Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10968 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. II, 26/04/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 26/04/2021), n.10968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26640-2019 proposto da:

S.I., rappresentata e difesa dall’Avvocato MARCO LANZILAO, per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 1091/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO,

depositata il 22/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/1/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’impugnazione che S.I., nata in (OMISSIS) il (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lei presentata.

S.I., con ricorso notificato il 6/9/2019, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando l’omesso/errato esame delle dichiarazioni rese dalla richiedente innanzi alla commissione territoriale e delle allegazioni addotte in giudizio per la valutazione della sua condizione personale nonchè l’omessa cooperazione e l’omessa audizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione della richiedente ritenendo scarsamente credibili le circostanze riferite dalla stessa senza, tuttavia, disporre, come sarebbe stato suo obbligo onde chiarire il contenuto delle sue dichiarazioni e colmare le lacune probatorie, la sua audizione personale. Il giudice, del resto, non può formare il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità soggettiva del richiedente, essendo tenuto a verificare la situazione reale del paese di provenienza, acquisendo sul punto informazioni esterne ed oggettive.

1.2. Il motivo è infondato. Il giudizio in esame, infatti, introdotto con ricorso del 17/3/2017, risulta assoggettato non già al procedimento disciplinato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, commi 10 e 13, nel testo in vigore prima della sua abrogazione in parte qua disposta dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34, comma 20, (a norma del quale, in effetti, la decisione della commissione territoriale era impugnabile innanzi al tribunale che, a norma del comma 5, “sentite le parti”, decideva con sentenza soggetta a reclamo alla corte d’appello la quale, a sua volta, decideva all’esito di un procedimento in cui, in forza del comma 13, trovava applicazione il comma 10 cit.), ma, al contrario, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 36, comma 1 e art. 19 al rito sommario di cognizione, così come regolato dalle norme generali stabilite dagli artt. 702 bis c.p.c. e ss. (D.Lgs. n. 150 cit., art. 1, lett. c) e dalle deroghe previste dal D.Lgs. n. 150 cit., art. 19: vale a dire norme che, a differenza dell’art. 35, comma 13 cit. (ed a prescindere dal significato che a quest’ultimo dev’essere attribuito, sul quale v. infra), non prevedono più che la corte d’appello prima di decidere debba sentire le parti, potendosi tutt’al più applicare le norme generali, tra cui quella, prevista dall’art. 117 c.p.c., che consente al giudice di merito di disporre in ogni stato e grado del processo la comparizione personale delle parti ed il loro libero interrogatorio sui fatti di causa, per trarne argomenti di prova in ordine ad essi (art. 116 c.p.c., comma 2), fermo restando, però, che la mancata utilizzazione di tale strumento, pur se invocato dal richiedente, non costituisce, in quanto rimesso alla discrezionalità del giudice, causa di nullità della sentenza.

1.3. D’altra parte, con riguardo al D.Lgs. n. 25 cit., art. 35 nel testo in vigore prima della sua parziale abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 150 cit., art. 34, comma 20, questa Corte ha ritenuto che, nel procedimento d’appello relativo ad una domanda di protezione internazionale, non fosse ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 cit., art. 35, comma 13 al precedente comma 10 che prevedeva l’obbligo di sentire le parti, configurava non un incombente automatico e doveroso ma un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collegava il potere del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass. n. 3003 del 2018; conf., Cass. n. 24544 del 2011), avendo riguardo alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale (Cass. n. 14600 del 2019, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame, dove la corte ha ritenuto di escludere la necessità di disporre l’audizione del richiedente sul rilievo, rimasto incensurato, che il richiedente, “essendo stato sentito dalla Commissione territoriale, è stato messo nelle condizioni di riferire ogni circostanza utile, illustrando peraltro, con chiarezza le ragioni del suo espatrio”.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando l’errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti nonchè l’omessa o apparente motivazione ed il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur evidenziando che in (OMISSIS) sussistono problemi di sicurezza in conseguenza, oltre che di un elevato tasso di delinquenza comune ed alle competizioni per il potere dei maggiori partiti politici, anche di numerosi conflitti, sia di carattere etnico-religioso, che di natura economico-sociale, ha, tuttavia, rigettato la domanda di protezione sussidiaria escludendo, con ragionamento obiettivamente incomprensibile ed incoerente su una questione di fatto particolarmente rilevante, che la regione di provenienza della stessa sia caratterizzata da una situazione di conflitto e di violenza generalizzata e che la ricorrente non correrebbe, pertanto, alcun rischio in caso di rientro in patria. Del resto, ha aggiunto la ricorrente, come emerge da tutte le fonti nazionali ed internazionali, la (OMISSIS) è un Paese afflitto, in tutto il suo territorio, da una situazione di violenza generalizzata.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., la contraddittorietà tra le fonti citate, il loro contenuto e le conclusioni raggiunte, l’apparenza della motivazione e l’omesso esame delle fonti informative attualizzate, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, facendo riferimento a numerose fonti informative risalenti tutte al 2015/2016, ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria ritenendo che la (OMISSIS), pur se attraversata da molteplici problematiche nella zona di provenienza della richiedente, non presenta una situazione di pericolo per la stessa in caso di rientro. La corte d’appello, però, ha osservato la ricorrente, così facendo, senza una motivazione o con una motivazione apparente o comunque perplessa, contraddittoria ed obiettivamente incomprensibile, ha tratto conclusioni assolutamente contraddittorie rispetto ai presupposti fattuali accertati attraverso le fonti citate. Del resto, come emerge dalle fonti di informazioni aggiornate, la zona di provenienza della richiedente è caratterizzata da una situazione di violenza diffusa e generalizzata che le autorità statali non sono in condizione di controllare. Sussistono, quindi, ha concluso la ricorrente, tutti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

4. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, senza svolgere attività istruttoria in ordine alla situazione socioeconomica del suo Paese d’origine, ha rigettato, con motivazione apparente, la domanda di protezione umanitaria, formulando conclusioni assolutamente apodittiche e destituite di fondamento.

5. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando l’errata disapplicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost. nonchè l’omesso esame delle condizioni personali e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del Paese di provenienza nonchè l’omesso esame delle fonti relative alla condizione socio-economica della (OMISSIS), in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, senza attivarsi per completare l’accertamento in ordine alla sussistenza delle condizioni di vulnerabilità a tal fine necessarie, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria della richiedente senza, però, considerare che la (OMISSIS), come emerge da numerose fonti internazionali, è un Paese afflitto da alti livelli di povertà, collocandosi tra quelli con il più basso livello di sviluppo per ciò che riguarda il diritto alla salute e all’istruzione, e che la richiedente, trovandosi in Italia dal 2016, si è integrata, sul piano sociale, personale e lavorativo, nel Paese d’accoglienza, con la conseguenza che, ove fosse nuovamente immessa in un contesto sociale, politico e ambientale che, come quello del suo Paese d’origine, è idoneo a determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali, verrebbe a trovarsi in una condizione di personale vulnerabilità che fonda il suo diritto alla concessione della protezione umanitaria.

6. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Intanto, in tema di protezione internazionale, il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili (come la corte d’appello ha ritenuto: v. la sentenza, p. 5) non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, poichè in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purchè egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286 del 2020).

Va, poi, ribadito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c) la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale va accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020).

Il giudice, però, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

La decisione impugnata, indicando le fonti in concreto utilizzate ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte dalle stesse (la cui utilizzabilità, pertinenza e attualità non risulta in alcun modo contestata dal ricorrente), ha ritenuto con apprezzamento non censurato per il mancato esame di uno o più fatti decisivi specificamente dedotti in giudizio (cfr. Cass. n. 23942 del 2020, secondo cui, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito che può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5) – che, nello Stato (OMISSIS) dal quale la richiedente proviene, non sussiste, pur a fronte di conflitti allarmanti, una situazione di violenza generalizzata.

3.1. D’altra parte, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto – di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019), e sempre che siano tali da far ritenere, in termini di certezza e non di mera probabilità, che, nella zona di provenienza del richiedente, per effetto di un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subirne la conseguente minaccia.

7. Il quarto ed il quinto motivo sono parimenti infondati. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018). Nel caso di specie, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che la richiedente non presenta una situazione di effettiva vulnerabilità personale che potesse giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.

Nel caso in esame, al contrario, la ricorrente, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, ancorchè dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nè, infine, la loro decisività ai fini di una differente pronuncia a lui favorevole: a partire dalla dedotta integrazione sociale e personale che la richiedente avrebbe conseguito in Italia, della quale, in effetti, la sentenza impugnata non tratta. Ed è noto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018), qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (nella specie, però, inadempiuto) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare hil merito la questione stessa.

8. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

10. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al ministero dell’interno le spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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