Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10987 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/06/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 09/06/2020), n.10987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10039/2016 proposto da:

T.I., in proprio e nella qualità di esercente la potestà

genitoriale sul figlio minore I.S., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA RIPETTA 22, presso lo studio degli avvocati SERGIO

RUSSO e FRANCESCO SCOZZAFAVA, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

AIG EUROPE LTD, già CHARTIS EUROPE S.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA UNITA’ 13, presso lo studio dell’avvocato LUISA RANUCCI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO FERRATI;

SIPRO SICUREZZA PROFESSIONALE S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARBERINI 47, presso lo studio dell’avvocato MARIALUCREZIA TURCO,

che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6833/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/10/2015 r.g.n. 6533/2012.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 6833/2015, depositata il 13 ottobre 2015, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza, con la quale il Tribunale della medesima sede, pronunciando nella causa promossa da T.I., in proprio e quale genitore esercente la potestà sul minore I.S., nei confronti di Controlsecurity S.r.l. e della sua assicuratrice Chartis Europe SA, aveva escluso la responsabilità della datrice di lavoro nel decesso di I.M., verificatosi a seguito di sinistro stradale il (OMISSIS) durante un servizio di pattugliamento, e respinto le domande tutte di natura risarcitoria proposte dalla ricorrente;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la T., affidandosi a cinque motivi, cui hanno resistito con distinti controricorsi Sipro Sicurezza Professionale S.r.l., quale incorporante la Controlsecurity S.r.l., e AIG Europe Ltd (già Chartis Europe SA);

– che hanno successivamente depositato memoria la ricorrente e la soc. Sipro Sicurezza Professionale in Amm.ne Straordinaria, la quale ha altresì depositato documenti volti alla dichiarazione di interruzione del processo;

rilevato:

che con il primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza in relazione alla violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la Corte d’appello di Roma omesso di motivare le proprie conclusioni o per avere reso una motivazione soltanto apparente, tale da non consentire di individuare le ragioni giustificatrici della decisione, anche con riferimento alla mancata ammissione della prova per testi e della consulenza tecnica d’ufficio;

– che con il secondo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 2 e di varie disposizioni collettive (artt. 71, 72, 79 e 81 del CCNL di settore 20042008), per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che nell’attività di vigilanza privata fossero consentite illimitate deroghe all’orario di lavoro e ai riposi e che, pertanto, dovesse considerarsi legittimo l’orario osservato dal lavoratore, sebbene esso, avendone provocato l’usura psico-fisica, fosse stato il fattore causale determinante del sinistro;

– che con il terzo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 c.c., per avere la Corte escluso l’esistenza del nesso eziologico – tra il decesso dello I. e l’orario di lavoro dal medesimo osservato nel periodo precedente al sinistro – sulla base del rapporto dei Carabinieri, che aveva indicato come probabile causa dell’incidente esclusivamente la elevata velocità dell’autoveicolo e non un malore fisico o un guasto meccanico, in tal modo attribuendo ad una condotta colpevole del lavoratore (peraltro solo presunta) carattere esimente ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale e disattendendo i parametri di determinazione della causalità rilevante per l’accertamento della stessa;

– che con il quarto motivo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, fatti consistiti nella qualità di giovane apprendista rivestita dallo I. e nel difetto di un’adeguata formazione per il servizio di pattugliamento, nel mancato godimento dei riposi compensativi e delle ferie e nella particolare gravosità dei turni di lavoro sostenuti nel periodo settembre – novembre 2007, nell’assegnazione al ben più complesso servizio di pattugliamento, in luogo di quello di piantonamento, malgrado la società conoscesse la durata e gravosità del turno precedente;

– che con il quinto viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte pronunciato sullo specifico motivo di appello concernente il diritto al risarcimento del danno derivante da usura psico-fisica;

osservato:

preliminarmente che l’istanza di interruzione del processo è inammissibile nel giudizio di legittimità (Cass. n. 8685/2012);

