Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10964 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. I, 26/04/2021, (ud. 22/03/2021, dep. 26/04/2021), n.10964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi C. G. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16380-2020 proposto da:

O.G., rappresentato e difeso dall’avv. LORENZA DE BONI,

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5678/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 29.10.2018 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da O.G. avverso il provvedimento della Commissione territoriale competente con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello l’ O. e la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza oggi impugnata, n. 5678/2019, rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione O.G. affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente propone, innanzitutto, questione di legittimità costituzionale della L. 9 agosto 2013, n. 98, artt. 62-72, di conversione, con modificazioni, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, recante l’istituzione della figura del giudice ausiliario in Corte di Appello, in relazione agli artt. 3,25,102,106 e 111 Cost.. Il ricorrente richiama, sul punto, le due ordinanze di remissione n. 32032 e n. 32033, entrambe depositate il 9.12.2019, con la quale questa stessa Corte ha dubitato della conformità della normativa richiamata al dettato costituzionale.

La questione è manifestamente infondata, posto che a seguito delle dianzi richiamate ordinanze di remissione, la Corte Costituzionale si è pronunciata, con sentenza n. 41 del 25 gennaio 2021, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della L. n. 98 del 2013, artt. da 62 a 72 compresi “nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non verrà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, art. 32”. La Corte Costituzionale, operando un misurato bilanciamento tra i diversi valori costituzionali, ed allo scopo di evitare pregiudizi irreparabili all’amministrazione della giustizia, ha ribadito, in motivazione, la legittimità della costituzione dei collegi delle Corti di Appello ai quali abbia partecipato non più di un giudice ausiliario. Dal che deriva la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, poichè esattamente coincidente con quella appena scrutinata dalla Corte Costituzionale con la già richiamata sentenza n. 41 del 2021.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’irregolare costituzione del collegio, a fronte della presenza, oltrechè di un giudice ausiliario, anche di un giudice non compreso nell’organico della Corte di Appello, bensì applicato dal Tribunale di Vicenza in forza di un apposito provvedimento organizzativo del Presidente della Corte distrettuale. Il ricorrente documenta tale circostanza allegando agli atti del proprio fascicolo un estratto del sistema informativo del Tribunale di Vicenza, dal quale risulta l’appartenenza del Dott. D.G. a detto ufficio giudiziario.

La censura è infondata, come già ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 6391 del 09/03/2021, non massimata).

Il Presidente della Corte veneziana ha elaborato un progetto per lo smaltimento del contenzioso in materia di protezione internazionale, che prevedeva l’applicazione di numerosi giudici del distretto per un breve lasso di tempo, ciascuno nell’ambito di collegi straordinari composti da un magistrato della sezione, da un magistrato applicato e un giudice ausiliario. Detto progetto è stato, successivamente, sottoposto al vaglio del Consiglio Superiore della Magistratura, che con la Delib. n. 1073/AS/2019 non lo ha approvato, ritenendolo da un lato contrastante con il principio della specializzazione del giudice previsto in materia di immigrazione, e dall’altro contrario al divieto di applicazione di un giudice per una sola udienza, di cui all’art. 90 della circolare del 20 giugno 2018, poichè nell’ambito del periodo previsto dal progetto (una settimana) era prevista la celebrazione di una sola udienza per ciascun collegio.

Il ricorrente assume dunque che l’inserimento dell’impugnazione nel progetto di cui si discute avrebbe fatto sì che la causa fosse decisa attraverso un modello organizzativo non ispirato ai criteri di cui alla richiamata circolare, e comunque non coerente con il criterio di specializzazione che presiede la trattazione del contenzioso in materia di protezione internazionale.

Va tuttavia considerato che il magistrato applicato non può essere considerato una persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata, in presenza di un provvedimento di applicazione da parte del Presidente della Corte d’appello ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 110. La contestazione relativa alle modalità con cui l’applicazione è stata disposta non consente poi di ipotizzare alcuna nullità della decisione assunta con la partecipazione del magistrato applicato, poichè l’art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forma non possa essere pronunciata in assenza di una espressa comminatoria di legge. Posto che nessuna norma contempla una nullità di atti ricollegata alle modalità con cui il Presidente della Corte d’Appello si avvale del potere di disporre l’applicazione al suo ufficio di magistrati del distretto, la censura va disattesa.

Nè rileva il fatto che il progetto non sia stato, poi, approvato dal Consiglio Superiore della Magistratura, posta la sua natura esecutiva e la conseguente irretroattività della pronuncia del predetto organo di autogoverno.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea valutazione di non credibilità della storia personale operata dalla Corte distrettuale.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente, nigeriano, aveva dichiarato di essere di religione (OMISSIS), alla quale era stato avviato dalla madre; di esser stato poi costretto a lasciare il Paese di origine a seguito delle pressioni del padre, che voleva che egli si convertisse alla religione tradizionale. In particolare, il ricorrente aveva dichiarato che alla morte del Re R., avvenuta nel (OMISSIS), egli era stato designato, in quanto primogenito, dal padre ad essere introdotto a palazzo, per garantire la successione di questi alla sua morte. Con l’aiuto economico di una zia, era prima fuggito in altra parte del Paese, poi era giunto in Libia e di lì, a causa della guerra civile, in Italia. La Corte di Appello ha dato atto che il Tribunale aveva ritenuto la storia non credibile, a fronte della contraddittorietà interna della stessa e dell’inverosimiglianza dei fatti narrati, ed ha ritenuto che il ricorrente non avesse adeguatamente attinto la motivazione resa dal primo giudice, limitandosi a riproporre, nei motivi di gravame, gli stessi argomenti già fatti valere in prime cure, senza tuttavia confrontarsi in modo adeguato e specifico con la motivazione resa dal Tribunale. Tale ratio non è attinta dalla censura in esame, con la quale il ricorrente sì duole soltanto dell’erroneo giudizio che la Corte territoriale avrebbe reso sul contenuto del suo racconto, ma non contesta in alcun modo la statuizione di genericità dei motivi di appello di cui anzidetto. In definitiva, dunque, il ricorrente formula una istanza di riesame delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il terzo motivo il ricorrente, oltre a ribadire, sotto diversa prospettiva, la medesima censura di cui al secondo motivo, lamenta anche il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

La censura è inammissibile. La decisione impugnata, invero, richiama le fonti informative consultate, indicandone la provenienza e l’anno, e dà atto delle notizie da esse tratte. Il ricorrente propone una ricostruzione alternativa del contesto interno della Nigeria, senza però confrontarsi con il principio, varie volte ribadito da questa Corte, secondo cui “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv.655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez.1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv.657062).

Con il quarto motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, perchè la Corte di Appello non avrebbe condotto il giudizio comparativo tra la sua condizione, in Italia ed in patria.

La censura è inammissibile.

La Corte lagunare, invero, svolge la valutazione comparativa prevista dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471), ravvisando la mancanza di qualsiasi elemento, anche a livello di mera allegazione, idoneo a far presumere un qualsivoglia profilo di esposizione al rischio del richiedente, in caso di rimpatrio (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). Tale statuizione non è specificamente attinta dalla censura in esame, con la quale il ricorrente richiamare genericamente la documentazione allegata agli atti del giudizio di merito, senza tuttavia aver cura di indicare di quali documenti si tratti, nè in quale misura, o sotto quale profilo, essi sarebbero rilevanti ai fini del giudizio comparativo di cui anzidetto.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 22 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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