Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1097 del 21/01/2021
Cassazione civile sez. VI, 21/01/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1097
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25036-2018 R.G. proposto da:
C.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Chiana, n.
97, presso lo studio dell’avvocato Antonio Alianello, rappresentata
e difesa dall’avvocato Claudio Alianello;
– ricorrente –
contro
UNIPOLREC S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, Via Pomezia, 11, presso lo studio
dell’avvocato Raffaele Grassia, rappresentata e difesa dall’avvocato
Antonio Formaro;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1215/2018 della Corte d’appello di Bologna,
depositata il 10/05/2018;
letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli
artt.376 e 380-bis c.p.c.;
letti il ricorso e il controricorso;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 15 ottobre 2020 dal Consigliere Dott. D’Arrigo
Cosimo.
Fatto
RITENUTO
La U.G.F. Banca s.p.a. (poi Unipol Banca s.p.a.) otteneva nei confronti di C.A. un decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di Euro 29.515,70, in base alle risultanze di un estratto di conto corrente.
La C. proponeva opposizione, sostenendo, fra l’altro, di non aver mai compiuto le operazioni di cui all’estratto conto.
Il Tribunale di Bologna, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, condannava la C. al pagamento della somma di Euro 27.544,45, oltre alle spese processuali compensate nella misura di un quarto.
La C. impugnava la sentenza, ma la Corte d’appello di Bologna rigettava il gravame, condannando l’appellante alle spese del grado. Avverso tale decisione C.A. ha proposto opposizione per tre motivi.
La UnipolRec s.p.a. (nuova denominazione nel frattempo assunta dalla Unipol Banca s.p.a.) ha resistito con controricorso.
Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.
Diritto
CONSIDERATO
In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
Infatti, con il primo motivo la ricorrente pone il problema della portata e degli effetti giuridici di due dichiarazioni dalla stessa sottoscritte in data 22 ottobre 2009 e 11 gennaio 2010, qualificate dai giudici di merito come riconoscimento di debito. Non riferisce, tuttavia, del contenuto testuale di quelle dichiarazioni, anzi neppure ne illustra, quantomeno in termini generici, il tenore. Tale omissione rende inammissibile la censura per carenza di autosufficienza.
Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe omesso di esaminare una doglianza concernente l’attività istruttoria svolta in primo grado. Tuttavia, la C. ha omesso di indicare quando e come avrebbe formulato le richieste istruttorie asseritamente disattese, così come non ha illustrato di aver riproposto la questione fra i motivi di gravame. Anche in questo caso, quindi, il ricorso è inammissibile per carenza di autosufficienza.
Infine, con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione degli artt. 1856 e 2697 c.c., in quanto la Corte d’appello non avrebbe ravvisato gli estremi di colpa nella condotta della banca, che avrebbe agito senza la dovuta diligenza, disattendendo le istruzioni del correntista. Si tratta, però, di censure assolutamente generiche e non circostanziate, caratterizzate dalla totale omissione della descrizione dei fatti che dovrebbero sussumersi nelle norme indicate come violate. Anche questo motivo, quindi, è inammissibile.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.
Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, a carico della parte impugnante e soccombente, di un ulteriore importo pari al contributo unificato già dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021