– che il primo motivo di ricorso è infondato, posto che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U. n. 22232/2016; conforme, fra le molte, Cass. n. 13977/2019); mentre, nella specie, la Corte di appello ha chiaramente e ampiamente motivato il proprio convincimento, anche nella parte in cui ha ritenuto “del tutto irrilevante ai fini della decisione la prova per testi” e respinto la richiesta di una C.T.U. medico-legale, stante “la natura assolutamente esplorativa” di tale istanza, avuto riguardo al complesso del materiale probatorio acquisito al giudizio ed anche alla rilevata carenza di “specifiche allegazioni in ordine alle negative conseguenze che si sarebbero determinate sull’equilibrio psico-fisico dello I. a causa degli orari di lavoro da lui espletati” (cfr. sentenza, p. 11);

– che il secondo motivo è da considerarsi inammissibile per difetto di specificità rispetto alla decisione impugnata, la quale non ha affermato in alcun luogo la possibilità per le imprese della vigilanza privata di derogare senza limiti alla disciplina relativa all’orario di lavoro e ai riposi, ma ha fondato la ritenuta esclusione della violazione degli artt. 2087 e 2043 c.c., su un insieme di elementi, fra i quali, previa ricognizione della normativa di settore, sia di fonte legale che contrattuale, la “circostanza pacifica” che il lavoratore “prima di prendere servizio la sera nella quale egli è poi deceduto – aveva fruito di 15 ore di riposo” e cioè di un riposo di durata “superiore al limite contrattualmente stabilito in 11 ore” (cfr. ancora sentenza impugnata, p. 11);

– che parimenti inammissibile risulta il terzo motivo, il quale si limita ad estrapolare taluni passaggi motivazionali (e cioè quelli relativi alle conclusioni del rapporto dei Carabinieri) senza tuttavia prendere nella necessaria considerazione il più diffuso e articolato percorso argomentativo in cui gli stessi si trovano inseriti e che ha condotto la Corte di appello a negare la sussistenza del nesso eziologico tra orario di lavoro e decesso del lavoratore: percorso in cui il giudice di merito ha valutato anche, componendole in un quadro unitario e univoco, la fruizione, prima dell’inizio del servizio, di un turno di riposo maggiore di quello contrattualmente previsto; la carenza di specifiche allegazioni circa le negative conseguenze che si sarebbero determinate sull’equilibrio psico-fisico dello I. a causa degli orari di lavoro dallo stesso espletati; la mancanza di documentazione medica che potesse confermare la “sussistenza di una particolare condizione di malessere psico-fisico del defunto nel periodo immediatamente antecedente” al sinistro stradale (p. 11);

– che, d’altra parte, si deve ribadire che “la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5)”: Cass. n. 13395/2018, fra le numerose conformi; mentre, nel caso di specie, non risulta che la sentenza di appello si sia discostata da tale essenziale regola di ripartizione degli oneri probatori, come non risulta alcuna affermazione in diritto che possa sostenere il vizio denunciato, nè in termini di esatta definizione della portata delle norme indicate, nè in termini di corretta sussunzione della fattispecie concreta entro l’ambito del loro perimetro applicativo;

– che non può trovare accoglimento neppure il quarto motivo, con il quale la ricorrente deduce ex art. 360, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione fra le parti: sia perchè essi, nella loro sostanza, hanno formato oggetto di considerazione in sentenza, ove complessivamente letta e valutata; sia, e soprattutto, in quanto di tali fatti

– tanto presi singolarmente, come assunti in una loro ipotetica convergenza – non risulta dimostrata, al di là di una riproposizione degli argomenti già spesi dalla ricorrente nelle fasi di merito, l’attitudine ad incrinare il ragionamento seguito dalla Corte di appello a fondamento e giustificazione della propria decisione, e cioè nel senso di condurre ad un esito diverso della controversia (Sez. U. n. 8053 e n. 8054/2014, oltre alle successive conformi), a fronte di motivazione che – come già ripetutamente notato in sede di esame di tutti i motivi precedenti – si snoda su di una pluralità di accertamenti e di convergenti rilievi;

– che è altresì infondato il quinto motivo, dovendo ritenersi che la Corte di appello abbia implicitamente esaminato e disatteso il motivo di gravame concernente il risarcimento del danno da usura psico-fisica, là dove ha sottolineato la carenza di specifiche allegazioni e di documentazione medica sul punto, e ciò in piena aderenza al consolidato orientamento di questa Corte (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 11581/2014);

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate per ciascuna delle controricorrenti in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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