (sia pur conservativa e non novativa) del negozio era stata ravvisata in ragione della riduzione quantitativa della pretesa di Arno e delle reciproche rinunce e, in particolare, della rinuncia di Arno ad agire nei confronti degli altri soci; tuttavia l’accordo in questione non conteneva affatto reciproche rinunce e concessioni perchè i sacrifici erano stati imposti solo a carico di Arno e non a carico dell’ A., nè la sentenza impugnata indicava quali essi fossero; al momento inoltre la sentenza n. 2316/2002 era già passata in giudicato.

L’accordo del 16/12/2004 aveva invece provocato un effetto analogo al contratto a favore di terzo con la parziale rinuncia al credito e la liberazione di tutti i condebitori, che ne hanno beneficiato automaticamente ex art. 1411 c.c., non constando il loro rifiuto di volerne profittare.

La sentenza impugnata aveva confuso il rifiuto del beneficio della liberatoria dal debito verso Arno da parte dei R. (mai espresso) con la negazione del diritto di regresso nei loro confronti da parte del ricorrente.

I R. non avevano mai negato la sussistenza della solidarietà passiva fra gli ex soci dell’Associazione, in forza dell’art. 7 dello Statuto ed erano quindi tenuti nei confronti dell’attore in regresso, perchè la sentenza era stata pronunciata nei suoi confronti proprio quale ex socio dello Studio, mentre l’accordo del 16/12/2004 aveva integrato una remissione parziale del debito.

In sintesi, la sentenza doveva essere cassata perchè sulla base di una erronea interpretazione dell’accordo del 16/12/2004 ne aveva disconosciuto la natura di mero accordo remissorio, aveva erroneamente escluso la produzione degli effetti dell’art. 1301 c.c. e aveva illegittimamente applicato l’art. 1304 c.c..

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1306 e 1299 c.c., ritenuti erroneamente idonei a disciplinare anche i rapporti interni fra debitori in solido e non solo quelli fra creditore e condebitori solidali.

Il ricorrente invoca il principio dell’efficacia riflessa nel giudizio di regresso della sentenza resa nei rapporti fra creditore e condebitore in solido, invocando al riguardo la pronuncia n. 20928/2015 delle Sezioni Unite e sostiene che il condebitore in solido convenuto in regresso non può rimettere in discussione l’accertamento contenuto nella sentenza resa nei rapporti con il condebitore se non vi si è opposto ex art. 404 c.p.c. o non è intervenuto adesivamente nel processo.

3. Deve ritenersi accertato, poichè la relativa statuizione contenuta nella sentenza della Corte di appello di Milano non è stata impugnata, che la sentenza n. 1236/2002 del Tribunale di Milano a favore della Arno è stata resa nei confronti degli ex soci A.F.C. e M.E., e non dell’Associazione professionale.

E’ altrettanto assodato che R.P.F. e R.E., ex soci, loro pure, dello Studio professionale associato non avevano partecipato a quel giudizio, nè erano stati posti in condizione di parteciparvi, non essendo mai stato loro notificato l’atto di chiamata.

E’ infine pacifico il regime di solidarietà passiva che gravava sui soci del disciolto Studio professionale associato M., A., R., in forza della clausola contenuta nell’art. 7 dello statuto associativo.

4. La sentenza impugnata della Corte milanese, che ha rigettato le pretese dell’attore, ribaltando la decisione di primo grado, si basa su due fondamentali presupposti, ossia: a) la sentenza 1236/2002 non produceva alcun effetto nei confronti dei R., condebitori solidali rimasti estranei a quel giudizio e alla relativa condanna, ex artt. 1306 e 2909 c.c.; b) l’accordo del 16/12/2004 era una transazione conservativa che non produceva effetti per il condebitore solidale ad essa estraneo se questi non dichiarava di volerne profittare ex art. 1304 c.c..

Questi presupposti sono stati criticati da parte ricorrente rispettivamente con il secondo e il primo motivo di gravame.

La tesi sviluppata dal ricorrente è che la sentenza Arno del Tribunale produceva effetti anche verso i condebitori R. e che pertanto l’accordo successivo configurava non già una transazione ma una remissione parziale del debito, produttiva di effetti anche a loro favore ex art. 1301 c.c..

