Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10982 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. I, 26/04/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 26/04/2021), n.10982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 16908/2015 proposto da:

(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del l.r.p.t., rappr. e

dif. dall’avv. Giuseppe Pierfrancesco Mussumeci,

pierfrancesco.mussumeci.bergamo.pecavvocati.it, elett. dom. presso

il suo studio, in Bergamo, via Casalino n. 13, come da procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del cur.

fall. p.t.;

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BRESCIA PROCURA

GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BRESCIA PROCURA GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA, n.

611/2015, pubblicata in data 18 maggio 2015, rep. n. 684/2015, in

R.G. 1271/2014.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 17 novembre 2014, il Tribunale di Bergamo pronunciava – su richiesta di P.M. e creditori – il fallimento della società (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, dopo aver dichiarato inammissibile, con decreto deliberato L.Fall., ex art. 162, comma 2, la domanda di concordato presentata dalla medesima società; la Corte d’appello di Brescia respingeva il conseguente reclamo, interposto L.Fall., ex art. 18 dalla società stessa;

2. la corte ha premesso che, secondo il tribunale: (i) il piano aveva carattere liquidatorio, con integrale pagamento delle spese in prededuzione e dei creditori privilegiati, e con indicazione, quanto ai creditori chirografari, di una percentuale di soddisfacimento del 5,7%; (ii) il medesimo piano prospettava la liquidazione di beni e la riscossione di crediti entro un triennio; (iii) il fabbisogno concordatario era ricavato dalla vendita di una pluralità di cespiti, tra i quali un terreno che ancora non faceva parte del patrimonio della società, perchè oggetto di un preliminare di compravendita, senza che fosse intercorsa la stipula del definitivo; (iv) non vi era certezza dell’effettiva possibilità di disporre del predetto terreno, in assenza di spiegazioni in merito alla mancata stipula del definitivo; (v) di conseguenza, non appariva corretta la relativa indicazione nel piano, dovendosi detrarre dall’attivo disponibile la posta di Euro 150.000 – senza rilievo della circostanza dell’integrale pagamento del prezzo da parte della società, promissaria acquirente; (vi) l’attivo, così rideterminato, precludeva il soddisfacimento dei creditori chirografari, sicchè il piano proposto non consentiva di realizzare la causa concreta del concordato;

3. ancora per la corte, (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione proponeva reclamo L.Fall., ex art. 18, censurando la statuizione del tribunale nella parte in cui aveva ritenuto che la mancata stipula del definitivo impedisse di inserire il bene immobile, oggetto del preliminare, nell’attivo concordatario, senza considerare che i beni esistevano e non riportavano oneri, benchè ancora non realizzata la prospettata edificabilità e nel frattempo era stato reperito un altro soggetto disposto a sottoscrivere un preliminare d’acquisto; rigettando il reclamo, era così evidenziato che: (i) il predetto bene non faceva parte del patrimonio della reclamante, vista l’efficacia soltanto obbligatoria e non traslativa del preliminare, posto che il rogito – pur previsto con la prima scrittura del 2012 – era stato convenuto a realizzo del piano attuativo da parte del Comune di appartenenza; (ii) non poteva essere sovvertito l’apprezzamento del tribunale in punto di dubitabile portata economica e certezza della posizione acquisita dal terzo, quale “mera dichiarazione di intenti, peraltro estremamente generica”, da parte della società REMMS s.a.s circa la propria disponibilità a subentrare nel contratto, nella veste di promissaria acquirente;

4. la società (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi: (i) con il primo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si censura la sentenza per non avere attribuito valore economico al contratto preliminare di compravendita ed averne quindi negato l’incidenza sull’attivo concordatario, nonostante il pagamento già avvenuto dell’intero prezzo e la disponibilità al subentro del terzo, debitamente rafforzata dal versamento di acconto; (ii) con il secondo, ex art. 360 c.p.c., n. 3), è denunciata la violazione degli artt. 1350 e 1401 c.c., con riferimento alla valutazione dell’obbligo assunto dall’intervenuta società REMMS s.a.s., da un lato, quale promissaria acquirente del bene (per 155 mila Euro) in virtù del secondo preliminare stipulato con la stessa (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, dall’altro, quale subentrante nel primo contratto preliminare, asseritamente stipulato con riserva di nomina della parte promissaria acquirente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi, riuniti in trattazione perchè connessi, non sono meritevoli di accoglimento, risultando per ogni profilo inammissibili; in primo luogo, le censure non colgono la ratio decidendi del provvedimento impugnato, ove denunciano che la corte territoriale avrebbe negato il valore obbligatorio del contratto preliminare; al contrario, al di là della sintesi espositiva, è proprio in considerazione dell’efficacia meramente obbligatoria di esso che la sentenza ha ritenuto l’immobile non acquisito al patrimonio della ricorrente, così motivatamente escludendo il bene dall’attivo concordatario per difetto di certezza giuridica ed economica della relativa composizione;

