Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10974 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 06/05/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 06/05/2010), n.10974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21479-2006 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

CARSO 63, presso lo studio dell’avvocato BURIGANA FRANCESCO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SUNIA – SINDACATO UNITARIO INQUILINI ASSEGNATARI, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato NIGRO SAVERIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFONE NINO,

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 515/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 15/07/2005 R.G.N. 823/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2010 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato BURIGANA FRANCESCO per delega, udito l’Avvocato

RAFFONE NINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 1 giugno 2000 la Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, respingeva la domanda di B.G. intesa ad ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del SUNIA (Sindacato unitario inquilini e assegnatari), o in subordine di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in relazione all’attività lavorativa da lui prestata nel periodo 1 marzo 1989-31 ottobre 1993, e la condanna del predetto sindacato al pagamento delle relative differenze retributive.

All’esito di rigetto della domanda attorea la Corte territoriale perveniva in base all’accertamento della inesistenza di un assoggettamento del B. a poteri direttivi e organizzativi del sindacato, che la sua attività, analogamente a quanto era avvenuto per un precedente periodo decennale, si era caratterizzata per lo “spirito volontaristico” e il “titolo gratuito” delle prestazioni, mentre gli indirizzi di politica associativa dati dal sindacato non erano qualificabili alla stregua di ordini gerarchici.

2. Tale sentenza veniva annullata dalla Corte di cassazione, che, con sentenza del 30 ottobre 2003, accogliendo il ricorso del lavoratore, cassava la sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Genova, rilevando che l’esclusione della subordinazione era stata ritenuta dai giudici di merito in base a motivazione insufficiente, in quanto erano state trascurate alcune significative risultanze, “in relazione ad un servizio di assistenza sindacale che per funzionare in maniera efficiente necessita, secondo criteri di comune esperienza, di precise cadenze e modalità organizzative e, verosimilmente, di direttive operative non esclusivamente di carattere ideologico”.

3. Con sentenza del 15 luglio 2005 la Corte d’appello di Genova, quale giudice di rinvio, premesso che la decisione rescindente della Cassazione aveva rimesso l’accertamento di merito dei caratteri del rapporto lavorativo senza indicazioni vincolanti, respingeva la domanda del B. sul rilievo che:

a) l’attore aveva fondato la sua pretesa sul presupposto che il rapporto lavorativo, originariamente gratuito e su basi volontaristiche, aveva poi subito una novazione, in relazione al periodo oggetto della controversia, ma non era emersa alcuna prova riguardo alla avvenuta modificazione nel senso della subordinazione e della onerosità;

b) in particolare, egli stesso aveva affermato di agire come consulente presso due sedi SUNIA del Piemonte, dando supporto ai legali e agli assistiti nelle procedure di conciliazione delle vertenze, e le dichiarazioni del segretario del sindacato, rese peraltro nell’ambito di un processo penale instaurato a carico del B. e definite poco attendibili dal giudice penale, e comunque valutate alla stregua delle indicazioni date dalla sentenza della Cassazione, nulla avevano provato in senso contrario che il riferimento alla obbligatoria presenza del ricorrente per due pomeriggi a settimana per ricevere il pubblico era ben compatibile con un impegno di carattere volontario;

c) la procedura disciplinare che aveva determinato la cessazione della collaborazione non era collegata alla violazione di obblighi di presenza, ma era conseguita alla contestazione di comportamenti confliggenti con la linea del sindacato;

d) la subordinazione non era emersa da alcun altro indice rivelatore, essendo risultato, in particolare, che il B. tratteneva il proprio compenso dagli incassi del tesseramento degli iscritti e provvedeva con i proventi di tale tesseramento alle spese di gestione della sede, sì che in definitiva il compenso non era fisso ma era collegato al numero degli iscritti;

e) la domanda subordinata relativa a crediti retributivi connessi ad attività coordinata e continuativa doveva ritenersi abbandonata in assenza di formulazione di motivi a sostegno di tale configurazione del rapporto.

4. Contro questa decisione ricorre per cassazione il B. con tre motivi.

Il SUNIA resiste con controricorso, precisato con successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione e violazione dei limiti del giudizio di rinvio, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Genova abbia compiuto una valutazione ex novo dei fatti di causa del tutto svincolata dalle precise indicazioni della sentenza della Corte di cassazione che, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., aveva specificato gli elementi logici e fattuali da ritenere siccome acquisiti, quali la eterodirezione e gli obblighi di orario.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c..

Si lamenta che la decisione impugnata abbia attribuito al lavoratore di provare la onerosità del rapporto, sul mero presupposto della esistenza di un pregresso periodo di lavoro gratuito, trascurando, peraltro, che la testimonianza valutata in base alle indicazioni della Corte di cassazione si era riferita, in via esclusiva, ad un unico rapporto di lavoro; si lamenta, poi, che la medesima decisione abbia, comunque, escluso la decisività dell’assoggettamento del B. al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, quale emergente dalle risultanze istruttorie, che avevano evidenziato, per il periodo in contestazione, la prestazione di un’attività svolta a tempo pieno, con l’assunzione della responsabilità di due sezioni del sindacato, secondo connotazioni proprie della subordinazione, quali l’obbligo di presenza per due pomeriggi a settimana, l’assenza di rischio economico in proprio, la corresponsione di una vera e propria retribuzione, se pure derivante dagli introiti del tesseramento degli iscritti al sindacato.

3. Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione, il ricorrente deduce che la domanda subordinata sia stata erroneamente considerata come “abbandonata” in quanto non supportata da specifici motivi, mentre, in realtà, si trattava di domanda fondata sugli stessi fatti posti a base della domanda principale, sì da non necessitare di alcuna autonoma specificazione.

4. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per l’intima connessione, non sono fondati.

4.1. La pretesa del ricorrente, di attribuire valore di accertamento vincolante alle indicazioni contenute nella sentenza di cassazione con rinvio, è incompatibile con lo jus receptum secondo cui il giudice di rinvio, se pure è vincolato al principio di diritto affermato, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati della sentenza cassata – pur non potendo rimetterne in discussione la decisività – ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza rescindente, la cui portata vincolante non si estende alla sussunzione nella norma della fattispecie concreta (cfr. ex plurimis Cass. 27 agosto 2007, n. 18087; 14 giugno 2006, n. 13719).

Vero è che, in definitiva, in ordine al giudizio di fatto che il giudice di rinvio è tenuto a svolgere, il limite è costituito essenzialmente dalla impossibilità di fondare la decisione sui medesimi elementi ritenuti illogici dalla Corte di cassazione, in tal caso configurandosi la violazione degli artt. 383 e 394 c.p.c. (cfr.

Cass. 13719/2006 cit., e altre conformi): violazione in cui la sentenza qui impugnata non è incorsa, essendo rimasta indiscussa la necessità sottolineata dalla Corte di cassazione di valutare – pure con riguardo al lavoro svolto per un sindacato – il carattere subordinato, o meno, del rapporto secondo le concrete risultanze emerse nel corso del giudizio, e in particolare quelle testimoniali.

4.2. Nell’impianto della decisione della Corte d’appello di Genova l’accertamento relativo alla natura dell’attività di lavoro è scaturito, in concreto, dalla analitica valutazione delle risultanze indicate dalla sentenza di cassazione con riferimento allo specifico periodo dedotto in giudizio (al quale, peraltro, come il ricorrente ha puntualmente rilevato, si è riferita, in via esclusiva, la testimonianza del segretario provinciale del sindacato), nonchè dal raffronto tra i due periodi – prima e dopo il 1989 – specialmente in relazione alle modalità della prestazione e alla misura dei compensi, essendo quindi ininfluente, ai fini che qui interessano, la qualificazione della originaria domanda (in termini di modifica novativa del rapporto) dalla quale è derivata l’enunciazione di un’attribuzione formale dell’onere probatorio.

4.3. Come questa Corte ha più volte precisato, nell’ambito della verifica della natura del rapporto in base a dati fattuali, l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione, è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva;

più specificamente, con riguardo alla prestazione di lavoro del c.d.

volontariato, è stato sottolineato che la prestazione, per sua natura gratuita e spontanea, non è soggetta alla disciplina sul volontariato, ma alla disciplina giuslavoristica del rapporto di lavoro, se, indipendentemente dalla definizione formale, il volontario sia assunto e retribuito con un compenso che superi il mero rimborso spese (cfr., da ultimo, Cass. 21 maggio 2008, n. 12964).

Nella specie, la Corte d’appello, assumendo esplicitamente come decisivo, al fine della sussistenza della natura subordinata del rapporto, il suddetto parametro normativo della subordinazione, ne ha escluso la concreta ricorrenza anche in base alle risultanze processuali indicate dalla Cassazione ai sensi dell’art. 383 c.p.c., congiuntamente valutate secondo un corretto e perciò non censurabile percorso logico, rappresentate dalla piena autonomia nelle modalità della prestazione, anche dopo che il B. aveva intensificato la sua attività lavorativa per il sindacato dopo avere lasciato il precedente lavoro; tale autonomia – come accertato dai giudici di merito – è emersa anche alla stregua della deposizione del segretario provinciale che, in particolare, ha collegato l’iniziativa disciplinare del sindacato, da cui è scaturita la cessazione del rapporto, a comportamenti confliggenti con la linea dell’organizzazione sindacale, anzichè a violazioni di obblighi di lavoro, come la presenza in ufficio.

La valutazione, in tal modo correttamente operata, sfugge alle censure del ricorrente, che si sostanziano, inammissibilmente, nella prospettazione di ipotesi ricostruttive contrarie. Anche con riguardo ai c.d. indici sussidiari, d’altra parte, La sentenza impugnata ha correttamente rilevato la ininfluenza di alcuni elementi, quali, in particolare, l’obbligo di presenza per due giorni a settimana e la continuità della prestazione, nonchè il mero riferimento della medesima al contesto organizzativo del sindacato, mentre è stato opportunamente evidenziato il carattere non fisso, e puramente eventuale, del compenso percepito dal ricorrente, in quanto costituito dagli importi, provenienti dal tesseramento, residuati dalla quota attribuita al sindacato e dalla quota da lui trattenuta per rimborso spese.

4.4. Riguardo alla domanda subordinata la Corte di merito ha puntualmente rilevato la mancata proposizione di elementi specifici idonei a individuare un obbligo retributivo a prescindere dalla configurazione del rapporto di lavoro subordinato; e la considerazione, peraltro, si rivela coerente con le conclusioni riportate nella sentenza, per cui la domanda subordinata si fonda, semplicemente, su “la denegata ipotesi in cui la Corte non ravvisi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato”, senza alcuna specificazione del titolo contrattuale e delle ragioni giustificative dell’obbligo del sindacato di corrispondere compensi maggiori.

5. In conclusione, il ricorso è respinto. Le spese del giudizio vanno compensate fra le parti in ragione dell’esito alterno dei precedenti gradi di giudizio e della complessità delle questioni esaminate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

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