Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10959 del 06/05/2010

Cassazione civile sez. III, 06/05/2010, (ud. 09/04/2010, dep. 06/05/2010), n.10959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4240-200G proposto da:

D.G.V. (OMISSIS), F.A.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SALARIA

300/C, presso lo studio dell’avvocato RAVA’ GIANFRANCO, rappresentati

e difesi dall’avvocato GENITILI GIORGIO con delega in cade al

ricorso;

– ricorrente –

contro

FR.LU. (OMISSIS), FR.RO.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 149/12, presso lo studio dell’avvocato FIDENZTO SERGIO, che li

rappresenta e difende unitamente agl’avvocato TORRIONE GIUSEPPE come

da delega a margine del ricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1481/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Prima Sezione Civile, emessa il 29/09/2005; depositata il 05/10/2005;

R.G.N. 2014/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 28 settembre – 5 ottobre 2005 la Corte d’appello di Torino dichiarava inammissibile l’appello proposto da D.G. V. e F.A.M. avverso la ordinanza 26 maggio 2003 del Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Aosta, che aveva riconosciuto la legittimazione del consulente tecnico nominato dall’ufficio a richiedere le concessioni ed autorizzazioni amministrative necessarie per la esecuzione delle opere oggetto di esecuzione forzata, conferendo allo stesso l’incarico di dirigere la esecuzione dei lavori.

Rilevavano i giudici di appello che in tema di esecuzione forzata in forma specifica, il titolo esecutivo indica il risultato perseguito e l’ordinanza ex art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo.

Quando, come nel caso di specie, la realizzazione del risultato richiede il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della Pubblica Amministrazione, che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva della realizzazione del diritto sostanziale riconosciuto nel titolo esecutivo.

Nel caso di specie – hanno sottolineato i giudici di appello – non era in contestazione il diritto delle parti istanti di procedere ad esecuzione forzata. Costituivano, invece, oggetto di discussione le modalità di esecuzione necessario per il conseguimento degli obblighi di fare di cui alla sentenza della Corte di appello, passata in giudicato.

I giudici di appello hanno precisato che quando come nel caso di specie – in cui si discute della esecuzione di una sentenza di condanna alla demolizione di alcune opere (per il ripristino di una stradella di accesso ad un fabbricato) – dopo la pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 612 c.p.c. siano insorte difficoltà di esecuzione, ed il giudice – adito da una delle parti – abbia emesso una ordinanza onerando il direttore dei lavori di attivarsi per il rilascio di tutte le autorizzazioni e concessioni amministrative prima di procedere alla demolizione, il provvedimento non configura affatto una limitazione del diritto sostanziale dei creditori, trattandosi invece di richieste appartenenti alla fase esecutiva del procedimento, in quanto strumentali all’attuazione del titolo.

Da tale premessa derivava che detto provvedimento non era impugnabile con l’appello.

Del resto, con autonomo atto ex art. 615 c.p.c., comma 2, notificato in data 23 aprile 2003 (e dunque anteriormente alla notifica dell’atto di citazione in appello del 5 agosto 2003) gli stessi appellanti avevano proposto opposizione all’esecuzione sul rilievo che il consulente tecnico avesse ecceduto in più punti dai limiti del mandato, sostituendosi allo stesso giudicante.

Avverso tale decisione D.G. e F. hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico motivo.

Resistono gli intimati, Lu. e Fr.Ro., con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i due ricorrenti deducono la violazione per falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 612 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La consulenza tecnica di ufficio depositata dall’ausiliare del giudice prevedeva la esecuzione di opere del tutto diverse da quelle disposte dalla Corte di Appello di Torino con la sentenza n. 1050 del 2001. Con questa pronuncia, infatti, era stata ordinata la ricostruzione di una falda del tetto del fabbricato attoreo, già sporgente, che era stato tagliato dai coniugi D.G.- F., e l’arretramento di una parete a sud del fabbricato sino alla distanza di metri tre dalle vedute, in rispetto dell’art. 907 c.c..

