Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10989 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. I, 26/04/2021, (ud. 08/03/2021, dep. 26/04/2021), n.10989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 11956/2016 proposto da:

A.F., rappr. e dif. dagli avv. Domenico Borghesi,

domenicoborghesi.ordineavvocatibopec.it, Paolo Faldella,

paolo.faldella.ordineavvocatibopec.it e Alessandro Bozza Venturi,

elett. dom. presso lo studio del terzo, in Roma, via Nazionale n.

204, come da procura allegata in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO M.I., in persona del cur. fall. p.t., rappr. e

dif. dall’avv. Paolo Vulpiani, paolo.vulpiani.pecavvocatiap.it ed

elett. dom. presso lo studio dell’avv. Ugo Ojetti,

ugoojetti.ordineavvocatiroma.org in Roma, viale Angelico n. 38, come

da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

A.A.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Ancona 16.5.2014, n. 360/2014,

cron. 515/2014, in R.G. 442/2011.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.F. impugna la sentenza App. Ancona 16.5.2014, n. 360/2014, cron. 515/2014, in R.G. 442/2011, che ha respinto il suo appello avverso la sentenza Trib. Ascoli Piceno 8.2.2011, n. 86 resa su domanda del FALLIMENTO M.I. e di accoglimento dell’azione revocatoria della cessione dei diritti, per la parte (50%) già intervenuta tra la fallita M.I. e il ricorrente e da quest’ultimo ad A.A., in particolare il pagamento fra la debitrice fallita e lo stesso A.F. (settembre 1990) e la donazione dal medesimo ad A.A. (giugno 1993);

2. ha premesso la corte – per quanto è dato comprendere, con il concorso della esposizione sommaria dei fatti a cura delle parti – che: (i) il 21.2.1991 era stato dichiarato il fallimento (dal Tribunale di Ascoli Piceno) della impresa individuale Boutique Ivana di M.I., seguito peraltro – come meglio chiarito in ricorso e controricorso dall’estensione del fallimento al coniuge A.L. (pag.1 ricorso, pag. 2 controricorso, riferimento a pag. 5 sentenza e poi richiamo ad una “sdf” a pag. 7 sentenza); (ii) il primo giudice aveva accolto la domanda, respingendo l’eccezione di giudicato sollevata dal convenuto con il richiamo ad una sentenza anteriore (n. 516 del 2005), del medesimo tribunale, che aveva “definito il giudizio relativo alla revocatoria del trasferimento al 50% dei diritti sull’immobile in questione spettanti ad A.F., senza nulla statuire sulla posizione di M.I.” (pag. 3), secondo riferimento da correggere in A.L., stante l’incomprensibilità altrimenti della vicenda per come riportata; (iii) il fondamento della domanda derivava dalla “preordinazione degli atti di dazione in pagamento, prima e di donazione, poi” così da causare pregiudizio ai creditori, per via dei vincoli parentali tra i soggetti coinvolti ( M.I. e A.L., i primi disponenti, erano coniugi), la consapevolezza degli atti e della difficoltà in cui versavano (per esecuzioni e ipoteche iscritte), la sproporzione tra valore del bene e importo del debito ad estinzione del quale era stata effettuata la dazione in pagamento iniziale, il vantaggio finale dell’operazione diretto alla figlia della coppia, beneficiaria della donazione successiva e unica a non rischiare il fallimento ( A.A.); (iv) anche la donataria conosceva lo stato d’insolvenza in cui versavano i debitori, danti causa del donante ( A.F., cognato di M., pag.5) e genitori della subacquirente, già in età (20 anni circa) per percepire le vicende economiche dei predetti; (v) l’eccezione di giudicato verteva sulla circostanza per cui anche il secondo giudizio (sfociato nella sentenza del 2005) e per il quale aveva agito L.Fall., ex artt. 66-67 e art. 2901 c.c. il fallimento A.- M., sarebbe stato diretto alla revoca non già del 50% degli immobili, bensì dell’intero compendio trasferito ed in particolare anche delle posizioni di M., mentre il primo aveva ad oggetto la sola revoca L.Fall., ex artt. 66 e art. 2901 c.c. del 50% del medesimo atto della fallita; (vi) la cessione al cognato A.F., da parte di M., era peraltro avvenuta solo per la metà della nuda proprietà, con riserva del diritto d’abitazione, dunque – secondo l’appellante – per un valore inferiore alla mera metà dell’intero, con ciò avversando la sentenza anche nel merito; (vii) a sua volta il fallimento appellato aveva chiesto la correzione dell’errore materiale della sentenza di primo grado, da emendare precisando meglio che l’inefficacia era relativa al 50% della quota ceduta, pari al 50% dell’intero;

3. la corte ha ritenuto: (i) la domanda decisa dal tribunale nel 2005 e però respinta – appariva essere stata promossa, secondo la corretta lettura del primo giudice, dal solo fallimento del socio A.L., ai sensi dell’art. 2901 c.c. e con dichiarata improponibilità di quella pur ivi avanzata L.Fall., ex art. 67 e dunque le conclusioni non potevano che riferirsi alla revocatoria del 50% dei diritti di spettanza solo di tale fallito; (ii) nella stessa causa, proprio il fallimento aveva dato atto di altro giudizio (e cioè l’attuale), chiedendone la riunione, mentre il richiamo, ancora in sentenza, all’atto nel suo complesso, non implicava alcun accertamento della posizione propria di M.; (iii) il fondamento della duplice azione, la seconda svolta verso l’acquirente che non poteva dirsi di buona fede, era tratto dagli elementi presuntivi già valorizzati dal primo giudice, anche in appello – tra l’altro – non risultando alcun debito maturato dalla fallita verso il cognato, stante anche la genericità dei supporti documentali offerti da A.F.; (iv) l’emenda dell’errore andava infine promossa aventi al medesimo giudice emittente, non a quello dell’impugnazione.

