Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10983 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. I, 26/04/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 26/04/2021), n.10983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20206/2016 proposto da:

M.F.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Secchi

n. 9, presso lo studio dell’avvocato Zimatore Valerio, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Monte Santo n. 10/a, presso lo studio dell’avvocato Orsini

Alessandro, rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico Albino,

Reda Giuseppe, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 897/2015 del TRIBUNALE di CATANZARO, del

10/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/02/2021 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso affidato a due motivi, viene impugnata la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 10 giugno 2015 – avendo la Corte d’appello della stessa città, con ordinanza del 17 giugno 2016, ritenuto l’appello inammissibile ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. – con la quale è stata dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da M.F.M. contro la S.G.A. s.p.a., recante condanna del predetto al pagamento della somma di Euro 183.355,57, dovuta in restituzione di un finanziamento, oltre accessori.

Ha ritenuto il giudice di primo grado che l’opposizione fosse stata proposta tardivamente, senza la prova dei requisiti ex art. 650 c.p.c., con la conseguente inammissibilità del ricorso.

Resiste con controricorso l’intimata.

Il ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 e 143 c.p.c., in quanto quest’ultima disposizione è applicabile solo ove l’attuale residenza non sia conosciuta o conoscibile, mentre controparte ben sapeva dove egli risiedeva; e, in caso di assenza solo momentanea dall’abitazione, non può eseguirsi la notifica ex art. 143 c.p.c.

Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia violazione degli artt. 153 e 644 c.p.c., in quanto la banca solo in data 9.11.2012 aveva provveduto a richiedere la notifica del decreto ingiuntivo a mezzo posta e, poi, solo in data 6.12.2012 mediante gli ufficiali giudiziari di Roma, indicando tuttavia un indirizzo incompleto, onde solo il 17.12.2012 richiedeva ulteriore notificazione ex art. 140 c.p.c., non perfezionatasi. Dunque, la rimessione in termini non avrebbe dovuto essere concessa e, comunque, la notificante, cui era noto l’indirizzo di residenza, avrebbe dovuto utilizzare le forme di cui all’art. 140 c.p.c. La proroga del termine per notificare è quindi illegittima, in quanto, atteso l’art. 644 c.p.c., piuttosto la creditrice avrebbe dovuto riproporre un nuovo ricorso monitorio.

2. – La sentenza impugnata ha ritenuto che l’opposizione sia stata proposta tardivamente, senza la prova dei requisiti ex art. 650 c.p.c.: infatti, ha rilevato che del decreto ingiuntivo, depositato il 19.10.2012, la creditrice tentò la notifica il 9.11.2012, non andata a buon fine per essere il destinatario “sconosciuto” all’indirizzo anagrafico; anche i successivi tentativi non andarono a buon fine, in quanto quella a mani non fu eseguita, mentre un terzo tentativo ai sensi dell’art. 140 c.p.c. parimenti ebbe esito negativo, in quanto dichiarato “sconosciuto” il nominativo presso la residenza del destinatario.

A quel punto, la creditrice ha chiesto ed ottenuto la rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2, con conseguente nuovo tentativo di notificazione a mani proprie nella residenza anagrafica, senza esito, per avere l’ufficiale giudiziario ivi rinvenuto persona non qualificatosi, che ha dichiarato essere il destinatario “trasferito”; infine, ha eseguito la notificazione ai sensi dell’art. 143 c.p.c. il 27.5.2013, dopo i plurimi accertamenti e tentativi descritti.

Dunque, ha concluso il Tribunale, la proposta opposizione al decreto ingiuntivo il 20.2.2014, essa si palesa tardiva.

3. – Il primo motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha da tempo affermato che l’ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l’ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando, al fine del legittimo ricorso alle modalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c., deve essere valutata in relazione a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell’art. 1147 c.c. e non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all’acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell’art. 139 c.p.c., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata; ne consegue l’adeguatezza delle ricerche svolte in quelle direzioni (uffici anagrafici, ultima residenza conosciuta) in cui è ragionevole ritenere, secondo una presunzione fondata sulle ordinarie manifestazioni della cura che ciascuno ha dei propri affari ed interessi, siano reperibili informazioni lasciate dallo stesso soggetto interessato, per consentire ai terzi di conoscere l’attuale suo domicilio (residenza o dimora) (Cass. 31 luglio 2017, n. 19012; Cass. 4 giugno 2014, n. 12526).

Il giudice del merito si è attenuto a tale principio, onde la sua decisione non merita censure.

Neppure ha pregio l’assunto del ricorrente, secondo cui la conoscenza dell’ultimo luogo di residenza escluderebbe il ricorso al procedimento notificatorio di cui all’art. 143 c.p.c.: al contrario, come anche la controricorrente ha osservato, proprio tale norma presuppone – con la previsione del deposito dell’atto in primis presso la casa comunale dell’ultima residenza – che non sia affatto ignoto il luogo della residenza, sebbene non più corrispondente a quella effettiva.

A ciò si aggiunga il richiamo del condivisibile principio secondo cui, ai fini dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c., la forza maggiore ed il caso fortuito si identificano rispettivamente in una forza esterna ostativa in modo assoluto ed in un fatto di carattere oggettivo avulso dall’umana volontà e causativo dell’evento per forza propria: dette circostanze non possono, pertanto, essere invocate nell’ipotesi di mancata conoscenza del decreto determinata da assenza dalla propria residenza, configurandosi l’allontanamento come un fatto volontario ed essendo imputabile all’assente il mancato uso di cautele idonee a permettere la ricezione o almeno la conoscenza delle missive pervenutegli nel periodo di assenza (Cass. 4 luglio 2019, n. 17922; Cass. 24 ottobre 2008, n. 25737, rese con riguardo alla notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c.).

Il medesimo principio va esteso all’ipotesi, come quella di specie, in cui il soggetto si sia trasferito dall’ultima residenza, senza curare di aggiornare le risultanze anagrafiche, di tal che il notificante sia costretto a ricorrere, rispettandone tutte le formalità, alla notificazione agli irreperibili, ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

Infatti, il Tribunale ha fatto corretta applicazione sia dell’art. 153 c.p.c., che prevede la rimessione in termini della parte che sia incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile, sia delle regole sul procedimento notificatorio ex art. 143 c.p.c.

4. – Il secondo motivo è del pari infondato.

Richiamato quanto appena esposto, con riguardo alla reiterata pretesa di reputare invalida la notificazione eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. dalla controricorrente, si deve ancora osservare come la questione della rimessione in termini della banca intimante ai sensi dell’art. 153 c.p.c. rileverebbe solo ai fini della eventuale declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 644 c.p.c., la quale potrebbe essere adottata solo in presenza di un’opposizione ammissibile: evenienza, però, esclusa dal giudice a quo.

5. – La condanna alle spese di lite segue la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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