2. come noto, infatti, dal contratto preliminare sorge in capo ai contraenti l’obbligazione – avente ad oggetto un facere infungibile, consistente nella prestazione di un’attività negoziale – di concludere il definitivo; mentre l’efficacia traslativa della proprietà è da ascriversi unicamente al contratto definitivo di vendita (ed è altresì conseguibile ope iudicis, ex art. 2932 c.c., per il caso di inadempimento dell’obbligo di concludere il contratto); la prospettata ricostruzione del preliminare quale negozio ad efficacia soltanto obbligatoria ed in assenza di altri elementi contaminativi dello schema ordinario, risulta, del resto, pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte, ove si distingue tra efficacia obbligatoria del preliminare ed efficacia reale del definitivo, tra le altre, in Cass. n. 21381 del 2006, per cui “il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta nel primo caso ad impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà, e nel secondo ad attuare il trasferimento stesso”; così come anche le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia n. 21045 del 2009 in tema di trascrizione del preliminare ex art. 2645-bis c.c., hanno fatto espresso riferimento alla “natura meramente obbligatoria” e alla “inidoneità di tale contratto a determinare il trasferimento del diritto reale” (implicitamente disattendendo, come osservato dalla successiva Cass. n. 26102 del 2016, la tesi che configura il preliminare quale contratto di vendita ad effetti obbligatori); ne consegue la corretta affermazione, esplicitata in sentenza, della impossibilità giuridica di includere il bene come tale, oggetto del preliminare, nell’attivo concordatario pienamente disponibile della promissaria acquirente;

3. del pari inammissibile è la pretesa di includere comunque all’attivo (non già l’immobile in sè, bensì) una posta corrispondente all’esatto valore del bene indicato in contratto, a dispetto della sua altruità, valorizzando la mera efficacia obbligatoria del preliminare; si tratta di una pretesa che si risolve, ancora una volta, nel tentativo di superare l’evidenza giuridica, presupposta in sentenza, per cui il cespite non fa parte del patrimonio della promissaria acquirente, così che la sua consistenza economica non potrebbe essere inclusa tout court all’attivo, prescindendo dalla stipula del definitivo di vendita ma a quello facendo riferimento;

4. altra e diversa questione, per come introdotta con il primo motivo dalla ricorrente – che censura in parte qua il difetto di motivazione della sentenza impugnata – è dunque quella del valore economico attribuibile, nella prospettiva dell’attivo concordatario, al contratto preliminare in sè considerato; sul punto, deve rilevarsi che, pur quando la ricorrente fa espresso riferimento al valore del contratto preliminare (nel senso della idoneità del contratto, ex se, a costituire parte dell’attivo), al contempo essa continua impropriamente a evocare (proprio e solo) il valore di scambio espresso nel negozio al bene evidenziando ad esempio che “il terreno (…) oggetto del contratto preliminare (…) è stato iscritto tra le poste attive”, ovvero che l’importo di 150.000,00 Euro era stato contabilizzato tra le attività patrimoniali, in quanto corrispondente al valore attribuito al terreno dalla perizia di stima effettuata “sui beni della società”;

5. al proposito, l’indagine sul valore economico da ascriversi al contratto preliminare – astrattamente esperibile – non può refluire nella surrettizia inclusione, sic et simpliciter, del bene all’attivo, annoverandone il valore – in thesi coincidente con il prezzo di vendita tra gli elementi positivi del fabbisogno concordatario, tanto più che la parte, offrendosi di contestare il giudizio della corte, non ne coglie altra ratio decidendi, assunta ove si esprime adesione all’accertamento del tribunale, circa la mancanza di spiegazione circa la non conclusione del definitivo stesso, a distanza di tre anni; a sua volta, a fronte della contestazione della sentenza per cui lo stesso immobile era stato promesso in vendita altresì ad una società ancora diversa e alla quale era comune una vicenda partecipativa ad un piano attuativo comunale, il ricorso si limita, del tutto insufficientemente, ad invocare che si trattava di una “porzione distinta e diversa”, senza indicare ove il tema sia stato almeno affrontato ed introdotto in termini più specifici e alternativi nel merito, accanto all’altra questione posta in sentenza, e cioè l’apparente rinvio del rogito in realtà al completamento del predetto piano pubblicistico, su cui i motivi nulla dicono in termini di critica pertinente;

