Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10968 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 09/06/2020), n.10968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23065/2014 R.G. proposto da:

Certo S.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio

Emanuele II n. 18, presso lo Studio dell’Avv. Gian Marco Grez,

rappresenta e difesa dall’Avv. Francesco D’Addario, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliàta ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana n. 356/8/14, depositata il 21 febbraio 2014.

Sentita la relazione svolta nella udienza camerale del 15 gennaio

2020 dal Consigliere Dott. Bruschetta Ernestino Luigi.

Fatto

RILEVATO

1. che con l’impugnata sentenza la Regionale, per quanto ancora rimasto d’interesse, confermava soltanto in parte la decisione della Provinciale che aveva integralmente respinto il ricorso promosso da Certo S.r.l. avverso un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione aveva recuperato a tassazione un maggior imponibile ai fini IRES IRAP IVA 2005 applicando le presunzioni derivate dallo studio di settore; nella sostanza, la Regionale, diversamente dalla Provinciale, riconosceva alla contribuente i costi sopportati per lo svolgimento dell’attività, riducendo al minimo l’imponibile inizialmente accertato dall’ufficio, che aveva fatto invece “puntuale” applicazione dello studio di settore;

2. che la Regionale, ritenuto dapprima che l’avviso contenesse “tutti gli elementi sufficienti e necessari ai fini motivazionali” e, dopo aver osservato che lo scostamento dalle presunzioni reddituali discendenti dall’applicazione dello studio di settore aveva dato luogo ad “una situazione di grave incongruenza che aveva legittimato l’ufficio ad avviare la procedura standardizzata”, essendo a riguardo irrilevante la regolarità formale della contabilità; nel merito, reputava che non poteva costituire elemento idoneo a giustificare lo scostamento la circostanza che la contribuente fosse partecipata da Società cooperative che l’avevano impiegata come veicolo per l’acquisizione di immobili da destinare ad attività produttive, che l’irrisorio margine di utile pari al 2,94 % evidenziava una antieconomicità della gestione aziendale che comprovava la fondatezza della ripresa, che tuttavia dovevano essere riconosciuti alla contribuente i costi sopportati per lo svolgimento dell’impresa e che per tale motivo doveva essere ridotto al minimo l’imponibile rispetto a quanto originariamente accertato dall’ufficio facendo “puntuale” applicazione dello studio di settore;

3. che la contribuente ricorreva per sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria, mentre l’ufficio resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. che, con i primi due motivi, formulati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo, tra l’altro, per entrambi, la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies conv. con modif. in L. 29 ottobre 1993, n. 427, la contribuente censurava la Regionale per aver ritenuto che l’avviso fosse stato sufficientemente motivato, nonostante che nello stesso non fossero state confutate le ragioni allegate nel corso del preventivo contraddittorio amministrativo al fine di giustificare lo scostamento, nonostante che allo stesso non fosse stata allegata la nota tecnica che aveva accompagnato il D.M. di approvazione dello studio di settore; e, in secondo luogo, lamentando che le ragioni opposte dall’Amministrazione nell’impugnato avviso per contrastare le giustificazioni offerte dalla contribuente, come ad es. l’antieconomicità della gestione, fossero errate, per niente convincenti; e che, per tali rilievi, la Regionale avrebbe dovuto giudicare l’avviso non sufficientemente motivato, così come era stato ampiamente esposto nell’originario ricorso e con l’atto d’appello;

1.1. che, anche in disparte i profili di inammissibilità per difetto di autosufficienza, conseguenti alla mancata integrale trascrizione dell’accertamento, oltrechè alla mancata trascrizione del verbale del preventivo contraddittorio amministrativo, atteso che ciò non permette alla Corte di verificare se e in quale misura l’avviso abbia omesso di considerare le giustificazioni addotte dalla contribuente; deve essere, ad ogni modo, anche rammentato che: “In tema di avviso di accertamento fondato su studio di settore, l’Amministrazione finanziaria non è tenuta ad allegare all’atto notificato il decreto ministeriale di approvazione del detto studio, in quanto il contribuente è reso edotto degli indici elaborati per la determinazione in via presuntiva del reddito nel corso del necessario contraddittorio procedimentale preventivo all’emissione dell’atto impositivo” (Cass. sez. trib. n. 14552 del 2018); e che, la sufficiente motivazione dell’avviso, è questione diversa da quella della fondatezza della ripresa, sub specie di incompleta dimostrazione della pretesa fiscale, che è quello di cui in realtà il contribuente si lamenta, dovendosi quindi ribadire che: “La motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicchè il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze, mentre le questioni attinenti all’idoneità del criterio applicato in concreto attengono al diverso piano della prova della pretesa tributaria” (Cass. sez. trib. n. 9810 del 2014);

2. che, con i motivi terzo e quinto, entrambi formulati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, dell’art. 2727 c.c., la contribuente censurava la Regionale sia per aver ritenuto legittima la ripresa pur in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, sia per aver giudicato sussistente la grave incongruenza che legittimava l’applicazione dello studio di settore, sia per aver ritenuto antieconomica la gestione aziendale; in particolare, sotto quest’ultimo profilo, per aver giudicato irrilevante la circostanza che la contribuente fosse partecipata da Società cooperative;