Il secondo motivo, dedicato al primo presupposto possiede quindi, a parere del Collegio, rilevanza pregiudiziale e (potenzialmente) dirimente.

5. La Corte ritiene che la tesi sostenuta dal ricorrente non sia fondata.

5.1. Secondo l’art. 1306 c.c., comma 1 la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori; tuttavia gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore.

In altri termini, il condebitore solidale, rimasto estraneo al giudizio, non è vincolato dalla sentenza e tuttavia può invocarla, opponendola al creditore comune, se la ritiene favorevole, purchè si fondi su ragioni comuni a tutti i condebitori solidali e non al solo condebitore coinvolto nel giudizio.

5.2. Tale disciplina è pienamente coerente sia con il principio generale dell’art. 2909 c.c., secondo il quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, sia con la fondamentale regola costituzionale dell’art. 24 Cost., comma 2, che sancisce il diritto di difesa, evitando di compromettere la sfera giuridica di un soggetto in forza di una sentenza resa in un procedimento al quale egli non ha partecipato e pronunciata nei confronti di un soggetto sfornito di ogni potere di rappresentarlo validamente.

5.3. La norma ha valenza generale e non può essere circoscritta al solo rapporto fra creditore e altri debitori solidali, rimanendo così estranea al giudizio di regresso ex art. 1299 c.c., come propone il ricorrente.

Tale norma, infatti, disciplina solo il regresso del condebitore e presuppone l’accertamento dell’esistenza del debito comune, secondo le regole generali, che non può essere desunta, stante l’inequivoco dettato dell’art. 1306, dalla sentenza resa nei confronti di un solo condebitore in un giudizio al quale gli altri sono rimasti estranei.

5.4. D’altra parte, quanto alle recriminazioni prospettate dal ricorrente circa la proliferazione degli accertamenti giudiziali che la tesi esposta renderebbe necessari, quando il creditore, approfittando del beneficio della solidarietà passiva scelga di aggredire giudizialmente solo uno dei condebitori, occorre rammentare che il condebitore solidale convenuto ben può richiedere la chiamata in causa ex art. 106 c.p.c. degli altri condebitori ai quali la causa è comune e da cui pretende di essere garantito, in tal modo coinvolgendoli nel giudizio e rendendo loro opponibile il giudicato.

5.5. La giurisprudenza di questa Corte si è espressa ripetutamente in tal senso.

Con la sentenza della Sez. 3, n. 19492 del 21/09/2007, Rv. 598978 – 01 in materia di responsabilità da fatto illecito imputabile a più persone, è stata cassata la sentenza di appello che aveva accolto la domanda di regresso proposta dal responsabile dell’illecito – già condannato in separato giudizio al risarcimento dei danni in favore del terzo – verso il coobbligato solidale rimasto estraneo al giudizio risarcitorio conclusosi con la condanna del terzo, affermando che, rispetto al giudicato intervenuto tra uno dei condebitori in solido e il creditore, non era intervenuta l’accettazione da parte dell’altro condebitore, con la conseguenza che trovava applicazione il principio dell’inapplicabilità del giudicato nel giudizio di regresso.

E’ stato anche affermato che dal principio stabilito dall’art. 2909 c.c. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti e non è vincolante rispetto ai terzi. Il giudicato può, tuttavia, quale affermazione obiettiva di verità, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, ma tali effetti riflessi sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile nè che egli ne possa ricevere pregiudizio giuridico, nè che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa, salvo che tale facoltà sia espressamente prevista dalla legge, come nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c. (Sez. 5, n. 691 del 13/01/2011, Rv. 616292 – 01; Sez. 5, n. 3187 del 18/02/2015, Rv. 634517 – 01).

Il principio della c.d. “efficacia riflessa” del giudicato è stato ravvisato da questa Corte quando sussista tra i due giudizi un nesso di pregiudizialità-dipendenza giuridica (che si ha solo allorchè un rapporto giuridico, pregiudiziale o condizionante, rientra nella fattispecie di altro rapporto giuridico, condizionato, dipendente), il quale solo legittima l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti di soggetti in tutto o in parte diversi, nel rispetto dei diritti costituzionali del contraddittorio e di difesa (Sez. U, n. 6523 del 12/03/2008, Rv. 602923 – 01).