4. il ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo, deduce l’erroneità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo omesso di applicare la regola preclusiva da giudicato, posto che già la medesima causa era stata decisa una prima volta anche sulla domanda del fallimento di M. e sullo stesso atto, con esito di diniego da parte del tribunale nel 2005 e senza impugnazione successiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. il ricorso è infondato; dalla ricostruzione dei fatti di causa, cui hanno concorso in modo ordinato le parti, appare pacifico che, dichiarato per ripercussione L.Fall., ex art. 147 il fallimento anche del marito A.L. (nel (OMISSIS)), quale socio illimitatamente responsabile della s.d.f. con la moglie, già imprenditrice fallita (per prima, nel 1991), il comune curatore ha proposto due giudizi: a) nel 1994, agendo per la revoca ordinaria dell’atto di disposizione patrimoniale della M., con cui la fallita aveva pagato (nel 1990) un proprio supposto debito al cognato A.F., cedendogli la sua parte, cioè il 50% di un immobile ed altresì della donazione che, dello stesso bene, aveva poi fatto l’acquirente alla figlia dei falliti, A.A. (nel 1993); b) nel (OMISSIS), dichiarato fallito nel medesimo anno anche il marito A.L., di nuovo chiedendo la revocatoria del medesimo atto, che il fallimento (e con esso la sentenza qui impugnata) ritiene riferirsi alla sola cessione dei diritti spettanti appunto ad A. ed invece il ricorrente reputa esteso alle proprietà (e agli atti di cessione) di entrambi i falliti; c) la sentenza resa dal tribunale nel 2005 ha avuto per oggetto le domande della seconda citazione, essa ha accertato la prescrizione dell’azione ivi proposta ed è passata in giudicato;

2. nello scrutinio del motivo, allora, s’impone la constatazione che sulla citazione del (OMISSIS) è intervenuta una sentenza definitiva dichiarativa della prescrizione dell’azione, e di quella sola azione, che non può di per sè costituire alcun vincolo di giudicato rispetto all’azione spiegata prima, nel 1994; secondo il corretto apprezzamento dello stesso giudice di merito condotto sulla portata della decisione Trib. Ascoli Piceno 12.7.2005, risultando diversi i rispettivi fatti, sotto il profilo temporale del promuovimento delle domande, ne consegue l’irrilevanza anche della eventuale identità di proposizione da parte dello stesso soggetto;

3. la seconda domanda appartiene infatti ad un’iniziativa che, proprio perchè successiva e logicamente possibile per la prima volta, da parte del curatore, avendo riguardo agli atti di disposizione patrimoniale del secondo fallito, cioè A., mostra di essersi ragionevolmente.

esaurita a quei diritti, secondo molteplici elementi testuali, poi ripresi nella pronuncia di rigetto; l’azione, infatti, appare essere stata promossa con chiarezza dal curatore della società di fatto tra A.L. e M.I., e cioè del sodalizio il cui accertamento aveva determinato L.Fall., ex art. 147 altresì la dichiarazione di fallimento anche di A.L., per il quale anche il medesimo curatore poteva agire per la prima volta – avendo riguardo alla revoca “per intero” dell’atto di cessione, ove fosse stata accolta; nè diversa rilevanza va attribuita all’istanza, non accolta, di riunione alla prima causa (del 1994), formulata nel secondo giudizio (del (OMISSIS)), se non l’intento, di economia processuale, teso a far operare in unica sede l’accertamento sulle eventuali comuni circostanze dell’atto revocando, mentre il diniego giudiziale in sè nulla esprime, se non una valutazione organizzativa del rispettivo oggetto ed anzi, in coerenza con la pronuncia finale, della maggiore speditezza della seconda causa;

4. d’altronde, come premesso, la possibilità di opporre il giudicato esige che vi sia un accertamento di un fatto condizionante rispetto all’oggetto del processo pregiudicato; tale non è il riscontro dell’avere la seconda azione di revocatoria L.Fall., ex art. 66 – ex art. 2901 c.c. oltrepassato i 5 anni, così come il rigetto della revocatoria fallimentare L.Fall., ex art. 67, per analoga limitazione temporale della datazione dell’atto dispositivo (1990) già rispetto al periodo sospetto conseguente alla dichiarazione di fallimento del disponente A. fallito ((OMISSIS)); ciascuna azione infatti è stata iniziata in una epoca diversa e la prescrizione che ha colpito quella svolta nel (OMISSIS) non spiega alcuna influenza su quella promossa nel 1994, laddove la sentenza di rigetto, passata in giudicato, ha circoscritto il suo accertamento a tale mero fatto proprio esclusivamente della tardività della domanda; fa difetto allora la possibilità di affermare che Trib. Ascoli Piceno 12.7.2005 abbia accertato quella indispensabile “questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato” (Cass. 20816/2020) idonea a precludere l’esame del punto accertato e risolto, che è invero mancato, nonostante ed anzi proprio per la solo parziale sovrapposizione delle parti ed invece i diversi, decisivi, presupposti temporali delle rispettive azioni;

5. il ricorso va dunque rigettato; va disposta la condanna al pagamento delle spese, secondo la regola della soccombenza ed esse si liquidano come da dispositivo; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 5.000, oltre ad Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

 

 

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