6. nè la questione del valore contabile del preliminare evidenzia analogia con la diversa fattispecie della vendita con riserva della proprietà ex art. 1523 c.c., posto che questa integra un’ipotesi di cd. vendita ad effetti traslativi differiti, per cui al pagamento dell’ultima rata del prezzo si determina, in via automatica, il trasferimento della proprietà del bene (che rinviene la sua giustificazione causale già nel contratto di vendita); sicchè, attesa la essenziale diversità di struttura tra vendita con riserva della proprietà (qui non ricorrente) e contratto preliminare di vendita – in cui il trasferimento del diritto dipende dal compimento di una ulteriore attività negoziale (ovvero, in mancanza, dall’esperimento di una azione giudiziale) e non già soltanto dall’adempimento dell’obbligo di pagare il prezzo -, non è predicabile l’applicazione al contratto preliminare de quo dei criteri di contabilizzazione della vendita a rate ex art. 1523 c.c.; del resto, proprio in quanto l’acquisto è condizionato al pagamento delle rate del prezzo da parte del compratore, la consistenza economica del contratto di vendita con riserva della proprietà è di più agevole individuazione, tenuto conto da un lato del valore del bene, dall’altro delle rate residue ancora da versare; viceversa, con riferimento alla fattispecie del preliminare, i profili di incertezza in ordine al conseguimento del bene sono strutturalmente genetici, già da un punto di vista economico, stante l’effetto traslativo appunto rimesso all’attività negoziale di entrambi i contraenti, ovvero al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva resa ex art. 2932 c.c.; senza contare, si aggiunge, che il promissario acquirente risulta comunque esposto al rischio di una successiva alienazione del bene a terzi da parte del promittente venditore (residuando in questa ipotesi la mera tutela risarcitoria), ad eventi pregiudizievoli reali e considerato che l’efficacia prenotativa assicurata dalla trascrizione del preliminare ex art. 2645 bis c.c. – circostanza comunque non emersa in giudizio – viene meno ove non segua, entro tre anni dalla predetta trascrizione, la trascrizione del definitivo (salva beninteso la trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c.);

7. riportate queste premesse, per vagliare l’attitudine del contratto preliminare a costituire una componente autonoma dell’attivo concordatario, non si può prescindere allora dal considerare che il piano proposto dalla ricorrente aveva carattere liquidatorio e prospettava proprio la dismissione di beni; e che anzi uno degli aspetti fondanti della proposta riguardava esattamente la distribuzione, in favore dei creditori, del ricavato della vendita del terreno di cui la ricorrente non era tuttavia proprietaria, bensì soltanto promissaria acquirente; ne consegue la pacifica estraneità del bene in oggetto – anche per questa via e secondo il valore prospettato – al patrimonio della ricorrente, causa il correlativo, intrinseco, coefficiente di incertezza in ordine alla sua effettiva acquisizione, sembrando la tesi già astrattamente collidere con la pratica realizzabilità dell’attività di monetizzazione in cui si esprime il carattere liquidatorio del concordato, cioè essa integrando di per sè un rilevante ostacolo che si frappone alla fattibilità;

8. i convergenti riscontri fattuali, unitariamente apprezzati, sono stati ritenuti indicativi della impossibilità di considerare il contratto preliminare alla stregua di utilità economica ragionevolmente attuale o di breve prospettiva, almeno nei termini costantemente rivendicati e comunque idonea a supportare l’attività liquidatoria prevista dal piano di concordato, con preclusione della sua stessa complessiva fattibilità; su tale presupposto, la corte territoriale, e in precedenza il Tribunale di Bergamo (alla cui decisione la prima ha fatto espresso rinvio), ha ritenuto che, nella prospettiva della liquidazione prevista dal piano, il suddetto contratto non risultasse seriamente apprezzabile nella sua consistenza economica, sulla base di una serie di apprezzamenti insuscettibili di rivisitazione nella sede di legittimità (Cass. s.u. 8053/2014);