2. che i motivi sono da rigettare, atteso dapprima che, come noto, la ripresa analitico induttiva D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, anche quella effettuata a mezzo dell’applicazione degli studi di settore D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62 sexies, prescinde dalla formale regolarità delle scritture contabili, cosicchè deve confermarsi il principio secondo cui: “In tema di accertamento tributario standardizzato, la regolarità formale delle scritture contabili non può, di per sè, costituire elemento idoneo ad inficiare le presunzioni di cui agli studi di settore, i quali possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con esse, finchè non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente” (Cass. sez. trib. n. 9459 del 2017); che le altre censure sono inammissibili, non solo perchè non coinvolgono alcuna violazione di legge, essendo piuttosto rivolte a censurare l’apprezzamento che la Regionale ha fatto di talune circostanze, come ad es. l’apprezzamento dell’assoluta modestia di un margine di utile pari al 2,94%; un apprezzamento che, pertanto, avrebbe potuto essere contestato unicamente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. sez. I n. 24155 del 2017), entro i ristretti limiti del “minimo costituzionale garantito” (Cass. sez. un. 8053 del 2014); ma anche perchè, per quanto trascritto, oltre che per quanto risultante dalla impugnata sentenza, sull’accertamento dei suddetti fatti si è formata la doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c.;

3. che, con il quarto motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione dell’art. 53 Cost., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, dell’art. 2727 c.c., la contribuente si doleva del fatto che la Regionale avesse tenuto conto dei costi soltanto riducendo la ripresa originariamente fatta conseguire dall’ufficio dalla “puntuale” l’applicazione dello studio di settore, venendosi con ciò a rigettare la domanda, riproposta anche in secondo grado, di riconoscere i costi in misura “percentuale”;

3.1. che il motivo, comunque non autosufficiente perchè nell’illustrazione dello stesso nemmeno si indica quale sarebbe stata in thesi la “percentuale” che la Regionale avrebbe dovuto riconoscere alla contribuente, è di difficile comprensione atteso che l’abbattimento forfetario operato dalla Regionale ha esso stesso natura di abbattimento “percentuale”; ad ogni modo, il motivo è privo di interesse processuale ex art. 100 c.p.c.; in effetti, l’automatico riconoscimento dei costi “in percentuale” riguarda esclusivamente l’induttivo puro D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2: “In caso di accertamento induttivo puro l’Amministrazione finanziaria può ricorrere a presunzioni cosiddette supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma deve comunque determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, poichè, altrimenti, sarebbe oggetto di imposizione il profitto lordo in luogo di quello netto, in violazione dell’art. 53 Cost., non potendo trovare applicazione l’art. 109 TUIR che ammette in deduzione solo i costi risultanti dal conto economico” (Cass. sez. trib. n. 19191 del 2019); laddove, invece, con riguardo all’accertamento analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, anche in caso di accertamento analitico induttivo mediante applicazione dello studio di settore D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62 sexies, incombe al contribuente l’onere di provare, col normale rigore, realtà, inerenza e certezza dei costi sopportati; non potendo, in effetti, il contribuente, beneficiare di alcun presuntivo abbattimento forfetario, secondo il principio per cui: “In tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo puro D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario” (Cass. sez. trib. n. 22868 del 2017); cosicchè, la contribuente, che si è vista erroneamente riconoscere costi in via forfetaria, senza doverli precisamente dimostrare, come sarebbe stata invero tenuta, non ha alcun interesse processuale a sovvertire la favorevole, ma non corretta, statuizione della Regionale; ciò, a meno che non fosse stata in grado di allegare la possibilità di dimostrare, con la precisione richiesta, che i singoli costi erano di ammontare complessivamente superiore rispetto a quelli riconosciuti forfetariamente, un’allegazione che però non c’è stata;

4. che, con il sesto motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione dell’art. 6 CEDU, oltrechè la violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, la contribuente criticava l’implicito rigetto della domanda di non applicazione delle sanzioni per assenza di colpevolezza;

4.1. che il motivo è inammissibile, atteso che nessuna delle espresse statuizioni della Regionale evidenziate in narrativa del presente, implica necessariamente il rigetto della domanda di non applicazione delle sanzioni per mancanza di colpevolezza (sul rigetto implicito di una domanda, in quanto indissolubilmente avvinta da rigetto o dall’accoglimento di altra domanda o eccezione, che ne costituisce il presupposto logico giuridico, v. per es. Cass. sez. lav. n. 17580 del 2014; Cass. sez. I n. 7086 del 2005); cosicchè la contribuente avrebbe dovuto censurare, eventualmente, la Regionale in relazione all’art. 112 c.p.c. (Cass. sez. III n. 923 del 2017); e, peraltro, avendo altresì cura, per non incorrere in un difetto di autosufficienza comportante ulteriore inammissibilità del motivo, di chiarire che la domanda di non applicazione delle sanzioni era stata respinta dalla provinciale e che la statuizione era stata oggetto di specifico appello davanti alla Regionale (Cass. sez. III n. 10593 del 2008);

5. che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la contribuente a rimborsare le spese processuali, queste liquidate in complessivi Euro 6.600,00, a titolo di compenso, oltre a spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 9 giugno 2020

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