Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10961 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. III, 06/05/2010, (ud. 09/04/2010, dep. 06/05/2010), n.10961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10048/2006 propostòda:

SORARIT SPA Concessionario per la Riscossione dei Tributi per la

Provincia di Legge in persona del suo Presidente in carica Dott.

V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO RINASCIMENTO 11,

presso lo studio dell’avvocato PELLEGRINO GIOVANNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GRECO GIOVANNI con studio in 73100 LECCE Piazza

Mazzini, 56 con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CATONE: 3, presso lo studio dell’avvocato COLELLA DOMENICO FELICE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GABELLONE GIOVANNI con delega

in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 208/2 005 de TRIBUNALE di LECCE Sezione

Distaccata di MAGLIE, emessa il 20/30/2005: depositata il

21/10/2005; R.G.N. 328/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto con condanna

alle spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 12 maggio 2000, la SOBARIT spa, Concessionario per la riscossione del Tributi nella Provincia di Lecce, per il tramite dell’ufficiale di riscossione, eseguiva in danno di D.P.A., residente in (OMISSIS), un pignoramento mobiliare sui beni ivi ubicati.

Contro tale procedura proponeva opposizione di terzo, innanzi al Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, D.P.G., sostenendo che i beni pignorati erano in realtà di sua proprietà ed esibiva, a conferma di ciò, una fattura di acquisto dei mobili, precisando di averli concessi in comodato alla propria sorella, D.P.M. (moglie di D.P.A.). L’opponente aggiungeva che con sentenza, passata in giudicato, n. 2 del 1996, della Pretura di Lecce – Sezione distaccata di Maglie, era già stata riconosciuta la sua titolarità sugli stessi mobili, nuovamente sottoposti a pignoramento da SOBARIT. L’opponente chiedeva, pertanto, la declaratoria di nullità della nuova procedura.

Si costituiva in giudizio la SOBARIT, chiedendo il rigetto della opposizione, rilevando che la documentazione prodotta non era opponibile al concessionario, ai sensi di quanto disposto dal D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 58, 63 e 65, (nel testo applicabile “ratione temporis”).

Con ordinanza 2 novembre 2001, il Tribunale, ritenendo che la competenza per valore fosse del giudice di pace, rimetteva le parti dinanzi a quel giudice.

Il giudizio veniva riassunto a cura di D.P.G.. Costituendosi in giudizio davanti al giudice di pace, la SOBARIT ribadiva le eccezioni già sollevate dinanzi al Tribunale. La società opposta sostenava – in via preliminare – la incompetenza funzionale del giudice di pace, essendo la materia tributaria devoluta alla competenza esclusiva del Tribunale, ai sensi dell’art. 9 c.p.c..

Con sentenza n. 321 del 2003, il giudice di pace di Maglie accoglieva la opposizione. Osservava il giudicante che l’opponente aveva fornito la prova della proprietà dei mobili, concessi in comodato alla sorella (moglie di D.P.A.), avendo prodotto una sentenza – passata in giudicato – che confermava la sua proprietà dei mobili in data anteriore all’accertamento della sanzione amministrativa.

Proponeva appello la SOBARIT, riproponendo le argomentazioni difensive già sollevate in primo grado.

Costituendosi in giudizio D.P.G. chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma della decisione del giudice di pace.

Con sentenza 20-21 ottobre 2005 il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, rigettava il gravame.

Avverso tale decisione la SOBARIT ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da due motivi.

Resiste il D.P. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il D.P.R. 602 del 1973, art. 65, nel testo vigente fino al 1999, stabilisce espressamente che l’ufficiale giudiziario deve astenersi dal pignoramento quando sia dimostrato che i beni appartengono a persona diversa dal debitore – o dai soggetti indicati all’art. 52, lett. b) – in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo.

Tale dimostrazione – continua l’art. 65 – può essere offerta soltanto mediante la esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate, che rechino una data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo, ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente allo stesso anno.

Considerato, poi, che l’opponente era cognato del debitore D.P.A., la disposizione di cui all’art. 65, doveva essere applicata congiuntamente a quella di cui al precedente art. 58, comma 3, dello stesso D.P.R. e dunque l’opponente poteva dimostrare la proprietà del bene mobile, solo attraverso un atto pubblico o una scrittura privata di data certa, anteriore “al momento in cui si è verificata la violazione che ha dato origine alla iscrizione a ruolo” ovvero “al momento in cui si è verificato il presupposto della iscrizione a ruolo”.

Nel caso di specie, il D.P.G. aveva affermato di essere proprietario dei beni pignorati attraverso una fattura, un contratto di comodato con firme non autenticate e la sentenza n. 2 del 1996 del Pretore di Maglie.

Nessuno di questi documenti rientrava, tuttavia, nelle categorie di cui al D.P.R. n. 602 del 1973.

Infatti:

a) la fattura non è ricompresa dalla normativa di cui al D.P.R. 602;

b) il contratto di comodato, nel caso di specie, non era opponìbile al Concessionario, essendo rappresentato da scrittura privata con firme non autenticate;

c) neppure la sentenza poteva costituire titolo valido a dimostrare la proprietà dei beni, Non essendo la sentenza del Pretore passata in giudicato in data anteriore all’anno cui si riferiva l’entrata iscritta a ruolo, la stessa non poteva essere utilizzata per dimostrare la appartenenza dei beni pignorati.