Un consistente orientamento giurisprudenziale ammette un’efficacia riflessa del giudicato su soggetti rimasti estranei al processo, solo se questi siano titolari di un diritto dipendente o subordinato, e non autonomo, rispetto al rapporto giuridico definito con la decisione divenuta irrevocabile (Sez. L, n. 25161 del 14/12/2015, Rv. 637927 – 01); tale indirizzo ammette quindi che il giudicato possa spiegare efficacia riflessa nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo quando sussiste un nesso di pregiudizialità – dipendenza fra situazioni giuridiche, quando contenga l’affermazione di una verità che non ammette un diverso accertamento ed il terzo non vanti un diritto autonomo rispetto a quello su cui il giudicato stesso è intervenuto, con la conseguenza reciproca che l’efficacia del giudicato non si estende a quanti siano titolari di un diritto autonomo rispetto al rapporto giuridico definito con la prima sentenza (Sez. 3, n. 18062 del 05/07/2019, Rv. 654409 – 01, che ha escluso, con riferimento all’accertamento delle responsabilità nella causazione di un sinistro stradale, l’efficacia riflessa del giudicato intervenuto fra danneggiato e proprietario del veicolo investitore nei confronti dell’assicuratore non evocato in giudizio; Sez. 3, n. 17931 del 04/07/2019, Rv. 654562 – 02; Sez. 3, n. 15599 del 11/06/2019, Rv. 654346 – 01; Sez. 3, n. 8766 del 29/03/2019, Rv. 653419 – 02; Sez. 6 – 2, n. 21240 del 28/08/2018, Rv. 650353 – 01).

Solo nel caso in cui la sentenza possa spiegare efficacia riflessa nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al rapporto processuale, purchè titolare di un diritto non autonomo, ma dipendente dalla situazione definita in quel processo o, comunque, di un diritto subordinato a questa, tale efficacia può essere rimossa attraverso l’opposizione di terzo di cui all’art. 404 c.p.c., comma 2, (Sez. 2, n. 5411 del 25/02/2019, Rv. 652762 – 02).

5.6. Il ricorrente fonda gran parte della propria difesa su di un passaggio argomentativo contenuto nella sentenza n. 20929 del 30/9/2009 delle Sezioni Unite, che peraltro si occupava di questione affatto differente, ossia della legittimazione a proporre opposizione al decreto ministeriale sanzionatorio in capo alla persone fisiche autrici della violazione in materia di intermediazione finanziaria, a cui il pagamento non era stato personalmente ingiunto ma che erano esposte all’azione (obbligatoria) di regresso prevista dal del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9.

Le Sezioni Unite hanno risolto positivamente la questione di legittimazione, ritenendo applicabile alla fattispecie il regime del litisconsorzio facoltativo mediante intervento adesivo autonomo, all’esito di un’amplissima disamina degli orientamenti di dottrina e giurisprudenza su molteplici e svariati argomenti volta a trarre elementi orientativi per la soluzione del caso in discussione.

Nell’ambito di questo excursus le Sezioni Unite hanno anche affrontato il tema dell’efficacia della sentenza resa nei confronti del condebitore di una obbligazione solidale ordinaria nel giudizio di regresso ex art. 1299 c.c. esperito dal condebitore solidale che ha pagato il debito al creditore comune, esponendo gli argomenti sfoggiati dai contrapposti orientamenti; le Sezioni Unite hanno così esplorato anche la questione se, fra i presupposti necessari per l’accoglimento dell’azione di regresso da parte del giudice adito si collochi, oltre alla prova dell’avvenuto pagamento, altresì la prova di avere “pagato bene”, questione alla cui soluzione si ricollega quella dell’ammissibilità della rivisitazione tout court di tutti gli accertamenti già compiuti innanzi al primo giudice (in ipotesi, attraverso la proposizione di una exceptio litis malae gestae).

Le Sezioni Unite hanno premesso che la questione vedeva attestate su fronti di pensiero non omogenei la dottrina e la giurisprudenza di legittimità; quest’ultima era sovente orientata ad interpretare in senso ampio l’art. 1306 c.c., opinando che i condebitori solidali non partecipi del giudizio conclusosi con la condanna di uno di essi assumano, rispetto al giudicato formatosi in quella sede, veste di terzi rispetto al creditore non meno che nei confronti del coobbligato che agisca in via di regresso, e, come terzi, sia nel primo che nel secondo caso, non debbano subire gli effetti propri della cosa giudicata.