Il progetto depositato dal consulente di ufficio, invece, contemplava l’abbattimento della porzione dell’immobile di proprietà dei D. G.- F. per tutto il fronte dell’edificio lato sud, rispetto all’angolo attuale. In particolare, l’elaborato del consulente di ufficio prevedeva l’apertura di una veduta laterale non prevista dal titolo esecutivo (che espressamente richiamava solo l’art. 907 c.c. il quale riguarda esclusivamente vedute dirette od oblique) ed aveva stabilito la apertura di una finestra sulla proprietà D.G.- F., contro le disposizioni del titolo esecutivo.

La decisione impugnata – concludono i ricorrenti aveva dunque natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Da tale premessa, ad avviso dei due ricorrenti, conseguirebbe la possibilità di impugnare la decisione del Tribunale con l’appello.

Il ricorso è infondato.

In particolare, i ricorrenti non censurano la sentenza della Corte di Appello che pure espressamente ha dichiarato la inammissibilità dell’appello, limitandosi a richiamare la giurisprudenza di questa Corte che riconosci al giudice della esecuzione, di una decisione avente ad oggetto obblighi di fare, il potere di richiedere concessioni ed autorizzazioni amministrative, quando le opere da eseguire ne richiedano il rilascio. Si tratta, all’evidenza, di censure non pertinenti rispetto alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata.

In tema di esecuzione forzata in forma specifica, il titolo esecutivo indica il risultato perseguito e l’ordinanza ex art. 612 cod. proc. civ. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo.

Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della pubblica amministrazione, che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva della realizzazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo.

Quanto alla appellabilità dei provvedimenti resi dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 612 c.p.c, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che “Qualora, con riguardo all’esecuzione forzata di una sentenza di condanna alla demolizione di edificio, ed in sede di comparizione davanti al pretore a dell’art. 612 cod. proc. civ. insorgano contestazioni circa la necessità o meno di concessione amministrativa per il compimento dei lavori, ovvero circa il soggetto tenuto a richiedere la concessione medesima, le relative questioni non investono l’esistenza del titolo ed il diritto del creditore di procedere ad esecuzione, ma attengono alle modalità dell’esecuzione stessa.

Ne consegue che il provvedimento con il quale il pretore statuisca su dette questioni, così come il provvedimento con cui si limiti a disporre la sospensione dell’esecuzione fino al rilascio di quella concessione, integrano atti del processo esecutivo, come tali non impugnabili con appello. (Cass. 23 febbraio 1982 n. 1129, Cass. 18 marzo 2003 nn. 3979 e 3993).

Le censure formulate con l’unico motivo sono del tutto generiche e non riguardano espressamente le motivazioni che hanno portato la Corte territoriale a dichiarare inammissibile l’appello proposto avverso il provvedimento del giudice della esecuzione del Tribunale di Aosta del 26 maggio 2003.

Costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non debba necessariamente costituire una premessa se stante ed autonoma al fine del soddisfacimento della prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto dal contenuto dell’atto medesimo senza necessità di attingere ad altre fonti.

Nel ricorso proposto da D.G.- F. mancano del tutto questi requisiti, essendosi limitati i ricorrenti a richiamare alcune decisioni di questa Corte che hanno ritenuto impugnabile con l’appello il provvedimento del giudice dell’esecuzione nel caso specifico in cui questi emetta una seconda ordinanza con la quale disponga nuovamente in ordine alle modalità di esecuzione degli obblighi di fare (ipotesi, tuttavia, non verificatasi nel caso di specie), ritenendo in tale ipotesi il contenuto decisorio al provvedimento emanato.

Nonostante il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, in realtà, le uniche censure svolte dai ricorrenti – riguardano il preteso contenuto decisorio della “unica” ordinanza del 26 maggio 2003.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.200,00 (milleduecento/00), di cui Euro 1.000,00 (mille/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2010

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