9. alla giustificazione di tale conclusione si perviene anche isolando il secondo contratto preliminare stipulato dalla ricorrente (ora in veste di promittente venditrice) in data 15 aprile 2014 con la società REMMS s.a.s., rispetto alla ulteriore dichiarazione di quest’ultima, recante la disponibilità a subentrare nell’originario preliminare di vendita, in luogo della medesima debitrice concordataria; al di là del non ordinato dispiegamento, talora incoerente, di una pluralità di strumenti negoziali, che in certa misura costituisce riprova della emersa difficoltà di conseguire il trasferimento del terreno dall’originario promittente venditore, va evidenziato che non appare ravvisabile la denunciata violazione, da parte della corte territoriale, delle norme di cui agli artt. 1350 e 1401 c.c.; nell’ottica della determinazione dell’attivo concordatario, il secondo contratto preliminare si configura a valore del tutto incerto, poichè propriamente preliminare di vendita di cosa altrui, posto che, in virtù di tale strumento, la ricorrente si era obbligata a trasferire a REMMS s.a.s. la proprietà di un bene di cui, come visto, non aveva ancora acquisito la titolarità, in mancanza della conclusione del definitivo tra l’originario venditore e la ricorrente stessa;

10. ne consegue che, a nulla rilevando la corresponsione da parte di REMMS s.a.s. di un acconto sul prezzo, anche tale successivo negozio sconta l’insuperabile e genetica incertezza – motivatamente e chiaramente apprezzata dal giudice del merito – relativa al prioritario acquisto del bene da parte della ricorrente; per di più, come ammesso dalla stessa ricorrente, il secondo contratto preliminare risulta sospensivamente condizionato (proprio) all’omologa del concordato, sicchè non potrebbe essere comunque invocato, in forza di un ragionamento manifestamente elusivo dell’onere di fornire valori attuali o ragionevolmente certi all’attivo offerto ai creditori, a sostegno dell’ammissione alla procedura di concordato (solo menzionando l’inconferenza della tesi della ricorrente, per cui la “condizione sospensiva non inficia il prodursi dei normali effetti obbligatori contrattuali”);

11. per altro verso, con riguardo alla ulteriore ipotesi di subentro della società REMMS s.a.s. nel primo contratto preliminare, asseritamente per persona da nominare, la questione – oltre a risultare rappresentata secondo canoni di non sufficiente completezza e sufficienza, dunque apparendo nuova – ha trovato indiretta smentita in sentenza, ove la corte ha rilevato la genericità della dichiarazione di REMMS s.a.s. e la inidoneità della vicenda, per come esposta, a consentire una “consapevole decisione” dei creditori; il ricorso pecca del limite di omessa riassunzione o trascrizione dei termini almeno essenziali del citato impegno, così precludendo l’esame di denunciata trascuratezza di controllo e risolvendosi in una censura di ordine meritale, come tale inammissibile, poichè la violazione di legge non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (ex multis, Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013);

12. quanto poi alla impossibilità di includere nell’attivo concordatario un bene che non fa parte del patrimonio della ricorrente, e il cui acquisto sia subordinato al perfezionarsi di una vicenda negoziale, va peraltro osservato che il caso oggetto del presente giudizio evidenzia – nonostante la non coincidenza di fattispecie – significativi profili di analogia, per principi, con quello esaminato di recente in Cass. n. 16299 del 2018; con la richiamata ordinanza, la Corte ha rigettato la censura della ricorrente che si doleva della mancata inclusione, nell’attivo concordatario, di un immobile che la stessa aveva venduto (e di cui, pertanto, non era titolare) ma che, non essendole stato corrisposto il prezzo, confidava di riacquisire per effetto della risoluzione del contratto di vendita; segnatamente, è stato così osservato che il giudice di merito non aveva ecceduto “i limiti che gli sono propri nel controllo della fattibilità giuridica della proposta concordataria, mantenendo il proprio sindacato su aspetti tipicamente giuridici, quali la verifica dell’appartenenza del menzionato immobile alla società proponente ovvero dell’esistenza di documenti volti a comprovare la volontà di retrocederlo alla medesima proponente ovvero di un effettivo adoperarsi delle parti di quel contratto per la realizzazione di un tale effetto”.

13. va conclusivamente ripetuto che la sentenza appare conforme all’elaborazione giurisprudenziale in tema di causa concreta del concordato preventivo e necessario giudizio positivo della sua realizzabilità, secondo il progetto insito nel piano proposto, alla luce di un controllo sul contenuto finalizzato a stabilirne l’idoneità ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante il previsto soddisfacimento dei crediti rappresentati; per cui, mentre il sindacato sulla non incompatibilità del piano con norme inderogabili non incontra particolari limiti, quello sulla sua realizzabilità può essere operato entro la verifica della sussistenza di una manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati, con la conseguenza che la proposta concordataria deve ritenersi sempre sindacabile, ove risulti totalmente implausibile (cfr. Cass. n. 9061 del 2017, nonchè Cass. n. 4915 del 2017 e Cass. n. 5825 del 2018);

il ricorso va dunque rigettato;

sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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