Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10989 del 05/05/2017

Cassazione civile, sez. VI, 05/05/2017, (ud. 23/03/2017, dep.05/05/2017),  n. 10989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13977/2016 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21,

presso lo studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5170/15/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 01/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M. propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 5170/15/2015, depositata in data 1/12/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento notificato il 16/12/2013, per IRPEF, IRAP, IVA ed addizionali, regionali e comunali, dovute in relazione all’anno d’imposta 2008, a seguito di verifica fiscale con accesso presso i locali aziendali (professione architetto), conclusasi con Processo Verbale di Constatazione redatto in data 30/10/2013, e di indagini finanziarie contestualmente avviate nei confronti del professionista e della moglie, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente. In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravarne del contribuente, hanno sostenuto, preliminarmente, in ordine all’eccepita illegittimità dell’atto impositivo perchè emesso senza il rispetto dei 60 gg. previsti dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, che, nella fattispecie, si era in presenza di un accertamento che costituiva “una commistione di normative aventi ambiti applicativi del tutto distinti, scaturenti “non da una verifica” presso i locali dell’attività ma da discrasie delle movimentazioni bancarie” e lo stesso contribuente aveva depositato “presso la Guardia di Finanza la documentazione richiestagli”, cosicchè, non essendosi in presenza di un accesso, non era operante il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il ricorrente ha depositato memoria il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, avendo la C.T.R. ritenuto di escludere l’applicabilità della predetta disposizione, isolando dall’attività di verifica negli uffici del contribuente le indagini sulle movimentazioni bancarie pure compiute dai verificatori.

2. La censura è fondata.

Le Sezioni Unite di questa Corte (investite con l’ordinanza interlocutoria della Sezione Sesta Tributaria di questa Corte n. 527/2015, citata dalla ricorrente nel presente ricorso) hanno affermato il seguente principio di diritto (Cass. 24823/2015): “Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante” in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Le Sezioni Unite hanno quindi precisato le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente “in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente”, valutati il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”) e, soprattutto, quello della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1 (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite in loco), che, esplicitamente, si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”,ad operazioni, cioè, che costituiscono categorie d’intervento accertativo dell’Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, richiamato, in tema di imposte dirette dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1 e, in materia di imposta di registro, dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis, ipotesi tutte “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale contro bilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”.

Questa Corte ha ribadito, confermando l’orientamento del giudice di legittimità già formatosi, che le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, pur applicandosi esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni è verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, prescindono “dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali (cfr.: Cass. 15010/14, 9424/14, 5374/14, 2593/14, 20770/13, 10381/11)”. Rileva invero, al fine di giustificare, come controbilanciamento, la necessità del contraddittorio, che si sia trattato di verifiche, tipizzate, caratterizzate “dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli”.

Nella specie, si verteva in ipotesi di controllo fiscale effettuato previo accesso, presso gli uffici del contribuente, proprio al fine di ricerca ed acquisizione documentale, sia pure accompagnato da contestuali indagini finanziarie avviate per via telematica e con consegna di ulteriore documentazione da parte dell’accertato. La sentenza della C.T.R. non è pertanto in linea con i principi di diritto sopra richiamati.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla C.T.R. della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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