In senso opposto è stata richiamata la dottrina che riteneva che il giudicato formatosi fra il creditore e il coobbligato ingiunto possa far stato, per taluni accertamenti, anche con riguardo al coobbligato non ingiunto, attesa la discutibilità del principio dell’assoluta indifferenza ed inefficacia della sentenza pronunciata fra creditore e condebitore rispetto al giudizio di regresso da quest’ultimo intrapreso verso altro condebitore, e della (pretesa) assenza di limiti alle eccezioni che il condebitore convenuto in regresso potrebbe opporre, alla stregua dell’interpretazione degli artt. 1299, 1306 e 2909 c.c..

E’ pur vero che in un ulteriore passaggio argomentativo la sentenza citata pare orientata a considerare più convincente il principio dell’efficacia riflessa della sentenza di condanna del condebitore solidale ordinario, proposta in sede dottrinale: si tratta però di un obiter dictum estraneo alla fattispecie concreta sottoposta all’attenzione del Supremo Collegio, che non doveva occuparsi della efficacia del giudicato verso il condebitore solidale citato in regresso dal condebitore solvens, tantomeno in relazione a un’obbligazione solidale soggetta a regime ordinario, poichè la fattispecie era caratterizzata dal peculiare regime di regresso obbligatorio disciplinata dal citato art. 195 T.U.F..

La preferenza della Corte è stata espressa in termini puramente interlocutori senza smentire direttamente l’orientamento giurisprudenziale di legittimità ritenuto prevalente ed anzi implicitamente ribadendolo, nel momento in cui ha affermato, distinguendo la peculiarità della fattispecie in analisi: “Come si è avuto modo di rilevare in precedenza, nell’ambito del meccanismo comune delle obbligazioni solidali di cui all’art. 1292 c.c. e ss., l’orientamento tuttora prevalente è nel senso che il condebitore, convenuto con l’azione di regresso, potrà opporre le sue eccezioni personali, mentre la sentenza pronunciata fra creditore e condebitore non ha effetto per gli altri condebitori, salvo che siano essi stessi a volerla opporre al creditore e purchè non sia fondata su eccezioni personali al condebitore escusso (art. 1306 c.c.). E’ convincimento di queste sezioni unite che tale meccanismo non appaia legittimamente esportabile alla fattispecie del D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 195”.

In altri termini le Sezioni Unite hanno ritenuto che proprio la peculiarità del regime speciale di solidarietà cristallizzato nella norma del T.U.F. giustificasse la legittimazione a intervenire nel giudizio di opposizione della persona fisica autrice della violazione sanzionata: la pronuncia invocata dal ricorrente non può quindi costituire un precedente nel senso da lui sostenuto.

6. Il rigetto del secondo motivo determina l’inammissibilità del primo per difetto di interesse.

Se i resistenti R.E. e R.P.F. non potevano ritenersi soggetti all’efficacia della sentenza 1236/2002 del Tribunale di Milano, resa in giudizio a cui erano rimasti estranei, è inutile discettare se l’accordo del 16/12/2004 fra la società Arno e A.F.C. fosse una transazione conservativa, come ritenuto dalla Corte milanese e dai controricorrenti, con la conseguenza che i fratelli R. a norma dell’art. 1304 c.c. ben potevano rifiutare di profittarne, ovvero contenesse una remissione parziale di debito ex art. 1236 c.c. (o piuttosto costituisse un contratto atipico incorporante la remissione parziale di debito), come sostenuto dal Giudice di primo grado e riproposto dal ricorrente, per invocare l’automaticità dell’effetto remissorio previsto dall’art. 1301 c.c..

Se la sentenza 1236/2002 non fa stato nei riguardi dei fratelli R., A.F. non può agire nei loro confronti in forza di essa, nè può invocare il pagamento eseguito in relazione al successivo accordo con il creditore Arno, sia pure per la minor somma da esso risultante, senza dimostrare prima ai condebitori di aver “pagato bene” e che anch’essi dovevano la somma al creditore comune.

In altri termini, la natura remissoria dell’accordo non giova al ricorrente se la sentenza che ne è il presupposto non è opponibile ai condebitori solidali.

7. Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 7.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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