2. Le censure formulate con il primo mezzo di impugnazione non sono fondate.

L’opposizione, proposta da D.P.G., con atto del 2000, è retta dalle disposizioni contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 65, nel testo modificato dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 5, convertito in L. 23 febbraio 1997, n. 30, applicabile in ragione della data della decisione, trattandosi di norma processuale.

Il comma 2, della norma dispone, per la parte che interessa in questo giudizio, che “l’ufficiale esattoriale deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento, quando sia dimostrato che i beni appartengono a persone diverse dal debitore in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo. Tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate di data certa anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente allo stesso anno”.

Ciò vuole dire che nell’opposizione di terzo avverso l’esecuzione mobiliare dell’esattore delle imposte è richiesto:

– che i beni sui quali è stato eseguito il pignoramento appartengano al terzo;

– che la prova della appartenenza del bene al terzo può essere data solo da atto pubblico (o sentenza passata in giudicato) o scrittura privata autenticata di data certa anteriore a quella di consegna del ruolo (Cass. 24 aprile 1998 n. 4231; 10 maggio 1996, n.4417).

3. Il Tribunale, per giungere alle conclusioni qui criticate, ha posto in evidenza le seguenti circostanze di fatto – già accertate dal giudice di pace – che non sono in contestazione tra le parti:

i beni erano stati acquistati nell’anno 1991 da D.P.G., come risultava da fatture in atti 9 ottobre 1991;

– gli stessi beni erano stati ceduti in comodato alla sorella D.P.M., moglie del debitore esecutato, D.P.A. con scrittura privata del 28 novembre 1991, registrata il 13 dicembre 1991,recante le firme non autenticate dei contraenti.

Da questa premessa il giudice di appello ha ricavato che risultavano pienamente soddisfatti i requisiti dell’art. 65 citato – essendo stata data la prova dell’appartenenza dei beni pignorati non attraverso la scrittura privata registrata (contratto di comodato) avente data certa anteriore a quella di consegna del ruolo (la scrittura non recava la firma autenticata dei contraenti) – ma perchè la proprietà dei beni mobili, in capo all’attuale opponente, risultava chiaramente da una sentenza, passata in giudicato, del dicembre 1995 – gennaio 1996, relativa ad una domanda giudiziaria proposta tre anni prima (1993) dell’anno cui si riferiva la iscrizione a ruolo (sanzione amministrativa del 1996, pag. 6 del ricorso per cassazione).

4. La decisione impugnata è in tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “Nell’opposizione di terzo avverso l’esecuzione mobiliare dell’esattore delle imposte, la prova dell’appartenenza del bene è soggetta alle limitazioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 65, (nel testo modificato dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 5, conv. in L. 23 febbraio 1997, n. 30), il quale esige l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata di data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero la sentenza passata in giudicato, pronunciata su domande proposte anteriormente allo stesso anno” (Cass. 6 marzo 2001 n. 3256).

Nel caso di specie, la sentenza passata in giudicato si riferisce ad una domanda risalente all’anno 1993, di tre anni, pertanto, anteriore alla sanzione amministrativa (1996) posta alla base del pignoramento. La sentenza passata in giudicato, pertanto, ben poteva essere utilizzata, in base alle disposizione di legge richiamate, per dimostrare la appartenenza dei beni pignorati in capo all’opponente.

L’accertamento posto alla base della sentenza passata in giudicato retroagisce al momento della domanda.

Il primo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.

5. Deve, infine, deve essere dichiarata la inammissibilità del secondo motivo, con il quale si deducono vizi di motivazione, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in realtà sollevando una questione di competenza per materia (oltre che una questione di carenza di giurisdizione) trattandosi di controversia di competenza del Tribunale o della Commissione Tributaria.

Costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale le questioni di competenza e giurisdizione devono essere sollevate con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 2.

6. Il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, consente solo il sindacato che consiste nel valutare se una motivazione esista e se essa non sia meramente apparente o insanabilmente contraddittoria sulla base di quanto risulta dallo stesso provvedimento impugnato.

La deduzione, come motivo di ricorso per cassazione, di una questione riguardante la giurisdizione non può farsi se non sotto il profilo delle norme che regolano tale presupposto del processo e non anche in relazione a vizi di motivazione sui punti di fatto dai quali esso dipende giacchè in materia di giurisdizione la Corte di Cassazione è giudice del fatto e, come tale, può conoscere ed interpretare direttamente tutti gli atti del processo utili ad accertare l’esistenza del vizio denunciato. (Cass. S.U. n. 261 del 10 gennaio 2003).

La dichiarata inammissibilità della censura non consente di esaminare il problema della eventuale applicabilità dell’art. 374 c.p.c., comma 1, (nel testo novellato dal decreto legislativo n. 40 del 206) anche alle pronunce pubblicate anteriormente al 2 marzo 2006, per quanto riguarda la decisione delle questioni di giurisdizione decise già dalle sezioni unite dalle sezioni semplici.

Sulla questione di giurisdizione sollevata, cfr. comunque Cass. S.U. n, 6187 del 1992.

Per le ragioni già indicate in precedenza, con riferimento alla eccezione di carenza di giurisdizione, deve dichiararsi la inammissibilità del secondo mezzo di impugnazione, relativamente alle questioni di competenza che devono essere denunciate in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 2.

7. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 800,00 (ottocento/00) di cui Euro 200,00 (duecento/00) per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

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